Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La fuga in Egitto
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Bevuto il vino il giovane parve dapprima accasciarsi come preso da una invincibile sonnolenza: poi il suo viso si colorì; le mani, lunghe e femminee, che stringevano la tazza per scaldarsi, si fecero rosee, e anche la voce divenne più calda e modulata.

– Quello che più mi fa paura è il freddo; non lo resisto, e vorrei passare l'inverno come le talpe sotterra a dormire. Il caldo invece è il mio elemento: e perciò me ne vado nei paesi del sole, in Australia o nell'interno dell'America del Sud; voglio vivere come un serpente, al sole; o nelle foreste dove le foglie sono così grandi che un uomo ci si può coricare come in una culla, e i tronchi scavati degli alberi servono da capanne. Vivere di pesca e di caccia, ritrovarsi nudi a contatto con la natura vergine, questo sarebbe il mio sogno; ma io devo pur lavorare, per mio fratello, e forse la sorte mi spingerà invece nelle grandi città industriali, nelle bolgie dove col sudore della fatica si fabbrica l'oro. Basta; Dio mi aiuterà. Se permette le manderò mie notizie, e lei, che è così buono, mi darà notizie di qui, – disse poi guardandosi attorno: i suoi occhi ingranditi si fermarono ancora su Ornella, e poichè lei lo fissava affascinata i loro sguardi s'incontrarono e si fusero perdutamente come quelli di due amanti.

Il maestro si accorgeva di tutto e ne provava dispetto. Ecco che quella sgualdrina affilava le sue armi, anche con uno di passaggio per un'ora, con l'ultimo dei delinquenti che fra un'ora il vento della sorte portava via per sempre. Ma pure lui aveva l'impressione di sognare. Il polso gli batteva forte, e il calore e il ronzìo delle orecchie gli rivelavano la febbre. I discorsi del giovine gli sembravano sempre più sconclusionati e gli davano noia: chiuse gli occhi per dimostrare la sua stanchezza, ma quello si volse di fianco sulla sedia e continuò a parlare rivolto a Ornella.

– Io credo di aver una volta ballato con te, due o tre anni fa, al veglione. Me ne ricordo perchè tu eri già alta così, se non così grassa, mentre io era più piccolo ancora. Quanti anni mi dai? Ancora non ho compiuto i diciannove anni, ma già mi sembra di averne cento. L'anno venturo, poi, oltre il resto, mi dichiareranno disertore, mentre il mio ideale, da ragazzo, era di studiare anche per seguire la carriera militare e servire degnamente la patria. Dio non vuole: ma non importa. Laggiù dove voglio andare potrò forse anche arrolarmi nelle milizie coloniali, e poichè il fegato non mi manca potrò anche distinguermi e diventare ufficiale. Hai mai veduto un ufficiale delle milizie coloniali?

Ella non ne aveva mai veduto; ma subito lo immaginò vestito di rosso e d'oro, con le piume verdognole dei nostri bersaglieri, le armi lampeggianti al sole del tropico. E non rispondeva, anche per non farsi sentire dal maestro, ma passo passo, gira di qua gira di , si riavvicinava al giovine, come s'egli la tirasse con un filo invisibile: e a misura ch'ella si accostava, egli a sua volta pareva riconoscerla meglio.

– È proprio con te che ho ballato al veglione, due anni fa. Eri vestita di verde, con altre tue amiche e un uomo mascherato; sì o no? Chi era?

Ornella alzò le spalle: era certa di non essere stata al veglione, due anni prima, anzi ricordava che Antonio le aveva proibito di andarci; ma le piaceva che il giovine credesse di aver realmente ballato con lei.

– È l'ultimo ballo che io ho fatto; anzi, ricordo, quella notte appunto uscendo dal veglione mi sono buscata una bronchite che poi è degenerata in otite secca e questa in meningite. Tre mesi sono stato tra la vita e la morte, e guarito non fui più io. Tutto mi dava ai nervi, e le liti continue fra mio padre e mio fratello mi destavano l'impressione di essere morto e condannato all'inferno. Se io potessi scrivere i sogni che ho fatto in quel tempo sarebbe un libro terribile, più terribile della Divina Commedia. E ancora faccio di questi sogni: mi sembra sempre di camminare o nel deserto tra le sabbie che si muovono e sono esseri viventi tormentati dal vento che li trasforma di continuo; o nel mare, dove le onde fanno lo stesso giuoco, ma sono esseri più allegri, sebbene di una cattiva allegria; oppure vado su, su, per una scala di macigni, dalle cui fessure escono uccelli e serpi, e un bel momento mi trovo incassato fra due pietre, col capo sopra un abisso senza fondo. Sono i sogni del sangue agitato, lo so, eppure mi fanno soffrire terribilmente: però io non li sfuggo, anzi quasi li amo, perchè soffrire è espiare, ed io voglio espiare; soffrire fino a che il dolore purificherà il mio sangue e la mia carne e mi rinnoverà come un bambino innocente.

– Per questo non voglio andare in carcere, – riprese, rivolgendosi verso il maestro, come per sfuggire alla tentazione della donna. – Nel carcere mi acquieterei, diverrei come gli altri, tranquilli nel loro castigo, anime già morte. Io voglio vivere, vado nel mondo non in cerca di libertà ma in cerca di dolore. Non sono, come sembrerebbe, un delirante: sono un uomo, sono l'uomo che passa attraverso la vita come la nuvola nel cielo: vengo dalla tempesta, tornerò nella tempesta. E se la nuvola caccia giù la grandine che rovina il raccolto e uccide gli uccelli, che colpa ne ha? Così io ho ucciso mio padre perchè la sorte mi spingeva: se volessi costituirmi troverei l'avvocato che potrebbe farmi anche assolvere dimostrando che io ero malato di mente nell'atto di compiere il delitto: ma io non voglio: voglio compiere il mio ciclo, seguendo la mia sorte. Se mi pigliano vuol dire che così deve essere. Ma non mi piglieranno. In tutti questi ultimi mesi ho vissuto come le bestie selvatiche, sotto terra, fra le pietre e i cespugli, e mi sono nutrito di erbe e di frutta. Non conosco più il sapore del pane, e il vino che questa donna mi ha dato ha acceso la mia testa, e sento che ho chiacchierato abbastanza: giuro che non berrò più una goccia di vino.

Poi guardò l'orologio a sveglia che in cima al cassettone, bianco e impassibile come la luna, continuava a girare le sue lancette. Nel silenzio il maestro riaprì gli occhi e vide che Ornella si era di nuovo affacciata al dappiede del lettuccio ma con la testa bassa mortificata.

– Ancora cinque minuti, – riprese il giovine, sempre guardando l'orologio. – A dire la verità ero venuto qui con cattive intenzioni. Sapevo che il custode della casa era un uomo debole, disarmato; che non c'è neppure il cane. Ero venuto qui con l'idea di penetrare nella casa a tutti i costi. A tutti i costi, intende? Volevo rivedere la nostra dimora, e prenderci qualche cosa, almeno l'ocarina e l'anello di sposa di mia madre. Dicono che l'anello di sposa della mamma porta fortuna. Io volevo pigliarmelo, prima del fatto, ma guai a toccare nulla in casa: di qui nascevano le questioni terribili fra di noi. Vuol dire che ne farò a meno anche adesso: porterò via un po' di terra sulla suola delle scarpe!

E finalmente sorrise: un sorriso che gli scavò due fossette nelle guancie e gli circondò gli occhi di rughe, eppure lo ringiovanì e fece bello: ma che tosto si spense: e fu come s'egli si fosse levato per un attimo la sua maschera tragica per mostrare il suo vero viso di adolescente.

– Se vi piace qualche oggetto qui, – disse allora il maestro, – pigliatelo pure.

Il giovine si guardò intorno come per scegliere davvero l'oggetto; i suoi occhi si fermarono di nuovo su Ornella, di nuovo il sorriso apparve e scomparve.

– Mi porto via questa ragazza, col suo bagaglio e tutto.

Ma lei abbassò ancor di più la testa, punta mortalmente da quelle ultime parole: e anche il maestro non rispose allo scherzo; piuttosto insistè:

– Se vi occorre qualche cosa ditelo pure: almeno un po' di pane e di prosciutto per il viaggio. Ornella....

Ornella si sollevò pronta; il giovine si alzò anche lui, tirando su il suo zaino: stette un momento in silenzio, poi disse:

Grazie, non mi occorre nulla. Solo, se mi permette, le un bacio.

E poichè il maestro metteva fuori la testa dal lenzuolo, egli si piegò e lo baciò sulla fronte umida di sudore. Poi Ornella aprì la porta ed egli se ne andò.

La mattina dopo, di buon'ora, Ornella andò dai contadini per pregarli che si recassero a chiamare il dottore: nella notte la febbre era cresciuta al maestro e adesso egli respirava con affanno.

– Chi c'è stato da voi ieri sera? Il cane era inquieto, sebbene non abbaiasse.

– Nessuno c'è stato, – affermò lei recisamente.

Il dottore arrivò solo verso mezzogiorno, in bicicletta, col cappotto di stoffa impermeabile tutto lucido e sgocciolante di pioggia.

La sua figura incappucciata e nera, parve di cattivo augurio al malato; al quale questo presentimento della morte non dispiacque. Era stanco: forse Dio voleva riprenderselo e sciogliere così i problemi della sua povera vita: ed egli si abbandonava al suo male con la tristezza che il male alla carne ma con una luce di speranza nell'anima pronta al grande viaggio.

Il dottore però lo incoraggiò. Era un uomo anche lui già quasi vecchio, stanco e timido, che non credeva alla sua scienza e andava dritto al cuore del malato. Anzi la prima cosa che faceva era di ascoltare questo cuore e se lo trovava fisicamente forte dava per salvo anche un moribondo.

– È tutta questione del cuore, – disse al maestro, ricoprendolo dopo averlo esaminato accuratamente. – L'uomo soffre più o meno, e fa più o meno soffrire a seconda della costituzione del suo cuore. È inutile cercare l'origine dei nostri mali, fisici o morali, negli altri organi: quando il cuore è ben piantato in mezzo al corpo, e ordini precisi al sangue, tutto va bene; è come il comandante di un esercito. Il suo cuore è buono: non si preoccupi dunque se un po' di bronchite le quest'affanno. Cerchi di sudare: latte caldo e coperte di lana: basta.

Nel pomeriggio la febbre e l'affanno aumentarono: se si avvicinava al lettuccio, Ornella aveva l'impressione di essere davanti ai fornelli quando la pentola vi brontola su. Il malato taceva, non si lamentava neppure quando la tosse rantolosa lo costringeva a sollevarsi e spasimare: e lei lo guardava spaurita, incerta se doveva mandare o no ad avvertire i parenti di lui.

Questo stato di cose fece dimenticare ad entrambi la strana visita della sera prima; anzi, nei momenti di requie, quando il pensiero si salvava dall'oppressione del male, il maestro confondeva la figura del parricida con le altre che l'incubo della febbre gli faceva passare in mente. Tutto era stato un sogno; tutto era un sogno, e la sua vita stessa che si dileguava come quella triste giornata di pioggia non era che un sogno.

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