Italo Svevo: Raccolta di opere
Italo Svevo
Commedie

LE IRE DI GIULIANO (Commedia in un atto).

ATTO PRIMO.

Scena seconda. Giovanna e dette.

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Scena seconda. Giovanna e dette.

 

GIOVANNA.  Lucia a quest'ora?

LUCIA  (scoppiando in singhiozzi e gettandole le braccia al collo). Sì! mamma mia! a quest'ora.

GIOVANNA.  Che cosa ti è successo, mio Dio! Lui è ammalato?

LUCIA.  No, mamma!

GIOVANNA.  E allora?

LUCIA.  Maria, perdonami, ho da dire qualche cosa a mamma! Dopo lo saprai anche tu, lo sapranno tutti.

MARIA.  Vado, vado, signora! A me non ha mai interessato di sapere i fatti altrui. (Parte.)

GIOVANNA.  Ebbene? Dunque! parla!

LUCIA  (singhiozza appesa al suo collo).

GIOVANNA.  Lucia! Lucia! Ma dunque! Lucia! Mi fai morire dallo spavento!

LUCIA.  Da spaventarsi non c'è, ma da piangere! Oh! Mamma!

GIOVANNA.  Ma parla dunque!

LUCIA.  Ho fatto baruffa con Giuliano!

GIOVANNA.  E questo è tutto? Ma tu sei pazza di spaventarmi in tal modo! (Sedendosi.) Non ne posso proprio più!

LUCIA.  Oh! mamma! Se sapessi quale notte io ho passato! Non mi gettai neppure sul letto! (Con amarezza.) Egli invece dormì come se nulla fosse accaduto!

GIOVANNA.  Dunque! racconta! Che cosa avete avuto fra di voi?

LUCIA.  Guarda, è una cosa che quasi non si può raccontare, tanto si capisce che sentendola deve apparire ridicola! Ma senti! Io non mi lagnai con te da molto tempo delle scenate di mio marito! Tu credevi di certo che non me ne facesse più, mentre non ne sapevi perché io ne taceva temendo di affliggerti troppo. Poi sperava sempre che una buona volta egli si calmasse; quando ci si rappacificava egli prometteva sempre che sarebbe stata l'ultima volta! Invece una seguiva all'altra, senza interruzione, quasi come i minuti ai minuti!

GIOVANNA.  Oh! via!

LUCIA.  Te lo assicuro! mamma! Erano molto spesse! Nell'ultimo tempo specialmente. Io gridava, minacciava, con te sola tacevo! Con Matilde mi lagnai molte volte. Alla fine però doveva sempre fare la pace, concedere il perdono! Nell'ultimo tempo gli dissi che se ancora una volta mi lanciava insolenze, gridava o bestemmiava, io sarei sortita da quella casa, fuggita. Ebbene! oggi sono fuggita!

GIOVANNA.  Tu non parli seriamente!

LUCIA.  Tanto seriamente, tanto ponderatamente! Ci ho pensato tutta la notte! Ho vagliato una per una tutte le mie buone ragioni.

GIOVANNA.  Gli hai detto che non vuoi ritornare?

LUCIA.  No! ma gliel'ho scritto.

GIOVANNA  (ridendo). Oh! la mia povera bambina! ma quanto bambina sei ancora! Non era proprio ancora tempo di sposarti! Per simili sciocchezze vuoi dividerti dal marito?

LUCIA  (a voce bassa). Mi ha bastonata!

GIOVANNA  (mutando tono). Ti ha bastonata? Bastonata? Oh! Vergine santa! Bastonata? Ah! signor Giuliano villano! Oh! la mia povera figliuola!

LUCIA  (con voce molto commossa). Ieri a sera è venuto a casa già di malumore. Non so quale affare gli era andato male! Brontolò tutta la sera a cena! Gli portavano il cibo troppo lentamente, poi la carne era fredda, l'insalata condita male; poi sgridò - ma in qual modo - la serva perché ruppe un bicchiere. Io stetti zitta perché lo conosco, ma subito dopo cena mi misi a lavorare al telaio! Poco cortesemente egli m'invitò a sedere a tavola ed io non volli. Gli dissi a mo' di scusa che dovevo finire il lavoro quella sera e lui tacque per molto tempo. Covava l'ira. Tutto ad un tratto si alzò gettando a terra la sedia, mi corse addosso, prese il telaio, lo lanciò in aria; mi trascinò al tavolo e mi piegò a sedere; proprio mi sforzò, perché io, irrigidita, per spavento più che per volere resistetti. Poi mi misi a piangere, ma non gli dissi neppur una brutta parola. A che serviva? Io voleva fare di più: l'avevo deciso. E tutta la notte ci pensai; non chiusi occhio. Ho proprio compreso che sarei stata una sciocca a continuare a far quella vita. Perché? Per chi?

GIOVANNA  (seria). È un passo grave, molto grave, quello che tu vuoi fare. Perché dovresti continuare la vita fatta finora? E non l'ami?

LUCIA.  Amarlo? Io, amarlo? Ma l'odio! (Piange. Poi singhiozzando.) Odiarlo! Neppure tanto! È uno sciocco, è un matto! Anche questa non ti ho raccontato! Egli è geloso, ossia dice d'esserlo! E sai di chi? Del cugino Filippo!

GIOVANNA  (sorpresa). Del cugino Filippo?

LUCIA.  Sì, del cugino Filippo, di quello scimunito! Lo trovò due o tre volte in casa e non mi disse nulla allora; trattò con gentilezza anche quel povero disgraziato. Solo quando va riprendendo il suo stato normale, sortendo dalla collera, per ultima insolenza mi dice che io non creda che lo si possa ingannare; che lui vede, che lui ascolta e che prima o poi avrà prove più materiali per accusarmi. Così senza a proposito come se vi avesse pensato sempre! Ma per chi mi tiene dunque? (Piange.)

GIOVANNA.  Bisognerà cercare di disingannarlo. Perché, chissà? Forse lui ci crede.

LUCIA.  Oh! ora a chi interessa? E poi, servirebbe? Anche prima d'aver fatto questa magnifica scoperta aveva simili assalti d'ira ed altrettanto frequenti!

GIOVANNA.  Ma è tanto tremendo?

LUCIA.  Oh! mamma mia! se tu lo vedessi! Non lo si conosce più! Ha negli occhi un bagliore fosco; io non lo so, ma credo che così guardino gli assassini! Quando in quegl'istanti gli rispondevo facendo la coraggiosa, col pensiero pregavo per trovarmi preparata alla morte!

GIOVANNA.  Esageri!

LUCIA.  Oh! no mamma! È proprio così! (Piange.)

GIOVANNA.  E quando non è irritato come ti tratta?

LUCIA.  Conforme. Subito dopo l'ira, male. Per esempio se fossi rimasta in casa ancora per qualche giorno, mi avrebbe trattato ruvidamente, non mi avrebbe rivolto la parola. Egli dormì tutta la notte voltandomi la schiena con la testa sotto le coperte così che quando si alzò questa mattina aveva gli occhi rossi dal riscaldo. È uscito senza aprir bocca. Forse non andrà neppure a pranzo a casa e non s'accorgerà della mia assenza che questa sera. Sarebbe venuto a casa alla sera, calmo, ma con un aspetto indifferente, come di granito. Io solitamente non gli parlavo, ma se gli chiedevo perché non fosse venuto a pranzo mi diceva con dolcezza ma senza guardarmi: «Aveva molto da fare.» Se ne andava poi a letto senza dirigermi la parola a meno che non abbisognasse di qualche cosa e allora lo faceva dolcemente. Al mattino dopo io fingevo sempre di dormire e lui si muoveva a piano per non svegliarmi, ma prima di uscire si chinava su me, mi guardava e mi dava leggermente un bacio. Da vero ogni volta, regolarmente, faceva così. In principio io non sapeva continuare nella finzione e aprivo gli occhi, gli gettavo le braccia al collo e non se ne parlava più. Ma dopo il molto esercizio che mi fece fare, appresi a fingere e continuavamo a tenerci il broncio per molti, molti giorni. Ossia il broncio? Io a lui sì, lui a me no, perché aveva un contegno spigliato, indifferente, come se il tutto non lo riguardasse. Mi parlava poco e con dolcezza, non mi si avvicinava più di quanto assolutamente facesse bisogno. Un bel giorno ci trovavamo in pace senza saper come.

GIOVANNA.  E allora? Allora?

LUCIA  (triste). È vero, per giorni, per settimane allora mi trattava bene, amorevolmente, come nessun altro marito può trattare la moglie. Pareva impossibile che avesse ancora da dirigermi parole dure. Invece, senza ragione apparente, riacquistava un giorno il suo sguardo torvo, poi subito la parola da facchino, se non gli atti. (Piange.)

GIOVANNA.  Davvero che è incomprensibile! Bisognerebbe farlo esaminare da un medico perché assolutamente quell'uomo deve essere ammalato.

LUCIA.  È quello che dico anch'io, ma non tocca di certo a me guarirlo.

 

 


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