Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La fuga in Egitto
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In maggio l'inquilino del primo piano avvertì che sarebbe arrivato fra giorni.

Furono quindi spalancate le finestre, sbattute le materasse e lavati i pavimenti. Il maestro si offrì, poichè ce n'era bisogno, di cambiare lui la carta del salottino, come aveva fatto per la sua camera.

Marga protestò, al solito, poi finì con l'acconsentire: egli allora andò dal tappezziere del paese onde acquistare il necessario; e poichè nella scelta della carta fu aiutato da Ola, che ne consigliava una color mattone con fiori d'oro, lo stesso tappezziere disse che la scelta era ottima: il rosso resiste alla ruggine del mare.

I mobili del salottino, ammucchiati nel centro della stanza, furono ricoperti con una grande tela di vele: poi il maestro si confezionò un berrettino di carta, come usano i pittori di pareti, e se lo mise in testa di traverso, suscitando l'allegria di Ola; anche lei ne volle uno, e così, coi riccioli che le scappavano più neri da quella papalina bianca, divenne l'aiutante non del tutto inutile del nonno.

Fu lei che portò su dalla cucina della mamma a quella del piano di sopra un recipiente per preparare la colla, e al momento opportuno si trovò in tasca, poichè il Maestro ne era sprovvisto, un fiammifero per accendere il fuoco.

Egli dispose due lunghe assi sulla tavola da pranzo, ci distese il rotolo della carta alla rovescia, e cominciò a plasmarvi su la colla: e d'un tratto una voce non troppo alta ma calda e di una sonorità contenuta riempì il silenzio dell'appartamento illuminato dalla luce metallica del mare. Così cantano i giovani operai al lavoro.

Ola lasciò cadere il pennello che teneva in mano e rise follemente: poi ammutolì e guardò il nonno come uno sconosciuto. Era proprio lui che cantava? Era proprio lui, e si sarebbe detto che da giovane avendo egli fatto il pittore di pareti, adesso tutto il suo passato gaio di lavoro e di spensieratezza rivenisse su con quella voce e quel canto.

Tutte le cose intorno ne erano animate e pareva ascoltassero, anche quelle nascoste sotto la vela: anzi, Ola andò a vedere la sua bambola deposta sul divano e le sembrò che aprisse la bocca per cantare anche lei. Allora la prese in braccio e tornata presso il nonno si mise ad accompagnarlo in falsetto, ripetendo il motivo del suo canto.

Ma come richiamato a stesso egli tacque: poi disse:

Va a chiamare Ornella.

Ornella era nella camera in fondo, che lavava il pavimento: venne subito, in ciabatte e senza calze, con le braccia nude e il sottanino corto come quello di una ballerina. Le sue gambe ricoperte di peluria bionda, nude fino alle ginocchia rosee e lucide, destarono nel maestro un senso di meraviglia: egli non aveva mai veduto gambe di donna così alte e potenti, e ancora una volta pensò a non so quale bestia favolosa rassomigliante alla femmina dell'uomo.

Le fece prendere il lembo della carta tutta umida di colla; l'altro lembo lo prese lui e salì la scaletta a piuoli appoggiata alla parete. Così cominciò a incollare la carta, aiutato con abbastanza abilità da Ornella. Quando la prima striscia fu attaccata, indietreggiò fino all'altra parete, per vedere che effetto faceva: la bambina e la ragazza lo imitarono; ma d'un tratto questa, come ferita dal rosso della carta, arrossì tutta, poi stralunò gli occhi, impallidì, si piegò da un lato: ed egli fece appena a tempo a sostenerla con tutte le sue forze appoggiandosi alla parete per non cadere anche lui.

– Una sedia, sciocca, – gridò alla bambina che rideva nel vederli così abbracciati.

Ola accostò la sedia ed egli vi adagiò Ornella che cadeva da tutte le parti come fosse di straccio: poi ordinò alla bambina di andare a prendere un po' d'acqua. Intanto sosteneva la donna e la sentiva calda e fiorente fra le sue mani come una cosa vegetale: dalle braccia bianche rasate e venate di verde di sotto, e di sopra ricoperte di peluria dorata, dal seno che s'intravedeva candido come gonfio di latte, e dalle vesti intime di lei esalava appunto quell'odore speciale dell'erba fresca strappata e ammucchiata e che comincia a fermentare. Un attimo: ed egli provò uno stordimento misterioso, come se un gruppo di ricordi di adolescenza gli ingombrasse il cervello: e gli parve di rivivere in un luogo cavernoso, in un tempo lontanissimo, in lotta con un corpo ambiguo che gli sfuggiva e lo attirava e non aveva forma sostanza eppure viveva d'una vita intensa; come una medusa in fondo al mare.

– Ecco l'acqua, – disse Ola sottovoce, ansante anche lei per quell'improvviso sonno di Ornella. – Ma è morta? Ornella, svegliati; – gridò poi, pizzicandola al ginocchio.

Più che per gli spruzzi d'acqua sul viso e sul seno, Ornella parve svegliarsi a quel pizzico. Si portò la mano al ginocchio, si sollevò e riaprì gli occhi. E non pareva disposta a dare spiegazioni del suo malessere finchè il maestro stesso non la incoraggiò:

– Su ! È la primavera.

– È la primavera, – ripetè lei, pensierosa.

E tutto pareva finito quando ella si alzò di scatto dalla sedia, poi vi ricadde come se le gambe non la sostenessero, si piegò con la faccia fino al grembo e morsicandosi le vesti scoppiò in pianto. Ola le si buttò addosso, d'un tratto pallida e spaventata, e pianse forte anche lei.

Queste cose facevano male al maestro: davanti a quello scoppio di dolore senza ragione, folle tanto nella ragazza come nella bambina, egli si sentiva come davanti a un fenomeno inspiegabile che pure deve avere le sue radici naturali.

Dolcemente strappò Ola dalla donna, la strinse a , e si accorse ch'ella si nascondeva vergognosa contro di lui. A poco a poco i singhiozzi e gli stridi dell'altra cessarono; a poco a poco ella sollevò la testa come ascoltando un rumore lontano; poi si soffiò forte il naso con le vesti, e d'improvviso sgusciò via strisciando un po' curva lungo la parete.

Il maestro non disse una parola per trattenerla: solo scosse la bambina e la staccò da .

– Non vedi che mi sporchi tutto col tuo moccio? – gridò.

E bastò questo per dissipare la tempesta. Poi tutti tornarono al lavoro.

Il giorno dopo era quello della febbre, e Ornella rimase giù a sorvegliare Marga, mentre il maestro rifiniva le decorazioni del salotto. Ecco attaccato in alto il bordo della tappezzeria, rosso a striscie d'oro, che sembrava di broccato; adesso restava da ritingere lo zoccolo giù in fondo alle pareti, e anche a questo s'era provveduto, con un barattolo di vernice che pareva cioccolata sciolta e dentro il quale Ola frugava con delizia ritingendosi per conto suo le dita e la vestina.

A mezzogiorno tutti e due lavoravano ancora quando salì Antonio per chiamarli a colazione; Ola gli corse incontro destando, come sempre, una lieve gelosia nel nonno: il padre però tese le mani in avanti per difendersi da qualche possibile macchia, poichè indossava il vestito nuovo, quello di lana scura, che gli disegnava bene le spalle slanciate e ravvivava il colorito del suo viso.

Era stato al funerale di un vecchio marinaio suo dipendente, ma l'impressione che ne riportava era piuttosto di allegria: i suoi begli occhi umidi e lunghi brillavano di gioia e il profilo lucido e la bocca fresca lo ricordavano al maestro adolescente spensierato quando tornava da qualche scorreria coi suoi amici nei boschi della montagna, e riportava a casa, in trionfo, un uccello morto o una manciata di funghi. Poichè Ola lo rincorreva, e tentava di afferrarlo, egli cominciò a balzare e nascondersi qua e dietro i mobili, poi entrò nella stanza attigua e chiuse l'uscio: ma la bambina fece il giro dell'appartamento e lo raggiunse furtiva: e furono risate e stridi che riempirono come di un garrire di rondini le stanze silenziose.

– È ancora un ragazzo, – pensò il maestro, e diede allegramente gli ultimi tocchi alla parete, illudendosi ancora, come negli antichi giorni felici, che Antonio potesse mettere giudizio e diventare un figlio e uno sposo affezionato e fedele.

Anche a tavola, sebbene ogni tanto egli li pregasse di non dar molestia alla malata, quei due continuarono a scherzare e ridere. Per dare ragione della sua allegria Antonio disse:

– Se mi va bene un affare che oggi ho cominciato a combinare, oh sì davvero andremo a fare un viaggio a Gerusalemme e ad abitare poi il piano di sopra senza ricevere più in casa questi intrusi d'inquilini che vengono qui per fare economia e si dànno l'aria di baroni.

Si fregò le mani, poi parve ricordarsi di una cosa penosa.

– E farò venire i dottori più famosi d'Italia, per guarire la mamma.

Egli diceva così: la mamma, quando Marga non c'era, con affetto infantile.

– Io credo, – osservò il maestro, – che basti farle cambiare aria: portarla un po' in montagna, adesso che incomincia il caldo.

– Anche in montagna andremo, nell'Engadina ch'io conosco molto bene e dove ho pure un amico che è padrone di un albergo. Anche lui ha fatto fortuna in modo quasi eguale al mio. Teste matte tutte e due. Serviva con me nella Dogana e faceva l'amore con la figlia di un albergatore, di nascosto dei parenti di lei. Un bel momento è cacciato via dal posto, perchè aveva fatto non so che pasticci. Ebbene, per qualche tempo sparisce, poi si veste da contadina, e si presenta all'albergo offrendosi come donna di fatica. E viene accettato! E per tre mesi se la gode con la ragazza, finchè lei non confessa al padre di essere incinta. Vengono cacciati via dall'albergo, ma col tempo poi i parenti s'impietosirono e perdonarono. E adesso, morto il padre della ragazza, il mio amico è padrone lui dell'albergo. Gli voglio scrivere, anzi, uno di questi giorni.

Bravi, bravi ragazzi, – approvava il maestro sebbene a lui queste storielle, raccontate in presenza di Ola, non garbassero molto.

Anche Ornella serviva a tavola imbronciata, ma per qualche cosa che pareva riguardasse lei sola. Del resto nessuno badava a lei, tranne forse il maestro che ogni volta che la vedeva entrare la sbirciava solo per un istinto di curiosità ancora non bene definito da lui.

In fine di colazione Antonio le disse di andare a prendere una bottiglia di vino spumante per festeggiare la riuscita del buon affare. E quando la bottiglia venne egli si alzò e si mise a ridere come già ubbriaco: poichè nel cavo in fondo al vetro c'era un ragno bianco che pareva d'argento.

Fortuna! Fortuna!

Lasciò che il ragno uscisse frettoloso dal suo nascondiglio e nel vederlo correre smarrito qua e sul dorso della bottiglia, si piegò e lo aiutò raggiungere il pavimento. – Va pure! Tutti abbiamo diritto a vivere!

Ornella guardava: e sul suo viso il corruccio si scioglieva in un sorriso traversale, beffardo e quasi crudele. Ella infatti, mentre Antonio si rimetteva a sedere, allungò il piede e schiacciò il ragno. Solo il maestro si accorse del delitto e non disse nulla.

La bambina s'era un po' assonnata, e i racconti di avventure giovanili che il padre continuava a ricordare non la divertivano: ricominciò a ridere solo quando egli, dopo aver bevuto, fece finta di suonare il violino, con la testa reclinata sul braccio che sosteneva l'invisibile strumento, e pizzicandone le non meno invisibili corde ne imitò con la voce il suono. Poi egli finse di deporre sulla tavola lo strumento, e riempì ancora il bicchiere.

– Questo lo porteremo alla mamma; che beva anche lei per il nostro affare. Allora Ornella scattò.

– Ma non ne vuole, lo sai.

Gli occhi di lui corruscarono feroci.

Ornella! Portaglielo tu, anzi.

Ella obbedì; ma tornò subito col bicchiere pieno ove ancora tremolava il velo della spuma.

Bevilo tu, allora.

Lei non beveva mai, almeno in presenza degli altri: tuttavia vuotò il bicchiere, in tre sorsi; e il vino parve diventare fuoco sotto la sua pelle che si tinse violentemente di rosso.

E anche queste cose dispiacquero al maestro.

Maestro Giuseppe brontolone, – disse a stesso, quando, dopo aver salutato Marga e accompagnato Ola al suo lettuccio ov'ella s'era subito addormentata, anche lui si ritirò nella sua cameretta con l'intenzione di fare un sonnellino prima di rimettersi al lavoro. – Che hai da essere sempre così scontento? Su ogni cosa trovi da ridire e criticare, e non ricordi che pure tu sei stato giovine e hai messo in pratica il proverbio antico: giovinezza non è virtù. Anzi sai bene tu quello che hai fatto! E adesso tu pretendi dagli altri quello che tu non hai dato.

Ma nonostante i suoi pensieri mansueti non si sentiva tranquillo; non aveva voglia di dormire, non aveva voglia di leggere. Forse era effetto anche in lui della primavera, di quella primavera marina che scoppiava violenta come una tempesta.

La terra ringagliardita dall'alito del mare pareva sollevarsi su stessa, gonfia d'erba e di fiori; e ogni foglia, ogni fiore s'agitava con un senso di gioia quasi folle. Le rose delle quali era fiammeggiante il giardino di Ola, si sfogliavano o cadevano già intiere a terra come ubbriache; e il vento del meriggio ne gettava i petali, palpitanti come brani di pelle ancora viva, fin dentro la cameretta del maestro.

Chiuso in questa cameretta più che mai melanconica nel fasto dell'ora e della stagione, l'uomo si sentiva come un monaco nella sua cella; arriva un momento in cui pure il monaco, dopo i digiuni, i sacrifizi, le astinenze e le estasi, sente la sua carne ridestarsi e ribellarsi, e lo spirito sprofondarsi nella grande disperazione del nulla, quella che vuol dimostrare l'inutilità anche del dolore.

Maestro Giuseppe, andiamo fuori, andiamo a sperderci anche noi fra i granellini di sabbia sollevati dal vento.

Così pensò, e gli parve di prendere la sua anima per mano, come un bambino che piange senza ragione, e di condurla fuori.

Uscì silenzioso; la cucina era tutta ancora in disordine, poichè Ornella, profittando del riposo degli altri, forse chiacchierava coi contadini. Questa assenza di lei lo urtò, e maggiormente s'indispettì quando vide, nel piccolo portico dell'ingresso, la porta socchiusa. Ed egli era certo di averla chiusa a chiave, dopo essere ridisceso con Ola e Antonio dal piano di sopra. Un istinto che non era curiosità diffidenza, ma piuttosto paura, lo spinse a entrare e salire cauto le scale: e ricordava con angoscia il giorno dell'escursione con Ola, il modo di lei di sfiorare le pareti, il mistero che li conduceva come esplorassero un tempio sconosciuto.

– Questa casa sarà tua, Ola; tutta la luce del mare sarà tua, quando sarai grande e conoscerai l'amore.

Tutto gli ritornava su dal cuore agitato, mentre saliva gradino per gradino, e gli pareva, come in certi sogni, di andare su per una scala pericolosa.

Si fermò sul pianerottolo; anche la porta dell'appartamento era socchiusa, e gli diede l'impressione di una bocca aperta per parlare.

Una voce ne usciva infatti; ed egli intese allora il senso d'inquietudine e l'istinto subcosciente che lo avevano incalzato e condotto fin . Era la voce di Ornella.

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