IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
XI
Attese la risposta, guardando la fanciulla coi suoi grandi occhi fiammeggianti, quasi avesse voluto magnetizzarla, ma la testa di Maria scomparve subito dalla finestra. Solo un fiore, un gelsomino bianco azzurrognolo, forse distaccatosi da sé dalla pianticella che incorniciava la finestra di Maria, forse dalla manina fremente di lei, cadde davanti al giovine: ei si chinò, lo raccolse; aspettò ancora qualche istante, poi si allontanò rapidamente.
Maria aveva ascoltato la dichiarazione di don Francesco figuratevi con che palpito: forse avrebbe risposto, ma in quel momento una voce misteriosa, che le sembrò quella della madre morta, le susurrò esser immane peccato parlare d’amore con uno sconosciuto, di notte, lei che non aveva mai parlato d’amore con nessuno! Si ritirò, ma quante volte non se ne pentì pensando:
– E se non tornasse?
Aspettò ansiosamente la notte, ma che terribile notte fu quella per lei! Nessun suono ne turbò l’altissimo silenzio, solo verso mezzanotte un leggero fruscio di passi che svanì ben presto. Maria non dormì, e quando i primi albori dell’aurora proiettarono intorno alla sua finestra un cerchio di sfumature scialbe, indistinte, si levò, tremando di febbre, il viso gonfio dall’insonnia: non sperava più di sentire la chitarra di don Francesco.
Si mise a passeggiare febbrilmente nella sua camera, e ad un tratto aprì automaticamente la finestra: vedeva un gigantesco gelsomino biancheggiare fra l’elegante fogliame del davanzale. Un soffio freschissimo di brezza le scompigliò sulla fronte i ricci umidi, non ancora pettinati, le rapì alquanto dell’ardore che le abbrucciava il cervello. Guardando lo strano gelsomino, mantenne a stento un grido: era una lettera?
La prese e guardandone l’indirizzo, benché non ci si vedesse ancora bene, lesse chiaramente il suo nome e cognome. Il sangue le affluì ancora ardentemente alla testa: indovinava che quella lettera era di lui! L’aprì con le dita tremanti e corse alla firma che diceva «Gennaro d’Oriente».
– D’Oriente! – pensò rapidamente Maria: ricordandosi d’aver visto un giorno una bella signora indicatale per la marchesa Anna d’Oriente, moglie di don Francesco, e di cui conosceva la magnifica villa al di là dell’Agri. – Sarà loro parente? – Accese un lume per leggere la lettera.
«Maria! - Dovrei darti del signorina, ma è tanto tempo che parlo con te nella mia fantasia, nei miei sogni, sempre, che ora mi riesce impossibile rivolgermi a te come ad un’estranea… - Perché ti amo, Maria, come, quando e da quando ti avrei detto ieri sera, al raggio tremulo delle stelle, se tu non fossi sparita, quasi che la mia voce fosse stata di un fantasma! - Ed anche a me la tua apparizione sembrò di fantasma, perché ti veggo sempre avanti a me, al mio fianco, come la mia ombra; darei metà della mia vita per dare vita ad essa; e lo crederei ancora se in quest’istante non baciassi il gelsomino caduto dalla tua finestra, piccolo fiore che per me sarà un tesoro, che sentirà tutti i palpiti del cuor mio, e morrà con essi che ti appartengono tutti, che cesseranno se non corrisposti dai palpiti del tuo cuore.
«Maria, perdonami se scrivo cose inutili mentre dovrei dirti come ti amo: ma posso esprimermi? No!
«Chi sei tu? - Chi son io? - Poco mi importa sapere se tu stai nel medesimo gradino della scala sociale ove io mi trovo: io t’amo, così immensamente che ti innalzerò insino a me, per me sei più nobile e grande di una regina.
«Chi son io? - Figlio della ricchezza e della nobiltà, - stanco di vivere fra le orgie ed il lusso di una gioventù sfrenata, uscii dalla mia città Napoli, ove credevo di non più ritornare e venni qui, nel tuo paese bello ed ardente, fra il silenzio azzurro del tuo cielo di zaffiro, per cercare la pace del cuore.
«L’ho io trovata? Dipende da te!
«Maria! ti vidi bella e sorridente; m’apparisti come una fata in una visione orientale, e t’amai, t’amo con tutti i trasporti dell’anima mia, e voglio vivere teco, che, se mi amerai, sarai la donna più felice della terra!… - Gennaro d’Oriente.»
Quando Maria ripiegò la lettera, il primo raggio del sole indorava il cielo, e fu il tocco della prima messa che la scosse da quella lettura. Sapeva a memoria le due pagine della lettera, davvero assai diversa dalle altre sino allora ricevute, e non comprendeva chiaramente che una sola cosa: d’essere ardentemente amata da quel giovine il quale, benché essa non lo confessasse, possedeva, oltre il fascino della bellezza, quello della ricchezza e della nobiltà, così ambiziosamente sognate… Si alzò, spense il lume, e sorridendo al cielo azzurro, al sole d’oro, gli occhi scintillanti d’amore, mormorò:
– Come sono felice!
Marco in quel giorno notò che Maria era molto allegra, ma non s’immaginò che gioia febbrile fosse quella. Intanto la fanciulla, per una di quelle misteriose metamorfosi del cuore umano, non gli parlò né il giorno, né mai, del suo amore, secondo le sue promesse e il suo dovere. E quanto se ne pentì, più tardi! Nella notte una nota dolcissima di chitarra echeggiò ancora nella via… Maria si strinse al cuore la lettera del marchese e aprì tremando la finestra. Nessuno poteva vederla né sentirla. Suo padre dormiva nella camera più lontana; la servetta ritornava a casa sua nella notte; la via dava sui campi… Don Francesco era là: parlarono a lungo.
Fra le altre cose egli - il vile! - la pregò di mantenere, per qualche tempo, segreto il loro amore, perché altrimenti il vecchio nonno, il solo parente da cui dipendeva, ma che, gravemente malato, accennava a morire, era capace di diseredarlo!