Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Stella d'Oriente
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Parte seconda

XVI

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XVI

Silenzio profondo. Sul cielo latteo di una gelida notte di febbraio passava la luna, la “fredda lunagrande, tremula, come agitata dal triste vento della notte.

Benché mezzanotte non fosse ancora suonata, pure nelle vie di Napoli, spazzate dal vento, non si vedeva più un’anima, e ciò forse perché essendo l’ultima domenica di carnevale tutti stavansene rinchiusi nelle sale da ballo, pubbliche o private, povere o aristocratiche.

E forse soltanto Maurizio rimaneva solo nel suo gabinetto da studio del suo palazzo a Napoli, triste, accigliato in quella dolorosa maniera che solo allorché non ci si vede da alcuno lasciamo dipingersi nel viso quando proviamo qualche angoscia. Maurizio era diventato magro, nervoso, gli occhi appannati; eppure ardenti, come fuoco dietro la nebbia, il viso offuscato da un pallore bruno, terreo: anche la voce, così dolce, sonora, insinuante per lo innanzi, aveva cambiato tono, tanto che tutte le volte che parlava, benché parlasse poco in verità, Maurizio sembrava di malumore, burbero, infastidito. Non lasciavasi sfuggire dalle labbra neanche una sillaba di rimprovero o di dolore, pure tutti coloro che lo circondavano, e specialmente don Francesco e donnAnna, si accorgevano che egli soffriva assai. Sin dal primo giorno del loro ritorno a Napoli avevano fatto il possibile per ritrovare almeno un indizio anche lieve di Stella, ma ahimè, non avevano scoperto nulla, assolutamente nulla…

I giorni, i mesi passavano e nessuna notizia della fanciulla veniva ancora. La marchesa, sperando sempre di ricevere qualche sua lettera, diceva quasi ogni giorno a Maurizio per confortarlo:

Possibile sia tanto ingrata? No, sta pur certo, se non oggi domani Stella scriverà. La risposta, caro Maurizio, la faremo insieme, e la combineremo tanto bene che otto giorni dopo avremo il piacere di riabbracciare Stella

– A meno che non sia morta!…

Morta? No, non si muore di questi dispiaceri; e Stella è troppo divota per uccidersi.

– Non si muore di questi dispiaceri? – diceva amaramente fra sé Maurizio. – E allora di che cosa si muore? Oh, Stella mi diceva sempre: se un giorno mi vedessi distaccata da te, e perdessi la speranza di esser tua, morrei di dolore! E non era romantica Stella, no, mio Dio... mio Dio!…

Un profondo terrore invadeva allora la sua mente fantastica e anche un po’ pensava: che Stella, credendosi sempre sua sorella, cessasse di amarlo, ne amasse un altro…

Allora, non più il desiderio di ritrovare la fanciulla, ma una smania, un delirio, qualcosa di tremendo gli martoriava il cervello, gli faceva desiderare la morte di Stella e la sua: la gelosia! Finché vicino a Stella, Maurizio non aveva mai provato quel tormento se non il giorno in cui la fanciulla chiesta in isposa aveva preso tempo a rispondere, ma dacché era lontana egli provava ogni secondo quella tortura in cuore, uno spillo arroventato che solo Stella avrebbe potuto trargli, che lo consumava, lo abbruciava a fuoco lento, gli metteva la febbre nel sangue intanto che accresceva il suo amore.

E dire che ogni giorno Maurizio trovavasi costretto a dare a tutti coloro che gliene chiedevano, le presenti notizie di Stella la cui visita all’amica di Sicilia diventava davvero un po’ lunga! Ormai non bisognava contare che sul caso. E il caso soltanto lo aiutò.

In quella notte di febbraio don Francesco e la marchesa trovavansi a una festa da ballo; ma prima di uscire donnAnna era entrata da Maurizio, vestita da ballo, fulgida di perle, fresca ancora e bella sotto il belletto e i capelli sempre biondi, - dicendogli: – Di’, non sembro ancora giovine?

Maurizio le aveva baciato la mano esclamando:

– Lo siete: e dovete ben dirlo!

– Sì, per sentirmi rimproverare i trent’anni vicini di mio figlio.

Maurizio sussultò, come sempre tuttavia sorrise, e mormorò:

– Oh, sembrate più giovine di me…

Davvero che sì! – esclamò Anna facendosi seria – Ah, ma sei tu che te la procuri questa precoce vecchiezza

– Oh mattin de la vita, o giovinezza! – sospirò Maurizio con Tarchetti, ma sorridendo, benché forzatamente Anna cambiò discorso.

– Non vieni con noi? Via andiamo, che ti divertirai assai dalla duchessa di RC’è ballo, concerto, cena... un mondo di divertimenti a cui è invitata la più bella, alta aristocrazia. Ma sì, tu preferisci rimaner solo, a meditare, a disperarti… perché certo non hai sonno

– Infatti! Ma vedete, non ho per anco fatto toeletta.

– È un minuto! – disse donna Anna insistendo, mentre il marchese la chiamava dalla stanza attigua.

– Verrai?

– Sì, giacché lo volete, fra un’ora verrò…

Va bene! – E uscì, leggera leggera sui tappeti, svelta come una fanciulla, mentre il sorriso spariva dal viso di Maurizio che si lasciò cadere su di una sedia accanto al fuoco e nascose il viso fra le mani sulle quali scorsero tosto due lagrime che al riflesso del fuoco parvero due goccie di sangue. Forse quelle lagrime si sarebbero moltiplicate se una mano tremula non avesse in quel punto bussato leggermente alla porta. Maurizio si rasciugò gli occhi, si guardò rapidamente in uno specchio, sorrise e facendo sparire dal suo viso l’aria di immenso dolore che glielo offuscava, andò ad aprire. Era Ninnia che veniva a fargli la solita visita notturna: Ninnia che pareva ringiovanisse dacché gli era dato di amar liberamente Maurizio e d’esserne riamata. – Oh, mamma, cara mamma! – esclamò egli abbracciandola teneramente.

Silenzio, Maurizio! Parla un po’ più piano.

– Non v’è nessuno. Venite, venite, e rinnovate, come sempre la mia speranza! Oh! ve lo dissi cento volte: se non ci foste stata voi nella mia vita a quest’ora sarei già morto

– Ma silenzio! Che dici mai? – mormorò lei passandogli una mano in bocca. Maurizio le prese quella mano, e voleva costringere la buona vecchia a sedersi accanto al fuoco, ma essa esclamò:

– Per questa notte no! Son venuta per pregarti di andare al ballo affinché ti divaghi: per rimproverarti di non aver accompagnata donna Anna e il marchese. , Maurizio caro, e scaccia questa triste melanconia che, senti, mi pare esagerato dal momento che Stella deve ritornare.

Ritornare? – gridò lui indietreggiando con un lampo negli occhi.

– Ma sì… mi scordavo dirtelo, ma già, tu non ci crederai! Mi son sognata che Stella mi abbracciasse dicendomi: «Mamma, eccomi qui! Dov’è il mio diletto Maurizio

– Oh, cara mamma!

– E ora vai? – chiese Ninnia sorridendo.

– Sì! Del resto lo promisi anche a donna Anna.

– Farò allestire una carrozza?

– Ma no! Andrò a piedi; si tratta di due passi, e poi... piglierò aria, perché mi sento soffocare. Credo dovrò ammalarmi

– No! No! – disse Ninnia abbracciandolo.

Mezz’ora dopo, Maurizio, in elegante abito da società, ma ben ravvolto nel suo mantello, uscì dal palazzo e con passo quasi incerto cominciò a percorrere l’immensità della via Chiaia illuminata dalla luna e dai fanali. Ma fatti alcuni metri di strada Maurizio si fermò, guardò fisso sotto un fanale, poi si slanciò verso quel sito e chinandosi mandò un lieve grido. Nella penombra proiettata dai palazzi, sotto quel fanale, stava steso un giovine, elegantemente vestito, il petto squarciato da una pugnalata, con accanto un portafogli vuoto e un fazzoletto da naso… Sulle prime Maurizio esaminò rapidamente il portafogli ricamato con una corona da conte e le iniziali R. D. P., e il fazzoletto di batista, e mandando un altro grido si appoggiò al muro per non cadere: egli conosceva benissimo quel fazzoletto marcato con una S tra fiori; e nel portafogli aveva trovato un ritratto di Stella!…

L’uomo ferito era Ruggero, il ritratto quello mandatogli dal suo amico di Napoli, e il fazzoletto quello regalatogli da Stella pochi giorni prima… Riavutosi dal suo stupore Maurizio si guardò attorno, per vedere se mai i suoi gridi avevano attirato gente, ma non vide nessuno, non udì che gli accordi sonori di un waltzer vibranti in un palazzo vicino. Allora ritornò correndo sui suoi passi… E pochi minuti dopo Ruggero si trovava in un letto del palazzo dei d’Oriente, la ferita lavata e fasciata, vestito con una camicia da notte dell’amante di Stella!...


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