Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La fuga in Egitto
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Fu il principio di una specie di seduzione. Come il serpente al suono del flauto del selvaggio che lo vuol prendere, ella s'avvicinava al maestro nel sentire i racconti di quel paese lontano.

Sopratutto la interessavano i cacciatori che d'estate e d'inverno penetrano la foresta e ne scovano le bestie quasi feroci, come il cinghiale e il lupo, non senza il pericolo di diventare a loro volta selvaggina.

– Ci sarà anche il lupo mannaro, quello che si trasforma in uomo, – disse una volta; e il maestro ricordò che anche Ola credeva all'esistenza di questi animali misteriosi con i quali le mentalità primitive si spiegano ancora la ferocia dell'uomo.

– È l'uomo che spesso si trasforma in lupo, – spiegò non senza ironia; ma lei non capiva neppure lontanamente certe cose, e al simbolo sovrapponeva sempre la realtà.

– Ma come fa a trasformarsi? Io poco ci credo, a queste cose.

Eppure aveva paura dei morti, e anche lei affermava di sentire qualche rumore strano dentro la casa maledetta; una sera che qualcuno venne a bussare alla porta non volle aprire perchè, disse sottovoce avvicinandosi spaurita al maestro, doveva essere lo spirito del padre ucciso dai figli.

– Ma sarà Proto o Gesuino, altri non può entrare, – egli disse infastidito.

D'altronde non poteva aprire lui, perchè s'era già messo a letto e sudava: poichè dal giorno della gran pioggia un po' di febbre e dolori reumatici lo tormentavano.

Dopo aver bussato alla porta, la persona, di fuori, picchiava un po' timida un po' insistente, ai vetri della finestra.

Ornella si fece coraggio: domandò con voce grossa:

– Chi è?

E il maestro non le diede torto, di non voler aprire, quando una voce sconosciuta rispose:

Amici.

Amici, chi? – gridò allora lui, mettendo la testa fuori delle coperte.

L'uomo fuori esitò; poi rispose anche lui con voce forte:

– Sono Adelmo Bianchi.

E tutto, per un momento, fu silenzio: anche gli alberi avevano cessato di stormire: uno di quei momenti scuri che sono come il punto fermo fra un atto e l'altro dei grandi drammi.

Adelmo Bianchi era il parricida.

Apri, – disse il maestro a Ornella, e poichè lei, col viso bianco spaventato, non poteva muoversi, egli fece atto di alzarsi.

La voce di fuori riprese:

– Se la disturba non apra. Ero venuto così, per vedere la casa, perchè fra un'ora parto e non tornerò mai più.

Era una di quelle voci passionali, dolci e calde, come se ne sentono solo in teatro; il terrore di Ornella si sciolse quindi in un tremito di commozione indefinibile, come se quella voce l'accarezzasse tutta, disperatamente.

Anche il maestro, per quanto si dominasse, sentiva il suo sudore aumentare e raffreddarsi; non per paura del parricida, ma degli impicci che potevano derivargli dalla sua visita; tuttavia ripetè:

Apri.

E Ornella aprì, nascondendosi dietro la porta fino a che il terribile visitatore non fu in mezzo alla stanza: poi richiuse, piano, e lo guardò alle spalle, delusa e quasi sdegnata.

Era un giovine piccolissimo, magro, mal vestito: sembrava un ragazzo vagabondo, e non gli mancava neppure il sacco, ch'era poi un vecchio zaino da soldato: anche in testa aveva un berretto da soldato, e se lo tolse per salutare il maestro.

Adesso Ornella gli andava dietro, alta più di lui di tutta la testa, e pensava che se quello moveva un dito per far del male, lei lo avrebbe potuto stritolare fra le sue braccia.

A sua volta il maestro pensava ad una mistificazione, a una qualche malvagia burla degli amici di Antonio; ma sebbene con la mente annebbiata dal suo malessere, non si lasciava vincere dal turbamento dall'ira.

Quando però il giovine gli fu davanti, rispettoso ed umile, ed egli lo potè bene vedere in viso non dubitò più: era un viso come scolpito in legno scuro e rosicchiato dai tarli; la bocca circondata di peluria, i grandi occhi, e tutti i lineamenti vi segnavano profondi scavi neri. Era il viso stesso del castigo.

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