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IX
Come si erano conosciuti? - Nel primo capitolo di questo racconto dicemmo che don Francesco, in gioventù, non era stato uno specchio di virtù coniugali. Uno di quei caratteri volubili, galanti, leggeri, che amano tutte le donne belle, con amore più o meno frivolo, don Francesco, amantissimo di sua moglie, commetteva le sue infedeltà quando, lontano da lei, credevasi sicuro di non recarle alcun dolore.
Che volete? In fondo il marchese non era cattivo, ma certo benché nobile di nascita non lo era d’anima.
Più tardi, quando i primi capelli bianchi apparvero nella sua testa, quando la sua anima, forse sazia e disgustata, cominciò a sentire i primi geli della vecchiezza, don Francesco guardò rabbrividendo nel suo brutto passato lo scandalo e il danno da lui causato, e ritirandosi da quella cattiva via, seguita in ogni tempo da tutti i giovani ricchi senza occupazioni, se ne pentì amaramente… Ma troppo tardi.
Fra tutte le amanti del marchese, quella che più aveva amato era stata Maria. - In quell’anno don Francesco era venuto solo a Mambrilla, perché donna Anna e Maurizio villeggiavano presso una loro parente: doveva raggiungerli verso la fine di settembre, ma una sera, il dì prima di partire, disse al domestico di non fare nessun preparativo di partenza, ché sarebbero rimasti tutto l’autunno a Mambrilla. E scrisse a donn’Anna di non aspettarlo perché affari urgenti lo rattenevano in Basilicata.
Affari urgenti! Un gelido e misterioso sorriso sfiorò le labbra del marchese nello scrivere quelle parole, le sue labbra carnose nascoste dai baffi e dalla barba bionda che dava un’aria di dolcezza affascinante al suo viso. Si è che quel giorno aveva visto Maria: l’aveva veduta col padre, mentre ritornavano dalla passeggiata della domenica sull’Agri.
Partiti la mattina, avevano passato tutto il giorno in campagna, ed all’ora ritornavano ad Anglona, stanchi e contenti. Maria si era quasi sdraiata mollemente sulla panchina della barca, i capelli in disordine, il viso roseo, sorridente, e la mano destra abbandonata fuori della barca, bagnata dall’acqua del fiume, e il sole al tramonto, avvolgendola negli ultimi raggi d’oro, faceva scintillare i suoi capelli, il velluto di cui guarnivasi il suo vestito, i suoi stivalini lucidi e ricamati. Maria taceva: il barcaiuolo cantava una poesia in dialetto; Maria, guardava il cielo smaltato di smeraldo e di fuoco, e così, cullata nelle onde dal canto del barcaiuolo, chiudeva a poco a poco gli occhi ad un sonno voluttuoso che le aggravava la testa e le confondeva le idee…
Ma a un tratto si scosse vivamente, e alzatasi a sedere si ravviò istintivamente i capelli semisciolti. Che mai vedeva? Sulla riva del fiume, sopra un masso circondato da giunchi verdeggianti, stava un giovine: un giovine biondo, bellissimo, gli occhi azzurri scintillanti, come il cielo in quell’ora del tramonto. E quegli occhi Maria li vide fissare su lei uno sguardo da serpente ammaliatore. Il giovine vestiva un elegante e ricco costume da caccia in velluto verde, e le canne del fucile che teneva ad armacollo luccicavano tanto che Maria dovette abbassare gli sguardi al loro splendore: così almeno ella credette. Ma li rialzò tosto, li abbassò ancora, li alzò per la terza volta e alla fine li chiuse… Tramontato il sole, il fucile non luccicava più: perché dunque Maria aveva chiuso gli occhi? Non lo sapeva neppur essa: un fremito strano l’agitava tutta, e il barcaiuolo non badava a lei, e Marco era cieco, altrimenti avrebbero visto il suo viso cangiar colore, dal roseo al niveo, e le sue labbra agitate da un tremolìo convulso.
Essi non vedevano: ma vedeva bene il giovine cacciatore dagli occhi azzurri, che scintillarono finché notarono la barca, Maria e il di lei turbamento, poi si spensero. - Quel cacciatore era don Francesco d’Oriente! - ... Quando Maria riaperse gli occhi, il sito dove stava il giovine non si scorgeva più, e con esso erano spariti quegli occhi azzurri scintillanti, quel viso tanto bello, - quel giovine appartenente alla qualità degli uomini a cui si possono riferire le parole di Shakespeare: «Voi avete i volti d’angeli, ma il cielo conosce i vostri cuori…» - e alla fanciulla sembrò che la barca avesse volato, non vogato…
Per tutto il resto del giorno rimase taciturna, distratta, tanto che Marco le disse: – Sei malata, Maria? Perché neanche parli?…
– Sono stanca – rispose ella. E andò a letto, ma dormì assai poco e naturalmente sognò il giovine cacciatore...
Chi sa spiegare gli enigmi del cuore umano? Maria, fra i giovani che l’amavano sinceramente, che intendevano sposarla, benché non ricchi e nobili, vedeva ogni giorno fisionomie forse più belle di quella di don Francesco, e occhi azzurri, neri e glauchi, scintillanti di passione come i suoi, eppure nessuna di quelle fisionomie, di quegli occhi, avevano mai destato nell’anima sua un turbamento eguale a quello che provava allora.
Ma, non rivedendo, per più giorni, il giovine cacciatore, Maria cominciò a dimenticarlo: e avrebbe finito col credere un sogno la di lui splendida e fantastica apparizione, se una notte, sotto la sua finestra non avesse sentito un accordo dolcissimo di chitarra, suonata con arte, e una voce melanconica che cantava una poesia d’amore, un brano di Scheffel:
Le stelle splendono - lontan, lontano;
E limpide si specchiano - nel cristallo del mar:
Come un intenso amor che ne l’arcano
Volo del tempo imperituro appar!…
Maria, svegliata di soprassalto, benché avvezza ad udire serenate sotto la sua finestra, al ritmo di quella voce alta, tremula, vibrata nei bianchi silenzi del plenilunio, alla melodia di quella poesia aristocratica, forse musicata appunto per lei, mai più sentita dagli altri suoi adoratori, provò una strana sensazione, come se una mano fredda le stringesse la gola, le serrasse il cuore interrompendone i palpiti…
Dopo qualche istante balzò da letto, indossò un accappatoio da notte e guardò attraverso i vetri della finestra… Santa Maria del cielo! Era lui!…