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LE TEORIE DEL CONTE ALBERTO (Scherzo drammatico in due atti). ATTO PRIMO. Scena terza. Elvira e Lorenzo. |
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Scena terza. Elvira e Lorenzo.
ELVIRA (ancora con dignità). Vegga signor Migliori se la ragazza non si è soffermata ad origliare.
LORENZO. Chi crede lei che sia Anna? (Spalanca la porta.) Come vede se ne è andata.
ELVIRA (cambiando tono). No, così proprio non la può andare avanti. Tu entri in casa mia come se fossi il padrone; impedisci ad Anna di ubbidirmi, e ti fai dare del tu. E non è la prima volta che ti dico che io non lo voglio.
LORENZO. So che me lo hai detto anche altre volte, io ho buona memoria, ma semplicemente ti ho detto che io lo voglio invece. Sii tanto compiacente da non far storie. Non so, ma di giorno in giorno tu diventi più bisbetica, più antipatica.
ELVIRA. Grazie; a te non mi importa di riuscire simpatica.
LORENZO. No? (Ridendo.) Quell'abito ti sta magnificamente. È la prima volta che te lo vedo indosso.
ELVIRA (se lo guarda un istante, poi un poco confusa). Conosci tu un certo Alberto conte di Wolfenbüttel?
LORENZO. Certamente, è mio buon amico.
ELVIRA. Perché ti desta tanta sorpresa?
LORENZO. Ma sarebbe un'immensa fortuna per Anna.
ELVIRA. Basta che c'intendiamo. Io parlo del conte Alberto di Wolfenbüttel.
LORENZO. Ho capito! Wolfenbüttel.
LORENZO. Alberto, sì, sì. Non ce n'è che uno.
ELVIRA. E dici che sarebbe una fortuna?
LORENZO. Altro che fortuna. Ma non era promesso sposo alla contessina Armeni di Venezia?
ELVIRA. Io non so! A me appare un matto od un traditore.
LORENZO. Perché?
ELVIRA. Figurati che appena partito tu, un mese fa, si fece presentare in casa da Emilio Chieti. Dopo, Chieti ci raccontò che anche a lui il conte era stato presentato un'ora prima e che lo aveva quasi costretto a condurlo qui da noi. Il giorno dopo venne alle quattro a trovarci; rimase un'ora e ritornò alle sette. Io lo trattai con freddezza ma Anna lo accolse benissimo. Il giorno susseguente venne anche due volte; la prima come se fosse naturale, la seconda scusandosi, figurati che fu per distrazione. Voleva andare dai Millini che abitano fuori di città. (Lorenzo ride.) Cosa si poteva fare? Io non lo conosceva e lo trattava freddamente. Pareva non se ne accorgesse. Da allora regolarmente venne due volte al giorno meno due giorni. Uno perché rimase una volta sola sei ore.
ELVIRA. Si fece invitare a pranzo, (rabbiosamente) si fece, capisci. L'altro, condussi per forza via Anna alle tre e mezza sapendo che lui doveva venire alle quattro.
ELVIRA. Io credo che in un solo mese con questo metodo è arrivato a sconvolgerle la testa. Era inutile che io le dicessi che non si illuda che costui era un birbante o un matto. Quando sapeva che lui aveva da venire la coglieva la febbre. Prese un'infreddatura a stare a guardarlo dalla finestra perché lui non contento di ciarlarle qui per ore ed ore le passeggia sotto le finestre. Ella non mi abbada quando le dico che si capisce che costui non ha intenzioni oneste per quanto assuma l'aspetto di uomo franco.
LORENZO. Ed Alberto ti ha già chiesto la sua mano?
ELVIRA. Non ha mai parlato su tale proposito.
LORENZO. Scommetto che sa che io sono tutore di Anna ed attende per questo il mio ritorno.
ELVIRA. E tu accoglierai le sue proposte?
LORENZO. Non solamente le accoglierò ma lo inviterò a spiegarsi. Io sono da lunghi anni suo buon amico.