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Ola a sua volta seguiva la faccenda con viva attenzione: e quando fu pronto il bel pacchetto bianco ben legato col nastrino tricolore e il cappio da metterci dentro il dito per portarlo, tirò il nonno per il lembo della giacchetta e lo costrinse a sentire uno dei suoi segreti.
– Dammene un altro.
Ma lui voleva educarla, e sebbene a malincuore non la esaudì.
– Quando saremo a casa.
Per confortarla ancora le permise di portare lei il pacchettino, e di nuovo uscirono tra la folla, nella piazza dove pareva di essere in un grande cortile in comune: là tutti si conoscevano, e anche Ola ricevette e distribuì sorrisi a manca e a destra, mentre le erbivendole fissavano la loro curiosa attenzione sull'uomo che la accompagnava.
– È il tuo nonno?
– È il mio nonno, sì, – rispondeva lei scuotendolo per la mano, orgogliosa di lui, sebbene per soggezione di lui non accettasse qualche mela o qualche pisello che le donne le offrivano.
Ad una invece rispose con arroganza e tirandosi indietro. Non era però un'erbivendola, questa, ma una vecchia qualunque, piegata su un grosso bastone, coi grandi piedi che parevano morti e un fazzolettone nero legato intorno al piccolo viso della forma e del colore di una pera grinzosa.
– Dio vi benedica, – disse nonostante il malo modo di rispondere di Ola; e ritenendola una mendicante il maestro le offrì una moneta che lei rifiutò senza sdegno scuotendo la testa tremante come volesse dire: «Il denaro è buono, ma ci vuole altro per intendersi». E andò via senz'altro, con un passo lento e silenzioso di tartaruga.
– Chi è? – domandò il maestro.
– È la vecchia della villa degli Ontani: ruba i bambini.
– Non mi pare. Dov'è questa villa?
– Te la insegnerò io; la mamma non vuole, che io vada fino laggiù. Ma con te ci posso andare, non è vero?
E lo tirò con forza, già tutta presa dal piacere proibito. Rasentavano adesso la gradinata della vecchia chiesa che occupava tutto un lato della piazza; e al maestro venne in mente di entrarci, nella chiesa dove Ola era stata battezzata e dove forse si sarebbe sposata; per conto suo egli non praticava nessun culto esterno e aveva una sua religione speciale, la certezza che Dio è in noi e noi siamo in Dio e ci intendiamo nel suono stesso della nostra voce: ma era convinto che la religione cristiana è il solo punto di partenza, nelle anime grezze, per arrivare a quel grado di perfetta coscienza.
Sollevò dunque il piede sul primo gradino, per salire alla porta della chiesa; Ola però lo trasse indietro e fu per dirgli: – che fai, sei pazzo? – ma già conoscendo le ombre e le luci del viso di lui, con astuzia lusinghiera disse:
– Ci andremo domani, vedrai: domani è domenica. Adesso mamma ci aspetta.
Nonostante questa preoccupazione tirò in lungo: ricondusse il nonno al viale della stazione, fino al viottolo che andava verso la loro casa; e invece di avviarsi da quella parte lo costrinse a prendere la parte opposta.
Qui il viottolo s'allargava in una bella strada, fra l'arenile e i giardinetti di alcuni villini nascosti da siepi di tamerici. Verso la spiaggia si alzavano ancora, piccole colline ricoperte d'erba, le trincee fatte durante la guerra; alcune così alte che impedivano la vista del mare; poi la strada saliva, ogni traccia d'abitazione umana spariva, una fila di ontani fittissimi chiudeva a destra l'orizzonte.
Ola aveva riconsegnato il pacchetto al nonno e adesso era lei a stringergli forte la mano; e ogni tanto si volgeva indietro con paura un poco voluta ma anche sentita: così arrivarono davanti a un cancello di ferro, velato di una rete metallica, che chiudeva il solito viale con in fondo una villetta grigiastra a due piani circondata di alberi. Il luogo pareva disabitato.
– È qui che sta la vecchia, – disse Ola, scuotendo la mano del nonno poichè lui non pareva molto preso dal mistero del luogo.
La villa infatti non aveva nulla di speciale: rassomigliava a tante altre, che si vedono un po' fuori di mano nei paesi agricoli in riva al mare: un campo con vigna l'accompagnava, vigilato da una casupola di contadini; più in là una smossa zona coltivata a barbabietole completava il fondo.
Ma quello che colpiva l'attenzione di Ola e finì con l'interessare anche il nonno era uno spiazzo erboso a destra della casa, dove tremolavano come in una densa acqua verde le ombre di alti alberi; e fra queste ombre il biancheggiare solitario di alcune panchine di marmo e di due grandi tavole rotonde pure di marmo, la cui nudità fresca, ricamata di foglie cadute dagli alberi, diede al maestro il senso di solitudine e di tristezza che doveva incombere su quella casa abbandonata: e il mistero glielo spiegò Ola, un po' esitante:
– È una casa maledetta, sai. I figli hanno ucciso il padre, e sono fuggiti. Ma uno lo hanno preso e messo in prigione, e la casa è dei soldati, adesso. Ma i soldati non ci stanno: ci sta un uomo di un altro paese, e quella vecchia che ruba i bambini.
– E la madre?
– No, la madre dei cattivi figli.
– È morta. Non capisci che è morta! – esclamò lei con vigore, come per dire: se era viva la madre il fatto non succedeva.
– È da molto tempo?
– Che è morta? – disse lei che amava la precisione nel parlare.
– No, che il fatto è accaduto.
Ola sollevò la manina e sporse le labbra.
– Mah! questo non lo so. Forse saranno cento anni; forse due anni, – aggiunse incerta: poichè in fatto di tempo la precisione le veniva a mancare.
– Tu hai ragione: in questi casi qui il tempo non conta. Vieni, vieni, egli disse ritraendola dal cancello: e andarono a sedersi sulla proda della strada, fra l'erba e i fiori, in vista al mare. Ola avrebbe voluto un po' giocare, slanciarsi dietro le farfalle color zafferano che s'avvicinavano di preferenza a lei come per invitarla a seguirle; ma aveva paura della vecchia, e non cessava di voltarsi a guardare se veniva; e insisteva a raccontare il fatto del parricidio, non senza una tinta morbosa, finchè il nonno non cambiò discorso.
– Dimmi una cosa, Ola; è da molto tempo che avete in casa Ornella?
– Eh, da quel dì!
– Ti vuol bene?
– Mi vuol bene, sì, ma mi dà qualche pugno: però faccio da cattiva anch'io; e le metto le patate e le spille nel letto.
– Perchè?
– Così! – disse lei con una smorfia che significava: per il gusto di far del male.
– Non bisogna fare il male a nessuno, – egli cominciò con tono di predica; ma il suono della sua voce gli rinnovò quel senso di angoscia provato sul ponte del molo.
Poi pian pianino se ne tornarono a casa.
A volte Ola gli scappava di mano e nonostante le proteste di lui si arrampicava sui ciglioni del viottolo minacciando di non ridiscendere se non si saliva a prenderla: e poichè le era negata questa soddisfazione veniva giù a precipizio e rimbalzava contro di lui come volesse sfondarlo.
– Tu cominci a prenderti troppa libertà; e sei anche maleducata. Ma penserò io a metterti a posto, penserò.
Era sdegnato sul serio, il nonno; e lei chinò la testa e andò avanti mortificata. Le sue gambe a metà nude, dritte, eguali, levigate come di marmo rosa, commossero il maestro: ecco le colonne sulle quali oramai si poggiava tutto il suo mondo. Alle ombre di poco prima seguì una grande luce; ed egli ricordò un canto religioso che gli avevano insegnato in un tempo lontano, e del quale ricordava solo due versi e non interi
Il marinaio su le
onde
ti invoca, o Signore....
Null'altro; ma come dai ruderi s'intravede una metropoli dispersa nel tempo, tutta una sinfonia grandiosa di speranza e d'amore risorgeva dalle poche parole del cantico lontano.
– Io ti ringrazio, Signore; e tu perdonami se dubito ancora di aver ritrovato il porto. Eccomi qui, nel sole, con questa creatura, con Te: ho peccato e, forse, ancora non espiato; ma il mio cuore sarà puro, e pura sarà la mia carne fino all'ora della morte: e tutto ti offro, e tu passa sopra di me con tutte le legioni del dolore purchè il male non sfiori la nuova vita che cammina al mio fianco.
Riprese la manina di Ola e camminarono silenziosi.
All'appressarsi a casa disturbò di nuovo la loro felicità la voce della mamma che sgridava Ornella. Tacque però, l'aspra voce, al loro avanzarsi annunziato dal cane che sempre li precedeva; anche il gatto adesso li ricevette inarcandosi sulla porta, e il maestro, che amava molto i gatti, si consolò. Questo qui aveva un faccino prepotente ma bello, con due occhi quasi azzurri che risaltavano meglio sul velluto biondo e bruno del suo pelo.
Piegatosi a carezzarlo il maestro se lo sentì sgusciare di mano come un'anguilla viva, ma previde che presto sarebbero amici.
Un'altra bella sorpresa li attendeva. Sull'asse bianca per impastare la farina, stesi ad asciugare stavano vari reggimenti di un esercito di pallidi agnellotti; e dai fornelli veniva un profumo di sugo che vinceva quello del giardino.
Marga si aggirava per la cucina, piegandosi e sollevandosi di continuo, sempre con qualche oggetto in mano: ancora scarmigliata e con le vesti in disordine pareva si fosse accapigliata con qualcuno, e quando vide il pacchetto e l'involto col pesce che il maestro deponeva sulla tavola s'irritò alquanto, non per il disturbo ch'egli s'era preso, ma perchè i nuovi acquisti turbavano di nuovo l'ordine della cucina: tuttavia ringraziò calorosamente, e se la prese con Ola.
– Tu non dovevi permettere che il nonno si disturbasse: forse invece sei stata tu a condurlo in pescheria e in piazza. Ti conosco io, birba, ti conosco. E adesso mi tocca di cuocere il pesce. Via questa carta, via questo pacchetto. E tu hai ringraziato, almeno? No, lo so. Ringrazia.
La bambina aveva adottato, forse per spirito di imitazione, il metodo infallibile di Ornella; non rispondeva mai ai rimbrotti materni, anzi sviava il discorso perchè l'umore della mamma cambiasse.
– Sì, mamma, siamo stati in pescheria, e abbiamo veduto il babbo. E c'era la Gina Bluvin, con un vestito a righe gialle come Tigrino....
Particolari che al nonno erano completamente sfuggiti ritornarono nel resoconto di lei: tutto ella aveva raccolto e portato a casa come le piccole conchiglie che traeva dalla tasca e disponeva in fila sull'orlo della tavola, e il nonno non s'era accorto dove le aveva trovate.
La madre ascoltava infantilmente.
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