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Ma neppure pensò di tornare indietro, anzi si mise a camminare tranquillo per il lungo viale confortandosi subito con la speranza di poter il giorno dopo e poi accompagnare la sua alla solitudine di quella passeggiata serena.
– Saremo amici, buona strada; dopo tutto tu mi accogli bene; tu sola mi sei venuta incontro e mi fai compagnia.
La strada, infatti, si faceva sempre più buona con lui, molle di erba fine, e odorosa; nello sfondo delle arcate fra un albero e l'altro gli lasciava vedere i prati placidi con vacche bianche e neri cavalli al pascolo, e le case dei contadini ritinte di ocra e di rosa, le siepi fiorite e i pergolati lucenti: tutto laccato come nelle cartoline illustrate.
Dietro i tronchi degli alberi qualche fiore di genziana pareva lo aspettasse in agguato e oscillava al suo passare: e anche la voce tenue del mare adesso gli veniva incontro come quella di un amico, sebbene fra lui e il mare, del quale ancora non aveva conoscenza, esistesse un malinteso fatto di paura e di ripugnanza.
Da quel muro turchino, sempre più alto davanti a lui, si staccarono appunto le prime due figure umane che gli fecero sperare di non essersi smarrito, o almeno di aiutarlo a trovare la via giusta; tanto più che gli venivano incontro guardando le sue valigie come oggetti straordinari.
Allora affrettò il passo e il cuore gli si riempì di luce.
Forse era la sua nipotina la bambina bruna vestita di rosso che l'altra figura di giovine donna teneva per mano.
– È lei il signor maestro De Nicola? – domandò con voce maschia la donna, fermandosi marzialmente davanti a lui. – Suo figlio è dovuto partire d'improvviso per un affare urgente, e la moglie è a letto con la febbre che le viene ogni tre giorni. Saluta il tuo nonno, Ola. Mi dia le valigie.
Ola guardava dal basso il viso del nonno, dopo che i suoi occhi neri obliqui che sprizzavano raggi d'oro avevano risalita tutta la persona di lui assorbendone ogni particolare; e non pareva disposta a salutare, anzi si tirava indietro afferrando i lembi del suo vestitino; eppure in questo vestitino increspato che si allargava fra le sue mani come un papavero tolto dalla buccia, e nella piccola persona tesa, e sopra tutto nel viso dorato riverso in mezzo al fiore dei riccioli neri, vibrava un'offerta irresistibile.
E il nonno, lasciate andar giù le valigie come un peso ormai morto, la prese fra le braccia, la sentì calda e viva contro di lui; e quando i capelli di lei, che erano salati, e la sua guancia più liscia e morbida del velluto, gli sfiorarono la bocca, trasalì come a un contatto d'amore.
La donna intanto aveva preso le valigie e si avviava dondolandole come due borsette leggere; tanto era alta e ben costrutta: una giovine Giunone incoronata di treccie gialle.
Il maestro la seguì, col suo nuovo peso.
– Dunque tu ti chiami Ola: io lo sapevo da un pezzo. Ola....
Il dolce nome gli si scioglieva in bocca come un frutto di miele.
Ola si schermiva lievemente, ma si lasciava trasportare volentieri, senza cessare di guardarlo in viso con i suoi occhi mutevoli fatti di sole e di ombra: sguardo di studio, più che altro, che osservava le rughe di quel viso così vicino eppure così ignoto, i punti neri del naso, i capelli che si accompagnavano fitti uno bianco uno nero come il giorno e la notte; e penetrava nella bocca cercando di spiegarsi il mistero dei denti d'oro che vi si nascondevano in fondo come gli anelli della mamma nel cassettone. Ella taceva però, e alle molte domande di lui rispose infine evasivamente:
– Papà mi porta oggi un fucile.
– Un fucile? Ma i fucili sono per i maschi. Io invece sai che cosa ti ho portato? Una bella bambola.
– Le bambole ce le ho, – disse lei, accogliendo la notizia con indifferenza: poi puntò il ditino sulla spilla della cravatta di lui, già prima bene studiata, e gli occhi le brillarono di bramosia.
– Anche papà ce l'ha, con una perlina rossa, ma non me la vuol dare.
– Abbiamo capito: tu vorresti questa: ebbene, se te la dò tu cosa mi dài?
Ola abbassò la testa, la risollevò piano piano e lo baciò sulla guancia.
– Ah, birbona, sai già l'arte. Ebbene, la spilla è tua, ma te la darò quando saremo a casa.
Allora lei, rossa per la gioia, si abbandonò su di lui. E furono subito amici.
Quando arrivarono allo svolto del viale, poichè adesso si apriva una strada meno generosa, anzi un viottolo solcato dal passaggio dei carretti, la donna consigliò il maestro di metter giù la bambina.
– Quella lì, a lasciarla fare, profitta di tutto. Giù, Ola, chè il nonno è stanco.
– Anch'io sono stanca, – ella rispose con voce davvero di stanchezza. E non cessava di toccare il piccolo fiore della spilla: era questa che le premeva.
– Ancora un poco, – disse il nonno raccogliendola di più a sè come per paura di perderla; e fece in modo che quella importuna di ragazzona andasse avanti.
– Chi è quella, – domandò quando gli parve che quella non sentisse. – è la serva?
– Ornella, un bel nome. Ma sta con voi?
– Sì, con noi. È la cugina del mio primo papà che è morto, e fa tutto in casa.
– Ho capito. È una parente povera.
Poi parlarono di cose più importanti. Sopra la siepe a destra del viottolo, fra le tamerici cineree appariva l'azzurro intenso del mare; e adesso Ola volgeva da quella parte gli occhi un po' incantati.
– Chi fa tutta quell'acqua? – domandò sottovoce, presa dal grande mistero.
– Ah, ne avremo del tempo per rispondere; – egli esclamò forte; e d'un tratto vide il vuoto dei suoi giorni disoccupati riempirsi come l'orizzonte del mare.
– Io no; ancora sono piccola.
– Bene, la scuola te la farò io. Andremo sulla spiaggia e ti dirò chi fa tutta quell'acqua.
Ma lei già non aveva simpatia per la scuola, e osservò che sulla spiaggia ci sono le conchiglie; meglio che studiare è, certo, raccogliere le conchiglie. Anche i fiorellini le piaceva cogliere, e vedendone una fila tremolante sull'erba del viottolo pregò il nonno di farla scendere. Prima però, toccando ancora la spilla, volle dirgli una cosa in segreto.
– Non dirlo a nessuno, che me la dài.
Mai egli aveva ascoltato un segreto più delizioso; e il soffio di quella bocca profumata gli sturò le orecchie come una fresca lavanda.
Quanti segreti non sarebbero seguiti a questo?
Un secondo ne seguì infatti subito dopo, avendo egli affermato, per dar maggior valore al suo dono, che la spilla era d'oro.
Ola diede una guardatina alla donna, arricciò il naso con malizia, e mettendo in derisione e in dubbio l'affermazione di lui gli disse sottovoce all'orecchio:
– D'oro? Di quello che caca il moro?
La parolina sporca fu per entrambi la più divertente del mondo. Entrambi risero forte, guardando alle spalle la formidabile serva, complici ormai e compagni.
Ed egli sentì con quella risata disfarsi tutti i suoi anni dopo l'infanzia, e ritornato al punto di partenza della felicità animale dell'uomo, che è la sola vera felicità, i prati e la spiaggia, i viottoli fra le tamerici e tutti i recessi del felice paesaggio gli sorrisero come al bambino che ha finalmente trovato il compagno col quale goderseli.
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