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IGNAZIO. Oh, signora, lei qui?
ELENA. E lei?
IGNAZIO. Io sono venuto in cerca del signor Carlo.
ELENA (ironicamente). Per prender congedo?
IGNAZIO (spaventato). Che!… Ottavio, avrei da dire qualche cosa alla signora da parte di Carla.
OTTAVIO. Me ne vado. (Lo prende da parte.) Ma senti, una parola. Se domani tu mi portassi l'oriolo e la catena, se proprio lo vuoi, rammentati di non dire a papà che domani è il mio compleanno.
IGNAZIO. Si capisce, sta tranquillo. (Ottavio raccoglie lentamente dal tavolo la penna, alcuni libri e se ne va.)
IGNAZIO. Non posso prender congedo neppure da mio cognato.
ELENA. Perché?
IGNAZIO. È facile immaginarlo. Ti ho già confessato che lascio dei creditori accaniti che certamente non lascierebbero in pace mio cognato. Vorranno essere pagati da lui, perché per la maggior parte io ebbi sue raccomandazioni. Egli non pagherà. Ma sa che con me viaggia un pochino della sua buona fama. Se sapesse della mia partenza, vorrebbe di certo trattenermi.
ELENA. Oggi, dunque, di certo.
IGNAZIO (baciandole le mani). Oh, grazie, grazie! Difficile, ma non impossibile! La mia vita non potrà compensare tanto sacrificio.
ELENA (con abbandono). Non sacrificio, non sacrificio! Cosa posso fare di meglio per la mia felicità che fuggire con te? La menzogna a me sembra maggior colpa della colpa stessa, quella che gli altri chiamano colpa. Oh, vivremo tanto bene insieme! Il tuo carattere allegro, vivace ti farà dimenticare qualche mio difettuccio. Io te ne sarò grata, tanto da dimenticare i tuoi grandissimi.
IGNAZIO. Ne ho tanti?
ELENA. Non so. Intanto l'ingratitudine. Quella povera Carla!
IGNAZIO (seriamente). Ho fatto male a sposarla. Non era donna per me.
ELENA. Ne parli troppo seriamente. Temo tu abbia tutt'altro difetto che l'ingratitudine. Uno maggiore!
IGNAZIO (ridendo). Insomma per ambidue è stato meglio che ci sieno i nostri difettucci. Oh, tanto tanto meglio! (L'abbraccia.)
IGNAZIO. Precisamente! Io durerò fatica a distogliere Carla dall'accompagnarmi, ma ci riuscirò. (Hanno appena tempo di lasciarsi.)