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Nel sentire dei passi Antonio balzò fuori dalla cucina e arrossì come una donna sorpresa a fare del male.
– Finalmente ti trovo, – disse il maestro, toccandosi il cappello in segno di saluto. – È tutto il giorno che ti cerco. Come sta tua moglie? E Ola?
La sua calma rassicurò Antonio.
– Stanno bene. Ola ha trovato altri bambini e si diverte con loro. Si figuri che si è messa subito a far loro la scuola!
– E Marga?
– Anche Marga sta meglio. Avantieri ha avuto ancora il solito accesso di febbre, ma meno violento, tanto che alla sera s'è alzata: è però molto nervosa. Venga qui a sedersi, – invitò poi, rientrando nella cucina.
La cucina era alquanto in disordine, e ancora ci si vedevano le vestigia di Ornella, il suo grembiale turchino appeso accanto agli strofinacci, le scarpe sotto la tavola. Il gatto riconobbe il maestro e gli si strofinò alle gambe; anche il cane accorse di lontano, gli si piantò davanti fissandolo negli occhi, con le orecchie tese ad ascoltare; e ogni volta che si pronunziava il nome di Ola quelle orecchie, molli come di pasta, si abbandonavano un po' giù per subito risollevarsi. E tanto l'una come l'altra, le due bestie erano dimagrite, o per lo meno affamate.
In mezzo a quei segni di disordine chi non sembrava cambiato, dopo il primo momento di sorpresa, era Antonio; vestiva con accuratezza, con la camicia pulita e la cravatta di seta arancione bene annodata: non solo, ma aveva le scarpe nuove fiammanti, dello stesso colore della cravatta, e spiegò che la sua assenza del mattino derivava da quelle scarpe, poichè per trovarle di suo gusto era andato a comprarle nella città vicina.
I suoi dolci occhi limpidi, che le lunghe ciglia pudicamente velavano, erano i più innocenti di tutti quelli intorno: tanto che il maestro ancora una volta se ne sentiva intenerito, pure irritandosi della sua bontà.
Nonostante questa reazione domandò, anche lui involontariamente ingenuo:
– Tu sei solo, qui?
– Sì, solo. Ho cacciato via a calci quella sgualdrina.
– Lo so, – disse il maestro, riprendendo il senso della realtà: – e sono qui per chiedertene il perchè.
– Lei lo sa meglio di me. L'ho cacciata via perchè lei se ne è andato.
– E se io non me ne andavo, tu la tenevi ancora?
– Non so. So che mi ha dato la sua lettera sbeffeggiandomi: allora ho perduto il lume degli occhi e l'ho trattata come si conveniva.
– Ma tu sai lo stato in cui si trova?
– Uff! – sbuffò l'altro. – Lei prende le cose troppo sul serio. Quella è una ragazza perduta fin dall'infanzia: è lei che va addosso agli uomini, e non c'è da usarle gentilezze.
– Tu però, Antonio, non la trattavi male, quando ti faceva comodo, e volere o volare la creatura che ha in corpo è tua. Lasciamo andare, del resto: parlare con te è come parlare non dico con questo cane che è più sensibile di te, ma col muro. E io sono qui per chiederti solo di darmi almeno le vesti della disgraziata.
– Ah, è venuta da lei? Ha rubato il cuore anche a lei? Stia attento.
Gelosia, scherno, stupore e curiosità e anche malvagità vibravano nel suono della sua voce: il maestro era pronto a tutti i colpi, anzi quasi ne godeva e ci si divertiva.
– Sto attento, sì. Ma chi sa che non finisca di sposarla proprio io? Ad ogni modo, poichè ho pochi denari per farle il corredo, dammi, ti ripeto, le sue vesti e le sue scarpe.
Antonio si accigliò, guardò ai suoi piedi.
– Dov'è quella ragazza?
– Che t'importa?
– M'importa, invece. Si parla in un modo ma si pensa in un altro.
– È presso di me, – disse allora il maestro, con voce ferma e triste.
D'un colpo l'altro sollevò il viso, con la rabbia e l'umiliazione di uno che è stato vinto e burlato.
– E lei dove sta?
– Che t'importa anche di questo? Se t'importava venivi a cercarmi: invece sei andato a comprarti le scarpe nuove.
Antonio balzò in piedi stringendo i pugni quasi volesse percuotere il maestro; andò fino alla porta per respirare meglio; poi tornò a sedersi e prese un atteggiamento rigido.
– Lei ha ragione: sono peggio delle bestie, rinnegato da Dio. Ho fatto sempre di mia testa, spinto sempre dal diavolo: ma adesso voglio rimettermi a lei, come avrei dovuto farlo da bambino. Mi dica lei cosa devo fare.
– Tu devi proporti di non riavvicinare mai più quella donna. Quando il figlio sarà nato penseremo a lui.
– Penserò io, a lui, – disse Antonio tragicamente. – Lo metterò in collegio.
– Appena nato? Forse non l'accettano.
Scherzava, il maestro, o a sua volta lo scherniva? Antonio lo guardò corrucciato, poi rise. E il suo riso ricordò talmente quello di Ola che l'ombra del colloquio si mutò in luce.
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