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Portò lui stesso a casa il fagotto di Ornella, con dentro anche le scarpe: e non per il peso, ma per certi suoi pensieri, camminava meno lieve che nell'andare.
– Adesso che si vede definitivamente respinta, Dio sa che scena farà, – pensava.
Aprì con cautela il cancello, del quale solo lui possedeva la chiave, e avanzò quasi timidamente, deponendo il fagotto in un angolo dietro la casa; voleva prima esplorare l'umore di Ornella. Ma per quanto la cercasse, Ornella non era in casa nè fuori. Per la porta spalancata si vedevano le galline spadroneggiare entro la stanza: due galletti gialli e bruni, irti come aragoste crude, si beccavano ferocemente sotto la tavola, e il gallo fiammante e una giovine pollastra bianca come una colomba facevano il comodo loro.
– Ma bravi! – egli disse battendo le mani come ad applaudirli.
E quando riuscì a cacciar via anche i duellanti ciechi e sordi ad altro che non fosse il loro odio, andò a vedere presso i contadini.
Ornella era proprio lì, nel gran sole placido, con l'alta figura campeggiante sullo sfondo verde e azzurro: il cerchio spigato delle sue treccie pareva toccasse il cielo. I due fratelli la guatavano, piccoli davanti a lei, un po' ancora piegati sul loro lavoro, un po' protesi verso di lei: e tutti e tre ridevano e parlavano sboccato, avvinti dallo stesso incanto bestiale. Ed egli disperò della misericordia di Dio.
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