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ELENA (agitatissima). Catina mi ha detto che eravate qui. Sentite, Ignazio! Datemi le gioie o io sono una donna perduta.
IGNAZIO. Ve le darò. Ve le darò. (Sottovoce.) Calma, calma!
ELENA. Le avete qui, nevvero? Già oggi mio marito si accorse che mancavano. Gli dissi ch'erano dal gioielliere. Adesso non potrei più oltre mentire, dirgli che le ho date a voi, gioielliere, perché sarebbe stato mio dovere avvertimelo almeno quando siete scomparso. (Carla comprende, si alza, vuole parlare, non può, esce vacillando e chiude la porta dietro di sé.)
IGNAZIO. Ma Carla, ove vai? Oh, Elena, Elena! Tu mi rovini. Io dicevo sempre che le donne mi rovinerebbero. Ecco le tue gioie! Occorreva lasciarti trasportare da tale passione per quattro miserabili pezzi d'oro? (Le consegna un cofanetto.)
ELENA (aprendo il cofanetto con vivacità e guardandoci dentro per verificare). Oh, bravo, bravo! Mi ridonate il respiro! Grazie! (Dopo una piccola pausa.) E adesso addio. (Va verso la porta.)
IGNAZIO. Così, dunque, Elena, mi abbandoni anche tu? Questo addio significa proprio una separazione definitiva?
ELENA. Sì, Ignazio, ho sofferto troppo. Ho capito ch'è meglio annoiarsi e non aver da temere niente da nessuno. Quando mi sono vista sola con voi in quella stazione e poi mi avvertiste ch'eravamo perseguitati, fuggii spinta proprio da vergogna e da paura; poi vissi molte ore in angoscia per queste malaugurate gioie… Addio! (Via.)