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Quello che per la circostanza si mostrò il più utile di tutti fu Gesuino.
Lavò i panni del neonato, sbrigò le faccende di casa e, per non mostrarsi da meno del fratello, portò anche lui il suo dono: un bel pezzo di carne di maiale, foderato di grasso.
– Questo lo voglio proprio arrostire a modo mio, tanto che Ornella se ne leccherà le dita.
– Mi pare sia un po' troppo presto, darle da mangiare carne di maiale, – osservò bonario il maestro, e per non offendere Gesuino aggiunse: – faremo piuttosto un piccolo banchetto fra di noi.
Così fu fatto: alla sera Proto andò a comprare il vino, di quello che ben sapeva lui, e l'ospite, anche per mandar giù l'arrosto veramente cucinato a perfezione col rosmarino e il lauro, per la prima volta dopo lunghissimi anni di astinenza, bevette e naturalmente si ubbriacò. Ma era un'ubbriachezza cosciente e volontaria, che gli dava l'impressione come s'egli portasse la sua anima a spasso, in un bel mattino di estate, permettendole di svolazzare qua e là come le farfalle sui prati in riva al mare, tenendola però sempre d'occhio perchè non incorresse pericolo.
Così frenò il desiderio di raccontare ai contadini i suoi progetti per l'avvenire: d'altronde anch'essi parlavano poco, quella sera, per non disturbare Ornella: un po' di chiasso si fece all'arrivo della piccola levatrice, e dopo ch'ella ebbe sistemato per la notte la puerpera e il bambino.
– Beva un bicchiere con noi, – pregò il maestro: e lei non chiedeva di essere pregata molto.
– Ho da fare, stanotte, e non voglio cadere nel fosso, – disse con la sua grossa voce, e mandò giù il vino, d'un botto, come lo versasse dalla finestra.
– Uno anche per me, disse galantemente Proto, alzandosi e porgendole il bicchiere pieno.
– Pazienza, – rispose lei, e prese il bicchiere fra le sue piccole mani come volesse riscaldarsi o riscaldare il vino. – Mi farà male sul serio.
Allora Gesuino sollevò il suo testone la cui ombra riccioluta si agitava sulla parete come quella di un albero spinoso; e pronunziò la sua sentenza:
– Perchè il vino non faccia male bisogna berne tre bicchieri.
– Già, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
– Amen, – rispose serio il contadino: e porse pure lui il suo bicchiere pieno. – Se non beve mi offendo.
– Sa che c'è, –– intervenne il maestro, allarmato per la sicurezza della levatrice, – perchè il vino non faccia male, bisogna mangiare qualche cosa. Si metta a sedere.
– Ho da fare, le dico, – gridò la donna.
Ma Proto si alzò, la prese per le spalle, e la costrinse a sedersi. Il maestro le mise davanti una fetta d'arrosto, il pane, il sale; e lei rimase lì fino a tarda ora.
Parlavano piano, e lei raccontava le storie di tutte le famiglie del paese, con particolari crudi ed espressioni che non avevano nulla da invidiare a quelle dei bassi tempi di Ornella. Se si fosse stati al buio la si sarebbe scambiata per un maschiaccio della peggior specie. Eppure il maestro, e lo stesso Gesuino che come Frate Zappata pretendeva dagli altri quello che non usava dar lui, la compativano, non solo, ma la ascoltavano con perverso piacere.
Proto invece s'irritava: e per mettere fine alle malignità di lei volle raccontare una delle sue solite storielle.
– Dunque, in un paesetto sperduto, c'era un prevosto che si annoiava a star solo. Allora una sera manda il servo col biroccio a pregare il dottore che venga subito perchè lui si sente male. Arriva il dottore, col quale del resto erano amiconi. «Ebbene, come va? Che c'è?» «C'è, – dice il prevosto – che mi sento morire. Ho un gran dolore qui alla cima della testa, e poi qui alla punta del gomito e poi qui alla punta del piede. Poi c'è che alla notte quando spengo il lume non ci vedo più.» «Ah, figlio di un cane» grida il dottore. E poi rimase a cena dal prevosto e a mezza notte stavano ancora a fare la partita e a bere.
Tutti risero, sebbene al maestro sembrasse di aver altre volte sentito quella storia.
Andata finalmente via la levatrice, egli salì sul soppalco, per vedere se il chiasso aveva disturbato Ornella: e lei stava infatti ad occhi aperti, poichè alla notte tentava di non addormentarsi per paura di soffocare il bambino.
– Abbiamo festeggiato la sua nascita, – mormorò il maestro, piegandosi sul giaciglio che odorava di stoppia e di latte come una mangiatoia. – Quei bonaccioni di contadini hanno portato dei regali.
– Perchè non fa veder loro il bambino? – domandò lei, con una voce assonnata e sognante che a lui ricordò quella di Marga. – È tanto bello: già sorride. È tanto grosso e bello, – ripetè con accento vanitoso.
– Domani.
– Perchè non adesso ? Di notte è ancora più bello, – insistè lei, palpando il bambino tutto caldo e umido di latte.
Il maestro è ancora in uno stato di lieve ebbrezza che gli fa parere tutto facile e bello: si affaccia quindi all'apertura del soppalco e chiama i contadini.
– Ornella vuol farvi vedere il bambino.
E, prima, di slancio, Gesuino, e poi più riflessivo Proto, quei due salgono la scaletta, s'avvicinano e guardano.
– Peserà cinque chili, – dice Proto, sembra un maialino grasso.
Il paragone non offende, anzi lusinga Ornella. E mentre si sta lì davanti al giaciglio che odora di stoppia e di latte, il maestro crede di vedere in sè stesso e nei contadini i tre Re Magi intorno al grande Bambino.
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