Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Stella d'Oriente
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Parte seconda

II

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II

Quella sera, miss Ellen vestiva di nero: un elegante costume da amazzone dal cappello nero, il cui lungo velo le dava un’aria triste di lutto, di sofferenza. Il groom la seguiva a qualche distanza con due poney, uno grande ed elegante per lei, e l’altro più piccolo per sé.

Miss Ellen s’avanzò verso Maurizio stendendogli la piccola mano stretta nel guanto di camoscio, con un sorriso strano nelle labbra che tremavano ogni tanto come agitata da un fremito nervoso e involontario, esclamando in italiano, ma con la pronunzia dall’accento inglese: – Buona, sera, don Maurizio! Salivo a Mambrilla per invitare miss Stella ad una passeggiata.

Maurizio salutò anch’egli e stringendole la mano rispose:

Stella si sente un po’ male. Eppoi è anche un po’ tardi, miss.

– Ciò non importerebbe perché c’è la luna che tramonta a mezzanotte, ma poiché Stella non viene torna inutile. Guglielminodisse rivolgendosi al groom, – torna a casa coi poney e alla mia cameriera di venire fra mezz’ora alla Mambrilla, per riprendermi.

Il fanciullo salutò e si allontanò coi poney dalla scorciatoja.

– Ecco! – pensava Maurizio, – avrei preferito che ne fosse andata anche lei!…

Intanto, per una stranissima distrazione, scendevano verso l’Agri invece di risalire alla villa. A un tratto miss Ellen esclamò vivacemente:

Domani deve giungere il conte di Farnoli mio fidanzato. Spero vorrete fare la sua conoscenza.

– Ma figuratevi, miss! Ne sarò felicissimo, come siete voi in questo momento, pensando alla sua venuta.

La fanciulla ebbe il solito sorriso nervoso, perché Maurizio apriva una conversazione che davvero non avrebbe voluto cominciare.

– Ah! – rispose ella con voce bassa. – Allora ne sarete ben poco felice!…

Maurizio si fermò stupito e fissandole gli occhi in viso esclamò:

– Poco felice? Ma perché?…

– Perché? Non offendetevi, signor marchese! Voi diceste che sareste felice come son io in questo momento. Ebbene, io non sono felice!

– Ma che strana che siete, miss! Come mai una fidanzata non può essere felice alla vigilia dell’arrivo del fidanzato?

Miss Ellen sospirò; poi riprese: – È vero! È una cosa anormale, che però torna naturalissima quando questa fidanzata non ama punto il fidanzato!

– Allora è un altro affare! – rispose Maurizio con un tono di voce e un sorriso che significavano chiaramente il desiderio di non voler saper oltre.

Ellen vide quel sorriso e provò una gelida stretta al cuore. Guardossi intornoImbruniva sempre più, e le chiome degli alberi cominciavano a riflettere i primi scintillii della luna. Il cuore della fanciulla palpitava febbrilmente, con una velocità dolorosa, le sue palpebre si sbattevano ogni secondo, come se corrispondessero ai palpiti del cuore, e sotto i guanti, Ellen sentiva le sue dita agitate da un tremito che gliele contorceva.

Quale tremenda tempesta imperversava nell’anima sua?

– Oh, – pensava, – giacché devo arrivare a questo passo umiliante, forse fatale, perché deciderà del mio destino, perché non farlo oggi?… Perché aspettare ancora, se ogni giorno è un secolo d’agonia, fatta più dolorosa perché nascosta dal sorriso, e subita nel segreto del cuore?

Maurizio non era fisionomista, tuttavia dall’oscurità dipintasi nel viso di Ellen, dal suo gelido silenzio, presentiva ciò che stava per succedere. Sicché esclamò: – Miss, vogliamo salire alla villa? Andiamo verso l’Agri invece che da Stella!

Quella voce scosse la fanciulla dai suoi pensieri. Il solito sorriso, amaro, triste, nervoso, che contrastava tanto col suo visino roseo e gentile, le sfiorò la bocca.

Scendiamo sino al fiume, – disse: – poi risaliremo. Ho da chiedervi un consiglio

– Un consiglio a me? – rispose il giovine ridendo. – Ma vi pare? Vi prevengo, non sono un buon consigliere; pure, ascoltiamo

Anche lei sorrideva sempre. Aprì il suo ventaglio: il suo gran ventaglio di velluto nero a ricami rossi, che in quel momento, alla luce blanda del crepuscolo crescente, mandarono una specie di sfumatura sanguigna su tutto il ventaglio e nel viso di Ellen.

– Ecco! – cominciò con voce lenta. – Una fanciulla che possiede una buona dote, che può aspirare, con la sua educazione e con la onoratezza della sua famiglia, ad un onorevole stato; che deve fare se vien costretta ad unire la sua vita a quella di un uomo che non ama, che non amerà mai, unicamente perché quest’uomo è ricco, è nobile, è superiore a lei? tanto superiore che la si chiamerebbe pazza, che la si discaccierebbe dalla sua famiglia se non accettasse?…

Secondo il suo debole parere questa fanciulla dovrebbe accettare. Permettetemi, miss, di parlarvi francamente, come ad una sorella. Quella fanciulla siete voi, quell’uomo è il conte di Farnoli, ricco gentiluomo, giovine e bello, io lo so di certo, perché a me ne fu parlato da qualcuno che lo conosce da vicino. Ne parlarono con entusiasmo. Il vostro fidanzato potrebbe realizzare il sogno di una fanciulla sentimentale il cui ideale è un giovine perfetto: mi dissero che vi ama pazzamente, tanto che per seguire gli impulsi del suo nobile cuore rinunziò persino ad uno splendidissimo matrimonio che gli offriva sua madre. Via, miss, non abbandonatevi troppo oltre al sentimentalismo! Con nessun uomo sarete felice come col conte: e mai più vi si presenterà una occasione di accasarvi più splendida di questa!…

A misura che Maurizio parlava la fanciulla impallidiva di più, e sul suo bianco viso le ombreggiature nere e rosse del ventaglio agitato dalle dita frementi, gettavano lunghe striscie livide, larghe macchie sanguigne.

Non una parola che le desse un lampo di speranza era uscita dalle labbra del giovine, tuttavia giacché il dado era gettato, miss Ellen voleva andar sino in fondo.

E seguitavano a scendere, a scendere sempre; a poca distanza le acque dell’Agri scintillavano nella penombra, ai primi raggi della luna.

– Ma io non lo amo! – esclamò con voce cupa miss Ellen.

– Non lo amate? Oh, questa parola poi non dovete dirla! Non amandolo non l’avreste accettato, ne son certo, perché quantunque vi conosca da poco, ho avuto agio di studiare il vostro carattere franco e coraggioso. E poi? L’amore, anche se ora non vi fosse, verrà, verrà!… Un giorno, quando sarete baciata dai figli vostri e suoi mi darete ragione.

Tacete, don Maurizio, tacete! Io saprò morire, perché, voi stesso lo avete detto, il mio carattere è franco e coraggioso, prima che ciò avvenga! Amo un altro giovine, lo amo pazzamente, lo amerò sempre finché avrò vita! - E ditemi, non è un delitto che io diventi compagna di un uomo, se sul mio cuore vive una tremenda passione per un altro, se il mio cuore che devo dare puro soltanto al primo, è contaminato da un amore che diventa colpevole dal momento che io non sono più libera; se il mio pensiero, l’anima mia, sono rivolti sempre ad altri?

Maurizio si fermò, tentato di gridarle: – Ma che importa a me tutto ciò?… Che mi importa? Non bastano i quesiti che mi il mio cuore perché io debba risolvere quelli del vostro?… – Ma guardando miss Ellen, fermatasi anch’essa, pallida, tremante, con le lagrime che «splendido ai folgoranti occhi eran veli», ne ebbe pietà e pensò: – Dopo tutto, posso essermi ingannato! – Ed esclamò con voce incerta:

– Che posso dirvi? Io non posso, non so rispondervi!…

– Voi mi risponderete; – riprese coraggiosamente Ellen, – don Maurizio, voi dovete rispondermi quando vi dirò che il giovine che amo con tutta la passione dell’anima mia, come neppure io mi credevo capace di amare, l’uomo pel cui amore darei la vita, la gioventù, l’onore, sì! anche l’onore, perché, ditemi, non è forse un’azione che mi disonora il fare questa confessione che dovrebbe rimanere dentro il cuor mio come un tremendo segreto? quell’uomo siete voi, don Maurizio, voi!…

Maurizio si curvò quasi quelle parole gli avessero percosso le spalle con una sferza di fuoco. In realtà egli non rassomigliava punto a suo padre! Al suo posto don Francesco, giovine, avrebbe baciato la bocca della fanciulla bella ed amante, che diceva d’amarlo; mentre Maurizio, commosso dalla voce sincera di Ellen, sentiva un orribile schianto al cuore… Lei, al contrario, si sentì, fatta la sua confessione, come alleggerita di un gran peso, e Maurizio, rialzando gli occhi, vide che essa lo fissava coi suoi, spalancati, splendenti al riflesso della luna, d’uno splendore azzurro, purissimoRimase qualche secondo immobile, nel cerchio nero del suo abito d’amazzone, i riccioli d’oro scossi dalla brezza, poi, movendo lentamente verso il fiume riprese:

Don Maurizio, vedete dunque se avevo ragione dicendovi che dovete rispondermi. Ma voi non rispondete ancora! Vi ho forse offeso, o temete di addolorarmi dicendomi di non aver speranza? Parlate! Parlate! Qualunque sia la vostra risposta, io l’accoglierò calma e tranquilla come qualsiasi notizia! Se non che le vostre parole mi diranno se devo vivere o morire… Oh, don Maurizio, credo di scorgere un sorriso ironico sul vostro viso! Non deridetemi. Se sapeste con che triste convinzione io parlo! Non chiamatemi sentimentale, no, io non lo sono mai stata! Sono innamorata, null’altro che innamorata; non vi dico, come usano tutte le fanciulle, del primo amore, ma del più forte amore che abbia mai provato, d’un amore che, lo vedrete, mi sarà fatale!

Ellen tacque, probabilmente perché la sua voce veniva interrotta dal pianto… Poi, dopo qualche istante, vedendo che Maurizio muoveva le labbra per parlare, riprese con voce bassa, quasi indistinta:

– Abbiate pietà di me! Vi amo tanto che a volte mi tormenta l’idea, se non mi amaste, di uccidervi per non vedervi sposo ad un’altra, e poi suicidarmi. Oh, ma sono pazzie!… Amatemi! Amatemi!… Nessuna donna vi ama o vi amerà come me, nessuna!… Ma perché ve le dico queste cose?… Se mi amaste me l’avreste già detto! Oh, che terribile demone mi tortura! Parlate, parlate, in nome del cielo, parlate e… abbiate pietà di me!…

E riaprendo il suo gran ventaglio nero si coprì con esso il viso sempre bianco, gelido, stirato

Maurizio credeva di sognare.

Vedeva quasi con paura quella figura che andava sempre più imbrunendosi alla luce giallognola della luna, quel fantasma bello, palpitante d’amore per lui, che piangente chiedevagli amore e pietà… e forse, in uno slancio di romanticismo, di commozione, l’avrebbe presa fra le sue braccia, baciandole i capelli d’oro, gridandole: t’amo! se davanti a sé, tra le fulgide trasparenze del glauco cielo, non avesse visto un altro fantasma molto più vago di quello, dall’abito di velluto bianco a fiorami color viola, la chioma fulva, gli occhi oscuri, brillanti di fulgidissima luce. Era Stella che dai terrazzi del palazzo di Napoli, dove prima s’erano confessati il loro amore, gli gridava: Ricordati di me!…

Miss Ellen, – disse Maurizio, – lasciate che io pure vi chiegga un consiglio. Voi siete innamorata: figuratevi che anch’io vi ami (la fanciulla provò un brivido) che cosa rispondereste ad un uomo che vi dicesse d’amarvi, di morire se voi non corrispondereste al suo amore?

– Ah!… Ne avrei pietà, ma non potrei amarlo!

– Sono nel caso, miss! Io vi stimo: non dico di avervi pietà, perché non avete bisogno della mia pietà, anzi vi ringrazio del vostro amore, del quale davvero non sono degno, ma non posso amarvi! Lo vede il cielo se io vorrei amarvi e rendervi felice, miss, come ben lo meritate, ma non posso perché il mio cuore è già occupato e da molto, da un’altra fanciulla che mi ama, a cui giurai la mia fede, e che diverrebbe assai più infelice di voi se l’abbandonassi. Perché voi avete una famiglia, un fidanzato che riamerete se lontana da qui, mentre la fanciulla che amo è sola sulla terra, è povera, amata da ben pochi, ed io commetterei un’infamia, un delitto, se la dimenticassi

Miss Ellen non rispose alle parole del giovine, che toglievano ogni speranza, ogni illusione, ma il suo viso diventò ancora più pallido, più freddo, terreo, e un brivido lungo, interminabile le contorse le labbra come ad un sorriso. Rinchiuse il ventaglio e stese la mano a Maurizio. Erano arrivati in riva all’Agri.

Grazie della vostra franchezzadisse con voce cupa, cavernosa. – Grazie e… addio! – E prima che Maurizio avesse potuto rispondere, ritirò la sua mano e si allontanò rapidamente lungo la riva… Allora il giovine risalì il sentiero mormorando:

– Che dovevo io fare?


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