Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Il nostro padrone
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Parte seconda

II

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II

Un rumore di passi un po’ lenti ed eguali, e una voce dolce e stanca la scossero dai suoi pensieri.

Dejana?

Ella balzò in piedi e corse al cancello.

– È uscito, Bruno! Ma forse a momenti sarà qui. Non entri, Bruno?

Egli entrò. Ella voleva riceverlo in cucina, voleva accendere il lume, voleva dargli da bere, ma Bruno le ricordò che non beveva, e per impedirle di andare a prendere una sedia le afferrò una mano e gliela strinse forte.

– E tua madre?

– È già a letto. La vuoi?

– No, volevo tuo marito. Egli ti avrà dato la buona notizia.

– Quale notizia?

– Oh, Dio, non fingere! – egli disse, sedendosi sulla scaletta. – Anzi son qui per dirgli che domani mattina venga dal Perrò alle nove invece che alle dieci.

Ella stette immobile davanti a lui, incerta se doveva parlare o tacere. Finalmente domandò:

– Tu credi che la cosa sia certa? Lorenzo dunque se ne va davvero?

– Se ne andrà senza dubbio.

Va al suo paese?

– Non credo. Secondo me, no: credo che vada molto più lontano.

– Ho sentito dire che egli vuol farsi frate.

– Non mi meraviglierebbe! – disse Bruno calmo e pensieroso. – Egli adesso non fa che pregare e… bere...

– Ah, ah, tu vuoi dire che i frati sono ubbriaconi? Sentimi, – ella esclamò, sedendosi anche lei sulla scaletta, accanto a lui – e tua moglie come sta? L’ho veduta l’altro giorno: com’è magra! Non le dai da mangiare?

Ella si era improvvisamente animata. Le sembrava che Bruno la guardasse come la guardava un tempo, con uno sguardo melanconico e tenero; ma forse ella s’ingannava, perché egli non parve turbarsi affatto nel sentirla così vicina a lui, così giovane, vivace, quasi provocante.

– Mia moglie sta benedisse senza mutare accento. – Soltanto lavora troppo. Lavora troppo, sì!

– E tu non lasciarla tanto lavorare!

– Come si fa? Io sto fuori. D’altronde anch’essa mi dice che anch’io adesso lavoro troppo.

Sebastiana batté le mani.

– Che storia curiosa! Io conoscevo due che litigavano perché erano poltroni entrambi; invece voi questionate perché…

– No, non questioniamo mai! Non ne abbiamo il tempo!

– Lo sappiamo, Bruno! Vi volete troppo bene, per non andar d’accordo

– Oh, Dio, due sposi si vogliono sempre bene! Che forse tu e Predu Maria non vi amate?

– Oh, pazzamente! – ella disse con ironia.

– Con tua madre va sempre d’accordo?

– Tanto che sembra lei la sposa! Io sembro la loro figlia! Loro comandano, io obbedisco.

– Fai bene! Sei ancora così giovane!

Ella rise e guardò in aria, e la luna illuminò il suo viso e il suo collo marmoreo. Ma egli non sorrideva per le confidenze di lei: prendeva tutte le cose sul serio, lui; e la sua calma e la sua serietà, così semplici, così diverse da quelle della maestra, piacevano molto a Sebastiana. Anche lei si fece seria.

Giovane! Un tempo lo ero. Adesso! Una donna maritata non è più giovane. Ah, ah! Ricordi quella mattina che tu salivi al monte ed io scendevo alla fontana? Che sciocchezze ti dissi! Tu avrai pensato: come è pazza Sebastiana!

– Non ricordo.

– Eh, lo so! Pensavi a Marielène e mi domandavi se aveva molti denari.

– Io domandai questo?

Egli si levò il cappellaccio grigio che gli ombreggiava il viso, e lo tenne fra le mani, allargandone e stringendone la piega: ed ella guardava il viso calmo e pallido di lui illuminato dalla luna, e i suoi occhi a momenti brillavano a momenti si oscuravano come il cielo di quella notte.

– Le ricordo io, tutte le tue domande di quella mattina! Tu pensavi già a lei, Bruno, ed io l’indovinavo.

Era facile indovinarlo!

– Quando tu sei venuto su, la prima sera, mentre si aspettava il padrone, ricordi, Marielène mi mandò ad apparecchiare

Senti, – egli disse interrompendola, – è vero che Zoseppedda vuol vendere la sua casa?

Entrambi guardarono in fondo all’orto, verso la casa nuova, e Sebastiana raccontò una lunga storia. I proprietari della casa, due giovani sposi paesani e benestanti, non erano contenti di quella costruzione piuttosto signorile, poco adatta per gente come loro, che aveva bisogno di locali terreni, di tettoie, e sopratutto di un orto; e poiché la maestra Saju non intendeva cedere il suo, essi volevano vender la casa.

Bruno si alzò.

– Voglio andare a vedere.

Mentre egli si avanzava sino al muro che divideva l’orto dal cortiletto, e guardava in su, calcolando quanti ambienti poteva avere la casa nuova, Sebastiana stese la mano e palpò con una lieve carezza il cappello che egli aveva lasciato sullo scalino.

Ella sentiva qualcosa di velenoso e dolce serpeggiarle nel sangue; ricordava che Bruno l’aveva quasi abbracciata, la sera del suo arrivo, e pensava che senza le stupide avventure accadute in seguito, egli forse si sarebbe innamorato di lei e l’avrebbe sposata. Egli era un forestiere, è vero, ma ella si sentiva attratta verso di lui quasi da un’affinità di razza; egli non aveva ucciso il patrigno, egli non aveva vizi; e la sua bocca melanconica non puzzava d’acquavite come quella di Predu Maria. Egli non avrebbe certo permesso alla suocera di trattar sua moglie come una bambina viziosa. Ma egli amava i denari: altrimenti non avrebbe sposato Marielène… Ed ella respinse il cappello con dispetto, poiché sentiva un cupo rancore ogni volta che pensava alla fortuna della sua rivale.

Quando Bruno le tornò vicino gli disse a voce alta:

– Sì, quella casa vi conviene, se è vero che volete metter su una locanda.

– Chi te lo disse? egli domandò alquanto sorpreso.

Lorenzo lo disse a Predu Maria. L’orto però non lo vendiamo. Non l’abbiamo venduto a Zoseppedda, tanto meno a voi.

– I nostri denari sono eguali a quelli di Zoseppeddarispose Bruno curvandosi per riprendere il cappello; ed ella si accorse che egli aveva staccato un garofano e se lo era messo all’occhiello. Ecco una cosa che Predu Maria non avrebbe mai pensato di fare!

– Sì, sì, voi avete molti denari, ma l’orto noi non lo vendiamo. Per sotterrarvi, se lo volete.

Egli si calcò il cappello sulla testa e la guardò, dall’alto, coi suoi occhi tristi.

– Anche la vedova Moro diceva così per la tanca. E invece adesso l’ha ceduta!

– La vedova Moro è la vedova Moro, mia madre è invece la vedova Saju – ella disse con la sua solita leggerezza. – Diglielo pure, al tuo padrone!

– Che c’entra il padrone? Del resto, questa è una questione inutile; poiché io non penso a comprar casegiardini. Senti, Predu Maria tarda a rientrare; bisogna che io vada.

– Tu vuoi andartene? Allora glielo dirò io. Alle nove e mezza?

– No, alle nove. Ricordatelo, cara. Buona notte.

Buona notte. Tanti saluti a Marielène.

Egli le strinse la mano e se ne andò, calmo e lento, com’era venuto; ed ella rimase sulla scaletta, sotto il chiarore cangiante della luna. E come sul cielo, sulla sua anima passavano ombre e luminosità incerte e strane. Egli l’aveva chiamatacara”, egli s’era messo il garofano all’occhiello, e non si era offeso per le insinuazioni maligne di lei. La calma di lui, la forza di dominio che egli aveva sopra sé stesso, le piacevano e la irritavano. Non era la prima volta che s’incontravano, dopo il loro matrimonio, ed egli s’era mostrato sempre così, freddo e misurato; ma ella si accorgeva per la prima volta che egli le piaceva un po’ troppo.


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