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CARLO. Carla! E tuo marito? (Veemente.)
CARLA (vestita a nero, pallida addolorata è rimasta in fondo della scena). Mio marito?
CARLO. Non è dunque fuggito? È sempre con te?
CARLA (piangendo cade seduta sulla sedia presso la porta di fondo). Dio mio!
CARLO (si copre il volto con le mani). Dunque era vero! Era vero! Oh, l'infame!
CARLA (sempre singhiozzando). No, Carlo! È stata la forza delle circostanze che lo ha spinto! Egli poveretto lottava, faceva di tutto per sortirne con onore, ma alla fine è stato vinto.
CARLO. Ma perché nei suoi sforzi per salvarsi ha rovinato me? Oh, il traditore! (Furibondo.) Tu sai, Fortunata, se io sia stato leggero, se abbia mai confidato alla cieca in altri! Quelle furono lotte! Tutta la mia vita ci misi! Tutte le mie forze, tutta la mia intelligenza! Ero attivo fino alla esagerazione ed economo. E costringevo anche te ad essere tale. Tanta perfidia, tanta dissimulazione mi vinsero che non mi vergogno di essermi confidato come un bambino! Io credeva di conoscere il mondo, gli uomini e adesso che sono stato ingannato lo credo ancora! Perché… chi poteva attendersi di scoprire un ladro in un congiunto?
CARLO. Benedette le lagrime che t'impediscono di parlare per difenderlo! Io ti perdono. Sono stato ingannato io, sei stata ingannata anche tu sua moglie. Tu, probabilmente non sai nulla, o almeno non sai tutto.
CARLA. Oh, egli mi raccontava tutto!
CARLO. No, ti dico. Non può essere! Non piangeresti o almeno non piangeresti che per me. Ti ricordi che davanti a te, un anno fa, mi chiese di partecipare ad un suo affare prestandogli diecimila lire? Già allora egli sapeva che non sarebbe stato in condizione di restituirmeli.
CARLA (debolmente). No!
CARLO. Ti dico di sì Carla, ti dico di sì. Tu non sapevi nulla, ma io ben presto mi accorsi, no, non mi accorsi, sentii, ch'era così. Era un istinto, ma io lo soffocai per vari motivi, di cui non ti dirò che uno: era tuo marito. Tutto ad un tratto, all'epoca precisa in cui doveva pagarmi una parte del debito, mi chiese invece altri denari. Mi mostrò delle merci preziose che pel momento gli era difficile di realizzare, dei libri di un valore considerevole. Se quei libri fossero stati veridici, se quelle merci fossero state sue, a quest'ora il suo stato non avrebbe potuto mutarsi talmente da un istante all'altro.
CARLA. Perdette poi tutto in fallimenti…
CARLO. Non è vero! Giuocava a carte e può aver perduto al circolo i denari rubatimi; ma mi meraviglierebbe, perché non gli sarà stato facile trovare un uomo più ladro di lui.
CARLA. Io non posso rettificare queste orribili accuse, ma t'inganni. Non è giusto attaccare in tal modo un assente. Io non mi lagno per me, ma vorrei essere morta piuttosto che essere qui in questo stato. (Piange.)
CARLO (la guarda un istante intenerito). Siamo due disgraziati, è vero!
FORTUNATA (abbracciando Carla). Povera donna!
CARLO. Io non intendevo farti del male. Chissà! Forse anche questa volta riuscirò a cavarmela col lavoro, con l'aiuto di amici che conoscono la mia onestà. Ma il colpo è stato forte, molto forte! Perché continuai a dargli denari; si trattava di salvare una grossa somma con sacrifici, relativamente piccoli, ed io lo feci. (Rialzandosi con energia.) Insomma, meglio l'agonia che la morte. Sono più avanti con gli anni, ma non mi trovo in uno stato peggiore di quello in cui mi trovavo sei anni or sono (con leggero rimprovero) allorché tu ti sposasti. Ricordi? Io ti scongiurava di non sposarti o almeno di aspettare.
CARLA. Io non potevo.
CARLO. O meglio non volevi. Anche adesso hai avuto dei torti. Tu sapevi che il colpo si preparava e hai taciuto.
CARLA (ad un tratto agitata). Chi ti dice ch'io menta?
CARLO. Se lo sappiamo che da parecchi giorni avete abbandonato la vostra casa. Non so dove avete passato tutto questo tempo, ma dal vostro contegno, dal tuo contegno è facile comprendere che non volevi si sappia questo cambiamento.
CARLA. Ebbene, è vero. Io sapevo che Ignazio doveva fuggire e non dissi nulla. Dovevo tradire mio marito?
FORTUNATA (si allontana da lei). Tradire tuo fratello?
CARLA. E che cosa avrebbe servito a Carlo sapere di questa fuga? Avrebbe danneggiato Ignazio senza alcun suo utile.
CARLO. E tu, disgraziata, che cosa speri, ora, da tuo marito?
CARLA. Che cosa io spero da lui? Intanto che egli giunga in salvo. Poi mi ama, mi ama sempre come il primo giorno del nostro matrimonio. Appena potrà mi chiamerà presso di sé.
CARLO. E tu andrai? Ti affiderai di nuovo a quell'individuo?
CARLA. Ma con gioia! S'è l'unica felicità che mi rimanga vivergli accanto!
CARLO. Tu sei perduta per noi, capisco. È anche naturale. (Riscaldandosi.) Ma però al vederti così tranquilla, così indifferente alla mia disgrazia, preoccupata soltanto di te, della tua sorte, provo un intimo senso di disgusto.
CARLO. È vero, ho sbagliato, di lui ch'è causa di tutto. Eppure io ti amai, ti protessi, ti feci da padre per molti e molti anni. Non ho mai chiesto un compenso, ma non mi aspettavo di venir pagato con tanta tanta ingratitudine.
CARLA. Non saprei in qual modo avrei da dimostrarti la mia gratitudine in queste circostanze. La gratitudine possono dimostrarla le persone felici, io non lo potrei mai! Capisco che la mia vista deve riescirti incresciosa. Io non ne ho colpa. Non voglio fartela perciò sopportare più a lungo. Addio. (Si avvia risolutamente verso l'uscita.)
CARLA. No, mi lasci, mi lasci! Io me ne vado.
CARLO. Non sono io che ti scaccio! Sei tu che fai di tutto per accrescere il mio dolore con scenate! Insomma, finiamola! Tu rimani qui. Manderemo Maria a invigilare la tua casa.
CARLA. Non ho casa. In quest'ultime settimane abbiamo vissuto all'albergo.