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Quasi tutti i giorni zia Carula andava dalla sua amica Pauledda con l'idea fissa di convincerla a prender marito. Le due donne avevano la stessa età, più verso i quaranta che verso i trenta, ma mentre Pauledda rimaneva Pauledda, col semplice suo nome, e tutti ancora, compresi i bambini, le davano del tu, l'altra sposatasi tanti anni prima a un vedovo con tre figli già grandi era diventata zia Carula, cioè una donna anziana rispettabile.
Come tale la si vedeva spesso vestita a nuovo, con la benda candida inamidata, il corsetto di broccato, la cintura d'argento, camminare composta, rasente al muro, mandata da qualche giovane di buona famiglia a domandar la mano di sposa di qualche ragazza di non meno buona famiglia.
Per lo più i matrimoni combinati da lei riuscivan bene; ella convinceva anche le ragazze più ambiziose ad accettar il partito proposto da lei, fosse pure un partito scadente: rifiutando la sua domanda le facevano quasi un'offesa personale, e tornava quindi all'assalto fino a riuscire, contentando così il pretendente e salvando il suo amor proprio.
Per Pauledda aveva parecchie domande, ma non osava presentarle, certa del rifiuto. Ogni giorno però nei loro innocenti colloqui l'argomento era sempre quello.
- Che vuoi, Carula mia, - diceva Pauledda, seduta a cucire sotto il pergolato che copriva tutto il cortile, - non tutte le donne sono nate per avere lo stesso destino. Io, per esempio, dopo aver passata tutta la fanciullezza a faticare ed a pensare agli altri, ricordati che famiglia numerosa era la nostra, adesso sono abituata a viver sola, e non posso sopportare la compagnia di nessuno. Sono tranquilla in casa mia, seduta come una signora sulla scranna, e mi pare di essere arrivata al porto dopo una tempesta. Ah, perché devo di nuovo rimettermi in alto mare?
Zia Carula, piccola e tutta scintillante nell'ombra ricamata di sole del pergolato, versava il suo caffè nel piattino e soffiandovi su approvava.
- Sei una signora, sì; stai bene, sì, sulla tua scranna. Ma il marito è sempre il marito...
- Ne conosco io, di mariti, il lampo li morsichi!...
- Sì, ce ne sono, di libertini e scapestrati, ma per te ce ne sarebbe uno... che... lasciami finire, eh, non mi esce la peste di bocca... poi...
Ma Pauledda faceva tali gesti di protesta, col capo fine e bruno carico di trecce dure e strette come corde, che l'altra non osava proseguire.
- Tu mi conosci, Carula, è inutile. Ricordati: eravamo dieci, in famiglia; sette fratelli come sette giganti, e tre sorelle come tre stelle. Avevamo un discreto patrimonio, ma i giovani benestanti dicevano con disprezzo: quando sarà diviso in dieci toccherà un canestro di farro a ciascuno! Così non mi volevano, perché ero quasi povera. Ed io passavo la vita a lavorare, e pensavo cose di piccola creatura, pensavo: se i miei compaesani non mi vogliono verrà forse uno straniero, verrà un ospite bello e ricco che si innamorerà di me. Ma venivano gli stranieri, venivan gli ospiti, mi toccava di faticare per loro ed essi non mi guardavano neppure. Poi pensavo, - adesso che gli uccelli della fantasia son volati via, te lo posso dire, - pensavo: forse qualche notte un giovane perseguitato dal suo nemico, o dalla giustizia, si rifugierà da noi, ed io avrò cura di lui e quando tutto andrà bene ci sposeremo. Com'era semplice, vero? Così passò il tempo, tu lo sai, come il vento passa nell'aria. Morì mio padre, morirono le mie sorelle; venne l'anno del vaiuolo e la morte si portò via i miei fratelli come l'avvoltoio affamato si porta via gli agnelli dall'ovile; io rimasi sola come il filo d'erba sul ciglione, esposta a tutti i venti, ma... il patrimonio non fu diviso! Allora i partiti fioccarono; tu lo sai, Carulé, non tu sola ti cingesti la benda per venire qui a far la paraninfa... Ma ti dico e ti ripeto: gli uomini adesso mi fan dispetto, e quasi non serbo rancore alla sorte maligna che me li ha fatti conoscere. Essi mi vogliono, adesso, perché ho la roba. Andate, impiccatevi!
Ma la paraninfa sorrideva per lo sdegno di Pauledda: si alzava, deponeva la tazzina, s'accomodava la cintura e il grembiale.
- Tu hai ragione, Paulé; ma se l'uomo fosse un ricco? Andria Maronzu, verbigrazia? Quello non sarebbe per la roba, certo.
Questo nome soltanto riusciva a placare il disprezzo di Pauledda per gli uomini. Un giorno ella completò le sue confidenze dicendo a zia Carula:
- Sì, quand'ero molto giovane pensavo a lui come al figlio del re: ma adesso anche lui per me è eguale a tutti gli altri: né lui mi vuole né io lo voglio.
Ma la donnina se ne andò stringendo le labbra sotto il lembo della benda: ricordava uno dei «contos d'Isoppo» portati spesso ad esempio da zio Felix il potatore, di una volpe che non voleva l'uva perché non riusciva a prenderla.
Anche a casa sua ella parlava continuamente di Pauledda, della sua roba, delle sue doti di massaia, del suo disprezzo per gli uomini. I suoi figliastri spesso seguivano con attenzione i ragionamenti di lei; ma siccome ella aveva molta confidenza con loro e riferiva tutti i discorsi della sua amica, i giovanotti si beffavano delle fantasticherie giovanili di Pauledda.
- Corfu 'e balla, voleva l'ospite, ma ricco! Se fosse stato un venditore di pale e palette di Tonara non l'avrebbe voluto - diceva Merziòro, il maggiore, un contadino bonaccione, piccolo e roseo con una gran barba nera incolta.
E Taneddu il più giovane, un adolescente ancora bianco e sbarbato, mentre si divertiva a incidere una corredda 15 per suo padre che prendeva tabacco, disegnandovi su un vaso di fiori e una colomba, diceva con malizia:
- Così Dio m'assista, è il caso di correre una notte davanti alla casa di Pauledda e battere il portone fingendo d'esser rincorsi da un rivale. Quasi quasi lo faccio...
- Troppo giovane sei per lei, figlio mio - diceva seria seria la matrigna, mentre Merziòro rideva battendosi i pugni sulle ginocchia.
- Una donna ricca come Pauledda ha sempre quindici anni!...
Predu Paulu, il secondo dei figliastri, coi gomiti sulle ginocchia e il viso fra le mani, sputava fra le sue gambe aperte e taceva. Era un sornione, Predu Paulu; agile e pallido come il fratello minore, aveva la barba nera e l'astuzia del fratello primogenito; le chiacchiere della matrigna lo costringevano a pensare a Pauledda, e ricordando che una volta in paese straniero una donna lo aveva ospitato in casa sua, fasciandogli una ferita, pensava:
- A saperlo! Andavo da Pauledda, che ha le mani molli, mentre la mia ospite sembrava la madre dei venti, vecchia e scarmigliata com'era!
Pauledda cuciva nel suo cortile all'ombra del pergolato. Quando il portoncino era chiuso, a lei sembrava d'essere come una monaca nel suo chiostro, circondata dai muri alti del cortile e della casa che guardava sul monte. Il rumore del mondo le arrivava di lontano, come il rombo del mare o del vento nel bosco: buono a cullare i sogni di chi sta sicuro nel suo rifugio.
Il vento soffiava, infatti, in quei tiepidi pomeriggi primaverili, ma non turbava la quiete del cortile. Passava al disopra, il vento, agitando le foglie verdoline del pergolato che si sbattevano le une contro le altre, si abbassavano, si piegavano, si volgevano or qua or là, gialle di sole, pallide d'ombra, folli di vita e di passione ma sempre attaccate al tralcio scuro come gli uomini alla loro sorte; passava spingendo le nuvole d'oro che scaturivano come fiamme dalla montagna; passava portandosi via i profumi della siepe e il garrire delle rondini. E così le ore passavano, portandosi via le speranze e gli affanni della gente. La donna si alzava di tanto in tanto, per andare a bere una tazza di caffè, nella piccola cucina tiepida e ordinata; poi tornava a cucire, aspettando qualche visita. Questa era la sua felicità.
E le visite non mancavano. Erano le vecchie zie che tornavano dalla predica e ancora piangevano la morte e passione di Nostro Signor Gesù Cristo, era zio Felix il vecchio contadino che potava gratis tutti i pergolati e le piante degli orti dei suoi conoscenti, eran le madrine dei fratelli morti di Pauledda, erano le coetanee di questa, tutte prioresse delle feste religiose del paese e della campagna. I discorsi erano innocenti, allegri: se però le vecchie zie di Pauledda si decidevano a parlare male di qualcuno era un disastro: lo prendevano vivo, lo lasciavano morto. Un giorno presero appunto a parlar male dei figliastri di zia Carula.
- Ti sembrano tanti studenti, agghindati, coi capelli unti, con la cintura stretta: sempre in giro, sempre in cerca di qualcosa come la volpe. Uno, quello che si crede Andria Maronzu perché gli rassomiglia, e fa il bello, Predu Paulu, dicono persino che abbia l'amica, in un altro paese, una donna che lo ha ospitato una volta che è stato ferito o che è caduto da cavallo, non so. È vedova, ricca, che però non vuole sposarlo.
Pauledda serviva il caffè, e le tazzine tremarono sul vassoio quando la vecchia zia concluse:
- Salvo il peccato mortale, quella donna non fa male a viversene tranquilla in casa sua, piuttosto che a legarsi con uomini così...
- Andate, andate a confessarvi! Che modo di parlare è questo? - rimbeccò una delle prioresse. - Tutto, fuorché il peccato mortale.
Al solito Pauledda pareva rimaner estranea alla discussione; ma quando le amiche se ne andarono e cadde la sera ed ella sedette di nuovo sotto il pergolato a prendersi il fresco, i ricordi l'assalirono ravvivati dal racconto della zia. Ella non aveva mai pensato a prendersi un amante, pur riserbandosi tutta la sua libertà: era troppo timorosa di Dio e del mondo; ma l'esempio della ricca vedova del paese vicino le dava quella sera un vago rimpianto d'amore. Si rivedeva ragazzetta a quel medesimo posto sotto il pergolato, nelle notti di luna, mentre tutti in casa dormivano. Qualcuno passava fuori di corsa ed ella palpitava; qualcuno cantava in lontananza:
M'azes a zucher un'imbassiàda... 16
ed ella piangeva come se quell'ambasciata fosse di morte...
Come allora anche adesso la notte di giugno era dolce, piena di mistero e di poesia: tra le foglie della vite le stelle brillavano come acini d'oro e in lontananza i giovani innamorati cantavano incaricando gli uccelli delle loro ambasciate.
A un tratto parve a Pauledda che un tumulto risuonasse in lontananza: la voce che cantava s'era come sciolta in aria e l'accompagnamento corale si mutava in grida rauche. Una rissa? Dei rivali che s'azzuffavano? A poco a poco il tumulto cessò, il canto ricominciò, più lontano, ma l'attenzione della donna fu attratta da un rumore di passi che s'avvicinava sempre più forte e più rapido. Cessò proprio davanti al portoncino, e qualcuno batté cauto ma con insistenza. Ella credeva di sognare: s'alzò confusa e domandò chi era.
- Ohi! Son morto! Per l'amor di Dio, aprimi...
- Chi sei?
- Merziòro. Aprimi, Paulé, salva un cristiano... Son morto... Presto, presto, m'inseguono...
Ella aprì e l'uomo precipitò dentro, cadendo lungo il muro al quale appoggiò la mano tentando di risollevarsi, mentre Pauledda richiudeva il portoncino ma senza abbandonare il gancio pronta a riaprirlo se occorreva.
Ella aveva l'impressione che qualche cosa di straordinario accadesse; ma non era l'avventura romantica sognata da lei fanciulla.
- No, no; ma mi inseguono... Sono io... che ho ferito... un uomo, e adesso m'inseguono...
- Perché l'hai ferito?
- Perché? Ah, ti dirò... Dammi un po' d'acqua, per l'anima tua, Paulé; dammela...
- La brocca è lì, sulla panca; prenditela...
Egli s'era alzato, sano e salvo, e bevette. Nel silenzio s'udiva ancora il suo respiro ansante, ma al di fuori era tutto calmo e Pauledda sentiva cessare la sua sorpresa. L'uomo s'era seduto sotto il pergolato e diceva:
- Ascolta... Dio ti paghi l'ospitalità. Ma che hai paura, che tieni il portone in mano? Vieni; il pericolo è cessato. Si vede che quelli che m'inseguivano han preso un'altra via... Siediti! E che è la prima volta che vengo a trovarti? Devi sapere, dunque...
Cominciò a raccontare una storia un po' confusa, d'un nemico che lo perseguitava, che gli aveva ucciso il cavallo, che gli aveva rubato le pecore. Pauledda sedette accanto a lui e ascoltava silenziosa.
- Ora mi toccherà di nascondermi, per un po' di tempo... La giustizia è buona, ma è meglio guardarla da lontano, come il mare. Se tu potessi tenermi qui...
- Sarò come un tuo fratello...
- Taci!
S'udiva un altro passo, agile, rapido, lieve come quello di un uomo scalzo. Si fermò davanti al portoncino, ma passarono alcuni istanti prima che una voce bassa e supplichevole chiamasse:
Ella era balzata di nuovo in piedi, tremando. Chi era? L'inseguitore di Merziòro? Ed ella che non gli prestava fede!
- Non aprire, per Dio, - susurrò l'uomo tirandola per la tunica; ma ella cercava di liberarsi e di slanciarsi verso il portoncino.
Intanto quello di fuori insisteva, alzando la voce:
- Paulé, sei ancora alzata? Aprimi, per l'amor di Dio, salvami da un pericolo... Paulé...
- Mala fata ti guidi; che cosa cerchi qui, Tané? - gridò allora Merziòro, riconoscendo la voce del fratello minore.
E questi, al di fuori, tacque sbalordito, poi si mise a ridere. Pauledda si offese.
L'altro spinse il portoncino al quale ella non aveva rimesso il gancio, e tutti e tre cominciarono a ridere e a scherzare sul caso curiosissimo che aveva spinto i due fratelli a tentare nella medesima sera lo stesso trucco; ma per confortarli la donna andò a prendere un boccale di vino e versò loro da bere dicendo:
- Fosse pure stato stasera e domani sera non mi burlavate... Vi manca l'astuzia per simili cose, fratelli miei... Fosse stato vostro fratello Predu Paulu! Lui avrebbe fatto meglio!
E fu in seguito a queste parole che Predu Paulu, senza dir nulla a nessuno, andò a trovarla, di giorno, e poi anche di notte, e finì con lo sposarla.
L'ultima.
A poca distanza del villaggio a metà distrutto di Galte, si osservano le rovine di un paesetto di cui qualche anno fa esisteva ancora l'ultima abitatrice, una vecchia centenaria che teneva molto ad esser l'unica padrona del luogo. Un tempo era stata ricca: aveva posseduto case, terre, greggie: conservava ancora un terreno verso il fiume, coltivato a mezzadria da un uomo di Galte, e viveva di questa rendita, da oltre mezzo secolo sola in una delle due casupole rimaste su ma già curve come a contemplare le rovine intorno e desiderose di precipitare anch'esse. Di tanto in tanto una pietra cadeva, rotolava un po', si metteva a dormire fra le sue antiche compagne, sulla china del poggio ancora nero dell'incendio che aveva finito di distruggere il paesetto.
Le due catapecchie di pietra e di antichi embrici coperti di musco secco, ancora circondate di siepi, sorgevano alle due estremità del poggio; una guardava a ponente verso le montagne calcaree di Dorgali, l'altra a oriente sopra la pianura melanconica attraversata dal Cedrino. La vecchia abitava quest'ultima.
Un giorno d'autunno ella stava seduta sullo scalino traballante della sua porticina e filava, aspettando che il mezzadro le portasse le solite provviste; ma era quasi mezzogiorno, e giù per l'avanzo di sentiero che scendeva alle rovine di una chiesetta e poi si perdeva nella pianura sabbiosa e nei giuncheti, non si vedeva nessuno.
La vecchia però non s'inquietava: provviste ne aveva ancora, e del resto non si curava.
Aveva già fatto colazione con caffè e pane d'orzo, e il sole tiepido di ottobre le scaldava i piedi e le mani: si sentiva quindi felice, tranquilla come le pietre giù della china.
Quel giorno la terra godeva, cosa insolita in quei paesi laggiù, ove anche la primavera e l'estate son tristi, quando il fiume senz'argini è per la pianura un amante crudele che la feconda e poi l'annega, e il sole è un padrone implacabile che la tiene schiava e alla notte le dà una guardiana più feroce di lui, la febbre. Ma l'autunno stendeva i suoi veli azzurri sui monti della Baronìa, e giù nella pianura, lungo i giuncheti, le tamerici dorate crepitavano come fiamme, animate da stormi di beccacce.
Finalmente una donna apparve sul sentiero, arrivò ansando, depose un cestino davanti alla vecchia e vi si accovacciò accanto, nera e bianca, tremante. Dall'apertura del fazzoletto nero che le fasciava la testa e il viso i suoi occhi verdognoli guardavano smarriti, lontani.
- Lu idites? Lo vedete, se non era per voi non mi alzavo dalla stuoia: ho la febbre che mi tormenta come un demonio.
- Perché non è venuto tuo marito?
- Verrà, verrà, non dubitate! Ma stamattina aveva da fare... Lo ha chiamato il pretore, per l'affare della scomparsa di Grisenda, la malandata: a mezzogiorno non era ancora rientrato. Allora io, come spinta da uno spirito, mi sono alzata e son venuta... Egli, Efis mio, aveva già preparato quello da portarvi. Ma che sole, zia Pattoi mia: la mia testa arde come un'incudine.
Si posò la mano scarna sulla testa, e raccontò di nuovo come era andato l'affare di Grisenda, una ragazza di fama equivoca scomparsa cinque o sei giorni avanti dal paese.
- Sulle prime dicevano: è andata al fiume a lavare e s'è annegata. Han frugato entro l'acqua, ma gli uomini si guardavano e ridevano, cercando... Allora il pretore, che è un uomo di mondo, ha chiamato e interrogato tutti quelli che pare andassero dalla malandata. Anche mio marito, zia Pattò! Anche lui, alla sua età! Un uomo che è già anziano, che sta là sempre nell'orto a lavorare e non parla mai. Anche lui! Un uomo che pare non sappia se è in cielo o in terra. Quel pretore!...
Gli occhi verdognoli velati di febbre esprimevano uno stupore dolente; ma la vecchia guardava dentro il cestino, pieno d'involti e di ortaggi, e il suo viso nero e legnoso e gli occhi lattei esprimevano un'indifferenza selvaggia.
- Corfu 'e istrale assu pè! 17 Anche Efis? - disse finalmente.
La sua ironia era benevola, come di chi considera gli errori umani con disinteresse; eppure colpì la donna più che tutte le chiacchiere e le malignità appassionate delle sue comari e delle sue vicine di casa. La testa le tremò forte sull'esile collo e un cupo rossore le cerchiò gli occhi.
- Zia Pattoi - cominciò, ma tosto tacque, e si afferrò all'orlo del cestino come per sostenersi.
Ma l'altra continuava nella sua faccenda e il filo argenteo calava giù dalla conocchia come il filo d'acqua d'una fontana.
- Zia Pattoi... che ne dite, dunque? Anche lui!
Ma invece di consolarsi, la donna scoppiò a piangere.
- Zia Pattoi, sì, mondo!... Un uomo come lui... un uomo anziano... che pure sembrava innocente come una creatura di sette anni! Ed ecco che a un tratto diventa come indemoniato, con sette spiriti in corpo, e tutti maligni... Era stato dalla malandata, sì... non so come, non so perché... forse per castigo di Dio... Che ne sappiamo noi? Dio manda la peste, manda le inondazioni, manda la febbre e le male femmine. Ed Efis è andato, così, come io ho preso la febbre. E una volta andato è rimasto come la lepre presa al laccio. Dice comare Tiresa che una volta andati, da Grisenda, gli uomini non possono stare senza tornarci: è come quando prendono il vizio del vino. Suo marito, anche, andava, finché lei non fece fare gli scongiuri da prete Arras, coi libri santi. Anch'io, secondo ciò che risulterà, andrò da pride Arras... sì, oggi stesso voglio andarci, a costo di vendermi lo stuzzicadenti d'argento e la reliquia di San Costantino, per fare il regalo a pride Arras. Ma gli farò toccare i libri santi, per scomunicare la malandata, che il fuoco la circondi, ovunque ella si trovi, che sia perseguitata dagli spiriti maligni, che non si sazi mai di pane né d'acqua... Sì, perché le mie vicine di casa dicono che Efis era geloso degli altri uomini e che l'ha fatta nascondere lui... Forse qui, zia Pattoi... nell'altra casupola... concluse la moglie tradita, guardando minacciosa verso l'estremità del poggio.
La vecchia adesso, sì, tendeva l'orecchio come ad un rumore lontano: un rumore simile a quello della fiumana, quando l'acqua rombava giù nella valle e assaliva lentamente il poggio...
- Zia Pattoi! Voi dite: mondo! Mondo! Ma che vi pare adesso? Nella catapecchia, ho sentito sempre raccontare, ci son gli spiriti; ma Grisenda, la malandata, non ha paura degli spiriti. Ella se ne starà lì, contenta: verranno i carabinieri a cercarla, ma ella riderà con loro. Poi verranno gli uomini: e chissà che rumore, che baldoria... E Efis, mio marito, crederà di averla nascosta bene... Ma io andrò e le caverò gli occhi. Venite con me, zia Pattoi, andiamo a vedere... Sola ho paura... Mi sembra di averli già, gli spiriti, in corpo. Ah, la mia testa! C'è un chiasso, qui dentro, come nella valle del Giudizio...
Si alzò, premendosi la testa con la mano, e aspettò che la vecchia l'accompagnasse; ma questa mise dentro la roba del cestino e tornò a sedersi sulla pietra della porta.
- Ah, bella mia, da' retta a me: prendi il cestino e torna a casa tua. Nella catapecchia nessuno ha mai resistito a starci; fin da quando ero giovane io e la musca macchedda (la zanzara) e il fuoco non avevano ancora distrutto il paese, la gente diceva che là abitavan gli spiriti. Qualche anno fa venne un pastore, a starci, e morì dopo tre giorni; l'anno scorso anche un bandito, che era un bandito, e di Orgosolo anche, uomo di buoni rognoni, passò lì una notte; ma si sollevò tale vento, nella notte, che egli scappò né più l'ho veduto. Il vento annunzia disgrazie. Tu adesso tornerai a casa tua e berrai un infuso di tamerice, che fa bene per la febbre. Al resto penserà il Signore. Non gridare, non tormentare tuo marito. Egli è unito a te come la scorza all'albero e neanche la morte potrà distaccarvi. Va.
E la donna tradita se ne andò, pallida sotto il cerchio d'ombra del suo cestino vuoto.
La vecchia la seguiva con gli occhi: eccola, è giù sotto il poggio, piccola e grigia fra il giallore delle sabbie, è un punto nero fra i giuncheti rossastri, è sparita. Ma l'ombra del suo dolore era rimasta lassù, intorno alla vecchia che non si sentiva più sola né tranquilla. L'incantesimo della solitudine era rotto: anche il cielo si popolava di nuvole, laggiù verso il mare, lassù verso i monti, alcune rosee e leggere come fiori, altre rotonde e dorate come frutti; un tintinnio di greggie vaganti fra le tamerici saliva come la voce monotona del paesaggio, e il vento lieve del meriggio portava su l'odore sonnifero delle euforbie.
La vecchia non si addormentava, come gli altri giorni, ma non filava più, immobile ed enigmatica come lo spirito del luogo. Passò un'ora, ne passaron due, tre. Un uomo non più giovane col giubbone slacciato, le scarpe leggere, la barba incolta, nera e larga come una fascia intorno al viso sofferente, apparve in fondo al sentiero, e vedendo la vecchia cercò di passare dietro le rovine della chiesetta, ma poi mutò pensiero e andò a salutarla.
- Ebbene, Efis? Che nuove nel mondo?
- Andavo... Andavo di qui, in cerca di un amico... Mia moglie è venuta, stamattina? Che testarda! Aveva la febbre, eppure è venuta. È stata molto, qui?
- Un attimo, Efis. Aveva la febbre, sì.
- Che v'ha detto?
- Nulla, uccellino mio!
- È testarda! Adesso ho visto che andava da pride Arras. Dio sa che diavoleria faranno. Se torna qui, voi che siete savia come i saggi antichi, fatele un sermone; ditele che viva in pace... altrimenti... altrimenti...
- Mondo, mondo - disse la vecchia.
E l'uomo se ne andò, verso l'altra estremità del poggio, mentre ella ricordava le parole della moglie tradita:
«Adesso cominceranno le visite... Verranno gli uomini... e chissà che rumore... che baldoria...».
Riprese a filare, ma il filo scendeva giù tremolando. Ai suoi piedi vedeva allungarsi le ombre dei cespugli e in alto le nuvole andarsene verso il mare. Così, a un tratto, se n'era andata la sua pace: la donna e l'uomo le avevano col solo loro passaggio attaccato la loro peste di inquietudini.
Al tramonto si alzò, mise il fuso dentro, chiuse la porticina, cosa che non faceva quando era certa di trovarsi sola, e andò a pregare fra le rovine della chiesetta: di laggiù vedeva il profilo dei ruderi rosso al tramonto e ricordava l'incendio che aveva distrutto le ultime case del villaggio. Era il suo ricordo più vivo; un ricordo che del resto la seguiva sempre come un'ombra rossa. Il fuoco era balzato da una siepe, come uno spirito infernale, e in poche ore aveva divorato tutto.
Ritornando alla sua casupola vide l'uomo con la fascia nera intorno al viso scendere il poggio, sparire fra le sabbie rosee e le tamerici gialle. Ma ella non si sentiva più sola, e le sembrava che un nemico fosse annidato come una vipera fra le rovine: tutt'intorno le cose, i cespugli, i cardi secchi, persino la polvere sollevata da un improvviso soffio di vento, tutto pareva agitato da un senso d'inquietudine.
La vecchia preparò la sua cena, ma dopo aver acceso il fuoco si mise nel seno l'acciarino e un fungo secco che le serviva d'esca, e ogni tanto s'affacciava alla porticina, spiando la sera.
La terra diventava nera, ma il cielo splendeva ancora come uno specchio, e il vento che scendeva sempre più forte dai monti a nord dava come un ondular d'acqua nell'ombra ai giuncheti della pianura.
Quando tutto fu buio ella chiuse di nuovo la porticina e dopo aver nascosto la chiave sotto una pietra andò cauta e sicura lungo i muricciuoli diroccati, attraverso i mucchi di sassi, fin sotto la siepe che fasciava l'altra catapecchia. Là si accovacciò, con le spalle al vento, e trasse l'acciarino e l'esca. Nella notte si sentiva solo il soffio della tramontana che batteva alla stamberga facendo crepitare la siepe e scuotendo la porticina corrosa sotto cui si stendeva una frangia rossastra di luce: pareva il respiro affannoso della solitudine agitata dall'ira per la presenza del suo nemico: l'uomo.
Ma la vecchia lo considerava come un suo amico, il vento: il vento che precede le grandi disgrazie, che copre il cielo di nuvole rosse per annunziare le vicende di sangue, e che aveva fatto scappare persino il bandito di Orgosolo! Adesso la investiva tutta, dandole quasi un senso di gioia, e le pareva che scherzasse con lei, rubandole le scintille che scaturivano dall'acciarino; ma siccome il giuoco durava da un pezzo ella si volse stizzita e imprecò.
Come colpito dall'imprecazione il vento sostò un attimo, l'esca prese fuoco, e appena la vecchia l'ebbe avvicinata alla siepe, cinque fuscellini si accesero agitandosi come una piccola mano d'oro.
Ella andò a nascondersi dietro un avanzo di muro e vide due ali rosse palpitare, poi sbattersi sotto la siepe come quelle d'un uccello di fuoco legato al suolo che tentasse affannosamente di liberarsi. Quando poté farlo tutta la siepe diventò d'oro e la notte si riempì d'un soffio ardente e di una luce sinistra.
Allora una figura rossa e nera di donna parve balzar fuori dall'incendio: si guardò attorno spaurita gridando, poi si mise a correre verso la pianura, mentre la vecchia, immobile fra il rombo del vento e della fiamma, vedeva le pietre della casupola cader giù come grosse brage.
Mi recherete un'ambasciata...