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L'altro fratello mangiava con più furberia, nascondendo il suo piacere: i suoi occhi però sorridevano ai fiaschi, e quando il maestro ebbe riempito i primi due bicchieri e nel proprio versò l'acqua che non ha colore nè consistenza, quegli occhi ebbero un luccichio fra di compassione e di gioia: compassione per l'acqua, gioia per la speranza che i fiaschi rimanessero a disposizione dei soli invitati; ma la stessa bontà del vino vinse l'egoismo,
– E lei non beve?
– Non bevo. Il medico me lo ha proibito.
Queste parole furono accolte come una truce notizia; lo stesso taciturno Gesuino sollevò la forchetta come un tridente minaccioso.
– Accidenti ai medici e alle medicine.
E così cominciarono i discorsi.
– Una vota anche a me il medico ordinò di non bere vino, di non mangiare carne nè pasta nè fagiuoli. Mia moglie, che era una donna come poche se ne trovano, non fa osservazioni al dottore, ma andato via lui mi dice: Proto, non ti resta che raccomandarti l'anima a Dio.
– Ricordo, adesso, – gridò Gesuino. – E tua moglie mise subito a cuocere i fagiuoli e andò a comprare il vino. Il giorno dopo ti sentivi meglio.
– E allora bevete, alla salute del medico.
– Un'altra volta....
Ma troppo a lungo sarebbe riferire tutti i pericoli di morte ricordati specialmente da Proto, e sfuggiti col disobbedire al medico: finchè Gesuino ne raccontò una bella.
– Una volta mi sono slogato un piede. La moglie di Proto sbattè un uovo con olio e mi unse la caviglia, poi la fasciò forte: in tre giorni sono guarito. Scommetto che se si chiamava il medico mi si doveva amputare il piede.
Il maestro sorrise compiacente: poi si parlò di cose più allegre.
Si parlò anche dei mezzi per combattere le formiche, e come bisogna lasciare sulla pianta finchè si seccano completamente, i fagiuoli e i piselli da seme: solo verso la fine del pasto, quando il bel cacio rotondo fu tagliato a spicchi e parve sudare per il dolore ma poi si offrì con piacere alla bocca dei convitati, i discorsi ripresero una piega seria.
Fu lo stesso Gesuino a imbastire la questione: perchè l'uomo anche il più tranquillo si crea continuamente dei grattacapi?
Il suo viso, sotto la corona dei ricciolini rossi, s'era fatto di un bel colore arancione e gli occhietti azzurrognoli brillavano velati di lagrime. Poichè gli altri due lo guardavano un po' incerti, battè la mano aperta sulla tavola e accennò col capo la villa.
– Dico, corpo del diavolo, perchè quella gente lì, alla quale non mancava nulla, si è rovinata in quel modo?
Proto guardò il maestro, strizzando gli occhi per scusare la semplicità del fratello, e spiegò subito, filosoficamente, la ragione della tragedia.
– Perchè erano tutti matti da legare.
E per conto suo attaccò il secondo fiasco del vino.
– Già, – domandò il maestro, – come è andata la storia?
– È andata che stavano troppo bene, padre e figli; i denari però li teneva il vecchio, mentre i figli volevano divertirsi: di lì questioni e liti continue; finchè i figli ammazzarono il padre.
– Pazzi? riflettè Gesuino, già irritato per la spiegazione del fratello. – Malvagi erano; e Dio li ha castigati.
– Dio! Ma che Dio; Dio non s'impiccia in queste cose, altrimenti sarebbe malvagio anche lui.
– Tu parli così perchè non hai religione.
– E invece forse ne ho più di te, se lo vuoi sentire.
E già parve scoppiare una delle solite questioni, quando il maestro intervenne:
– Il fatto sta che l'uomo ha bisogno di agitarsi. Si comincia da appena nati. La vita è movimento, e anche gli astri e il mare non stanno mai fermi. Dio però ha dato all'uomo il giudizio, e tocca all'uomo convertire in bene la sua facoltà di azione. Lavorare e vivere in pace con sè e con gli altri. Questo può farlo chiunque, se vuole.
– Si vuole, si vuole, ma non ci si riesce – ribattè Gesuino. – Eppoi sono gli altri, che provocano.
– Chi, io? – dice Proto, agitandosi. – Ma se io sono l'uomo più pacifico del mondo.
– Adesso non si tratta di voi due, – riprende il maestro, versando loro da bere. – Oh sì, anche di voi. Vi volete bene eppure questionate sempre. Perchè, sentiamo.
– È lui, è lui, – esclama Gesuino, puntando il dito contro il fratello. – Trova tutto mal fatto quello che faccio io, critica tutto, o peggio ancora deride; mi tratta insomma come un ragazzo o un idiota; perchè si crede da più di me. Invece....
– Invece voi vi credete da più di lui: tutti siamo così! Il fatto è che abbiamo dimenticato le leggi divine. Umiliati, che sarai esaltato. E poi abbiamo dimenticato i Comandamenti. Scommetto che neppure voi, Gesuino, li ricordate. E neppure voi, Proto.
– Io no, di certo, – risponde Proto con un lieve sorriso di derisione, non per sè nè per il maestro, ma per il fratello; e questo se ne accorge e dentro si sente ancora smuovere la bile, ma si fa forza, si vince e umilmente confessa che i Comandamenti neppure lui li ricorda bene.
Allora il maestro cavò di tasca la pipa, e poichè Proto lo imitava gli offrì del tabacco.
– Io non ho vizi, – disse un po' dispettoso; intanto attirò piano piano a sè il fiasco e profittando dell'estasi di quei due continuò a bere. Il maestro però vedeva tutto, e ricordava le affermazioni di Marga che Antonio non aveva vizi: e mentre Proto fra uno sputo e l'altro continuava a filosofare, egli fumava forte guardando in alto verso l'azzurro del cielo già inargentato dal primo velo del crepuscolo, e vi si smarriva con dolore e con gioia.
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