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Era una lunga stanza addossata alla villa e che un tempo doveva aver servito da rimessa o qualche cosa di simile; metà era alta fino al tetto, del quale attraverso le travi si vedevano gli embrici rossi: l'altra metà era coperta da un soppalco al quale si saliva per mezzo d'una scaletta a piuoli.
– Lassù dorme mio figlio, – spiegò la vecchia. – Ci sono pure le lenzuola, che ci furono consegnate col mobilio.
– Bel mobilio, – pensò il maestro, guardandosi intorno.
Nell'angolo sotto il soppalco il giaciglio della vecchia era ricoperto di un drappo che pareva un sacco: mucchi di vecchie patate in germoglio e di foglie secche di granone accompagnavano gli altri pochi mobili luridi e sciancati che testimoniavano essere quella un'abitazione di cristiani. Le pareti, poi, grezze affumicate, avrebbero ricordato le cucine primitive dei contadini benestanti, senza la sporcizia, il disordine e il tanfo di stalla che davano a tutto l'ambiente un colore inumano: solo compenso a tanta miseria un grande camino, e un fornello sotto la stessa cappa, e il fuoco acceso che creava alla stamberga come uno sfondo di speranza e di possibilità di vivere.
Sul fornello bolliva una pentola nera col coperchio danzante che lasciava esalare un odore di fagiuoli conditi con aglio: odore umile e onesto che tuttavia ricordò all'uomo i saporiti profumi della cucina di Marga e il ditino di Ola che batteva l'unghia sullo smalto lucente della pentola annunziando il lieto desinare: ed egli non scacciò il ricordo, sebbene ne soffrisse; poichè la penitenza non è tale se non intessuta di grandi e piccole rinunzie.
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