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V
– Maurizio, – disse la fanciulla dopo qualche istante di silenzio, con voce lenta e bassa, ma commossa – che volete da me?…
Il giovine scattò come una molla, esclamando con accento alto e vibrato:
– Ah, perché mi dai del voi?…..
Stella sorrise amaramente, – Scusami, – mormorò, – l’ho fatto involontariamente… Ma dimmi, che vuoi?
– Che cosa voglio?… Perché ti fai gioco di me?… Sei Stella la mia fidanzata, o chi sei? E non lo sai perché vengo? Vengo a domandarti che cosa ti ho fatto, - vengo a chiederti grazia per la mia vita che spezzi col tuo strano procedere, - e il cuore che mi hai rapito… Perché me lo hai svelto tu il mio cuore, dimmi, se era per sbattermelo in viso come cosa infame? Forse l’hai esaminato meglio che non l’avessi esaminato io prima che esso fosse tuo? Perché io non lo trovai mai tanto imperfetto e così cattivo da valergli la pena d’essere da te dilaniato!
Si vedeva che Maurizio era giovine dall’anima esaltata, perché parlava con accento disperato come colpito da una grande sventura: dalla espressione del suo viso, dallo sguardo, dal suo accento, Stella avvedevasi che egli parlava sinceramente, e di quale ardente passione lei fosse oggetto. Maurizio parlava alto e chissà tutto ciò che avrebbe detto se Stella non mormorava: – Più piano, Maurizio più piano! Nostra madre potrebbe svegliarsi. – Quelle parole nostra madre agghiacciarono sulle labbra del giovine il torrente di frasi appassionate che stava per uscirne: sentì un misterioso, indefinito malessere, e balzò in piedi, con gli occhi ingranditi, il viso pallido, niveo; poi ricadde, non più seduto, ma in ginocchio, coi gomiti poggiati al fondo di una sedia, e nascondendosi il viso fra le mani singhiozzò: – Oh… mio… Dio!…
Anche Stella impallidì leggermente: vedeva, ma non indovinandone la causa, la forte commozione del giovine. Credette fosse causata dal suo cattivo modo di procedere, nato da una ragione frivola, come vedremo, e in quel momento, sentendosi ridicola e superstiziosa davanti a Maurizio che piangeva, si pentì amaramente, e siccome Maurizio non si muoveva più, le sembrò svenuto, forse morto!… Questa strana paura l’inchiodò per qualche istante al suolo: ma come Dio volle alla fine si mosse si chinò sul giovine e lo chiamò con voce alterata:
Ma lui rimase immobile. – Oh! – tremò Stella. – Che ho mai fatto?… Maurizio?… Alzati, Maurizio e perdonami! T’amo sempre!… – Allora egli s’alzò esclamando: – Mi è sembrato morire! Se mi avessero dato un fiero colpo di mazza alle tempie, o una pugnalata al seno, avrei provato, credo, le stesse sensazioni… Son svanite…
Stella chinò la testa, mentre il giovine, i cui occhi scintillando fra il loro cerchio bruno avvolgevano la fanciulla in un’onda di magnetismo, proseguiva con amaro accento:
– Ma che mi dicesti? Ripeti quelle parole che mi ridonarono la vita. Perché, in verità, Stella, la vita mi sfuggiva dal giorno che tu, spinta da una causa a me ignota, cessasti di rivolgermi il tuo sguardo d’amore, necessario a me come lo sguardo del sole alla terra… Tu sorridi, Stella... Ma, te lo giuro, non è romanticismo il mio, è realtà, è verità. T’amo pazzamente, come neppur io mi credevo capace di amare. Non puoi figurarti lo spasimo atroce che provai quando il terribile dubbio che tu amassi altri si affacciò alla mente… Senti Stella, non mi vergogno di dirtelo; ho pianto, io che non avevo mai pianto dopo la mia infanzia, se non il giorno in cui mi si minacciava di togliermiti per il barone di R!… Se mi vedessi l’anima, o Stella mia… ripeteresti le parole di poco fa…
La fanciulla ascoltava: ascoltava sempre bianca in viso, quasi impassibile, ma alle ultime parole di Maurizio alzò vivacemente la testa esclamando, con un languido sorriso:
– Senza vedertela, l’anima, credendoti perché ho bisogno di crederti, te lo ripeto: t’amo sempre, con passione forse maggiore della tua, e ti chiedo perdono se, per futilissima ragione, ho interrotto di vari giorni la nostra felicità!
– Grazie! Grazie! – rispose lui stringendole la mano come la prima volta nel terrazzo di via Chiaia. – Grazie, ma dimmi, perché chiami futilissima cosa ciò che fece ricomparire la strana tristezza di prima nella tua fronte?
– Oh, la tristezza riapparve perché pensavo al mio infranto avvenire… Racconto, ma non riderti di me... Senti…
– Ridermi di te? Io?! Ma ti ridi tu, che sei divota, del tuo Dio? Tutto ciò che tu fai, anche le minime cose, mi sembrano perfettamente fatte!… – esclamò Maurizio, mentre Stella sorrideva di nuovo.
– Ecco, – mormorò, – tu parli come Licena al suo amante Vezio nel romanzo di Castellazzo! Ma fai male, Maurizio, ad innalzarmi così alto: potrei benissimo precipitare…
– Artista, artista! Serba, questo piedestallo per altri più degno di me, e senti questa storiella che, vedi, mi spaventa ancora…
Si mise a raccontargliela minutamente.
– Dodici o tredici anni prima, cioè quando, ancora viva la madre, abitavano nella capanna in riva all’Agri, sua madre fu colta da una fiera malattia. Stella, che l’amava pazzamente forse perché non amava altri al mondo, si sentiva morire di dolore e chissà che cosa avrebbe dato o fatto per salvarla.
– Che cosa farò?… che cosa devo fare?… Mio Dio, mio buon Gesù, Madonna Santa, inspiratemi… guarite la mamma!… Ma la mamma moriva. Stella, benché piccola d’anni, era, come vedemmo nel principio del racconto, una strana creatura dall’animo forte e sperimentato. Ricordandosi, per averla udita raccontare da sua madre che, un po’ istruita, nei bei tempi della sua fanciullezza aveva letto i più buoni romanzi italiani, - la storia di Lucia nei «Promessi Sposi» quando nel lugubre castello dell’Innominato fa voto di verginità purché venga liberata, - che fece?… Né più né meno che voto di non maritarsi mai purché guarisse la mamma… E la mamma guarì!
– Sentita da Stella la storia del voto, Maria - si chiamava così, - devota com’era fino all’eccesso, credette realmente dover la vita al voto della sua bambina, - che del resto non comprendeva neppure ciò che aveva fatto - ma si spaventò, essa che aveva amato, delle terribili conseguenze di quel voto.
– Ne consultò il suo confessore, un buon sacerdote di coscienza, forse un po’ ignorante perché semplice prete di campagna: le rispose potersi sciogliere il voto della bambina, purché essa ne adempisse qualche altro a piacere suo e di sua madre. Un fosco lampo passò negli occhi di Maria.
– «Va bene!» disse, «il voto di mia figlia sarà di non diventar mai moglie di un nobile, ma di un figlio del popolo, sia povero o ricco!…» Il buon prete sorrise della stranezza di quel voto: forse pensava che la figlia d’una pescatrice non correva certo pericolo d’essere chiesta in isposa da un conte o da un marchese. E acconsentì!