Italo Svevo: Raccolta di opere
Italo Svevo
Commedie

TERZETTO SPEZZATO (Fantasia in un atto).

ATTO PRIMO.

Scena prima. Il marito e l’amante.

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ATTO PRIMO.

 

Scena prima. Il marito e l’amante.

 

Il marito e l'amante. Ambedue sui trent’anni circa e tutt'e due vestiti a lutto.

 

IL MARITO.  La cena non era male.

L'AMANTE  (poco d'accordo). Si mangia tuttavia.

IL MARITO.  Anche le ore passate saranno per me indimenticabili. Ella non era con noi, ma la speranza di rivederla bastava a dar luce a quella solitudine. (Guarda l'orologio.) Ho mangiato un po' troppo presto e me ne risento. Mi pareva che mangiando presto facevo camminare più celermente il tempo.

L'AMANTE  (stringendosi nelle spalle). Come vivi nelle tue illusioni. Io, davvero, t'invidio.

IL MARITO.  Illusioni? Sappi che io ho la certezza ch'essa verrà. Non ti raccontai ancora tutto. Dopo la lettura di quel libro, iersera subito, mi misi ad evocarla. Anelavo di rivederla. Le domandai un segno tangibile ch'essa mi stava accanto. La pregai: Toccami il braccio… qui, e designai esattamente il posto ove volevo ch'essa toccasse. Ebbene: Dopo pochi istanti d'intensa meditazione ricevetti proprio su quel punto un colpo che per poco non mi fece perdere l'equilibrio.

L'AMANTE.  Si sente raccontare ogni giorno di casi d'illusioni simili.

IL MARITO.  Illusioni? Guarda qui. (Denuda il braccio.) Vedi che botta? Ha tutti i colori dell'iride.

L'AMANTE.  Sarai caduto, ti sarai fatto male su uno dei tuoi mobili mastodontici.

IL MARITO.  Ma no! Ne sono certo!

L'AMANTE.  E si limitò a darti quella legnata? Non arrivaste a parlarvi?

IL MARITO.  Noi due siamo amici da tanti anni che voglio essere sincero con te. Io invocavo con tutta tranquillità lo spettro di mia moglie, ma è certo che il mio coraggio era dovuto alla convinzione di fare opera vana. Quando mi giunse quel messaggio anche troppo chiaro ch'essa sarebbe venuta… vuoi crederlo?… ebbi paura. (L'amante ride.) Non ridere te ne prego!

L'AMANTE  (ridendo sgangheratamente). Scusa… solo un momento. E tua moglie… starebbe tranquilla nella tomba… ma tu la chiami… essa viene… e tu hai paura. Che idea si sarà fatta del tuo affetto. Ammettendo anche, per un istante, ch'essa fosse stata in procinto di venire, ora, offesa, non verrà più.

IL MARITO.  Io credo che i morti tutto. Da viva aveva anch'essa tanta paura degli spettri. Guarda! Ricordo persino che una volta scherzando le dissi che dopo morto sarei venuto a trovarla e ch'essa divenne subito pallida a quell'idea. Volle che sul serio le promettessi di lasciarla in pace quando fossi morto prima di lei. Dunque dinanzi a lei non ho da vergognarmi della mia paura. Mi perdonerà! (Guarda per la seconda volta l'orologio e lo ripone.) Io credo che se tu mi resti da canto io non avrò paura. Pensai a te perché per te era quasi una sorella.

L'AMANTE  (con tristezza). Certo, certo! Io la consideravo quale una sorella. Purtroppo non so avere la fede che hai tu. I morti sono morti e dànno ancora meno peso a noi di quanto noi diamo loro.

IL MARITO.  Non discutiamo ora che siamo in procinto di provare. Da te non domando altro che serietà. Hai capito bene le istruzioni? Di qui a dieci minuti siederemo ai due canti della stanza. Prenderemo ambedue una posizione comoda come se volessimo dormire e penseremo invece intensamente a lei. Le istruzioni dicono di non dirigerle alcun ordine. No! Penseremo, vivremo come se essa fosse qui. Io me la figurerò come se la tenessi qui sul mio cuore. Tu te la figurerai… (L'amante presta grande attenzione.) Anche tu te la figurerai fra le mie braccia.

L'AMANTE.  Io non l'ho mai vista fra le tue braccia.

IL MARITO.  Ebbene! Mi farai il piacere di pensarla così.

L'AMANTE.  Non ti fa niente ch'io me la rappresenti come ero uso di vederla fra noi due quando ci offriva il caffè dopo pranzo? Mi sarebbe più facile di pensare a lei così.

IL MARITO.  No! La prova riuscirà più facilmente evocandola col pensiero ad un istante più serio della sua vita. Ricordi quando fui ammalato ed ella in tua presenza mi passava la mano sulla testa scottante?

L'AMANTE  (commosso). Ricordo, ricordo quell'epoca. Tu eri esiliato in un letto. Ricordo, ricordo

IL MARITO.  Ebbene! Figuratela così accanto al mio letto di dolore.

L'AMANTE.  Ti toccava la testa per vedere se avevi la febbre.

IL MARITO.  Sì! Devi figurartela in quel momento tanto serio della sua vita. Puoi immaginare che in quel momento il suo cuore di moglie amante batteva all'idea di vedermi ammalare. Il suo spirito sarà potentemente evocato a quel ricordo.

L'AMANTE  (un po' spazientito). Insomma farò in modo di pensarla in un momento serio della sua vita. Non in quello che dici tu perché ricordo ch'essa trovò fresca la tua testa e subito rise e ti derise.

IL MARITO.  Dovresti, almeno, dirmi in quale posizione vuoi figurartela perché se tu non puoi aiutare il mio pensiero io possa almeno collaborare al tuo.

L'AMANTE  (imbarazzato). E dev'essere una posizione seria? È una cosa difficile perché - a dire il vero - fino alle smorfie che le fece fare l'agonia, io la vidi sempre ridere e sorridere. Fu la gioia della tua vita e anche di tutti coloro che frequentavano questa casa. Però ciò ridonda a tutto tuo onore.

IL MARITO.  Tu non la ricordi bene! Il suo fondo era sempre serio. La superficie soltanto rideva e sorrideva.

L'AMANTE.  Ma perché discutere? Io sono qui per esserti utile. Dunque penserò tua moglie nel modo che vuoi, fra le tue braccia.

IL MARITO.  Grazie! Così la prova non può fallire. Essa sa che dopo due mesi io sono ancora tutto col pensiero a lei. Sa che ogni giorno dopo Borsa vado al cimitero a salutarla.

L'AMANTE  (con slancio). E non faresti meglio di accontentarti di quella pietra e non fare questa prova che mi pare persino offensiva per lei? (Disdegnato.) Io me ne vado.

IL MARITO  (spaventato). Hai paura anche tu?

L'AMANTE.  Paura? Un certo genere di paura l'ho ed è di apparire ridicolo.

IL MARITO.  Tu vuoi ingannarmi! Hai paura! Vuoi sottrarti alla prova con miseri pretesti. Come potresti apparire ridicolo per avermi aiutato in una prova mia? Il ridicolo può colpire me soltanto.

L'AMANTE  (scosso). È vero! Io non c'entro.

IL MARITO.  Dunque resta! Se tu te ne vai io non resto qui solo. Vado a dormire in un albergo. Non saprei restare in una casa ove attesi uno spirito. E per colpa tua tutte le ansie che oggi soffersi sarebbero vane e dovrei domani ricominciare da capo.

L'AMANTE.  Povero amico mio! Il dolore ti ha fatto dar di volta al cervello. Non ti accorgi da te che farnetichi?

IL MARITO.  E sia! Farnetico! Ma tu mi devi tolleranza anche se farnetico. Me la devi. Finché in questa casa c'era la gioia tu ne eri partecipe. Io e lei, la povera Clelia, non avevamo l'occasione di un solo passatempo senza pensare a te. Talvolta essa mi diceva: Ma perché invitarlo? Non possiamo star soli una buona volta?

L'AMANTE  (con stizza). Davvero diceva così?

IL MARITO  (bonario). Non che ti volesse male, sai. Anzi, tutt'altro. Te lo assicuro. Ma un celibe come te non può sapere come si desideri talvolta fra marito e moglie restare soli. Capirai!

L'AMANTE.  Io ho sempre sentito dire che il male del matrimonio è precisamente il contrario cioè che marito e moglie restino soli troppo spesso e troppo a lungo.

IL MARITO  (amaramente). Troppo spesso e troppo a lungo!

L'AMANTE  (commosso). Via, calmati!

IL MARITO  (guarda l'orologio). Com'è lenta questa macchina. (Attaccandosi al braccio dell'amico.) E mi prometti di restar serio fino in ultimo? Se la cosa è fatta con serietà deve riuscire! Ho piacere che anche tu sia in luttoScusa! Un parente forse?

L'AMANTE.  Sì! ma lontanissimo!

IL MARITO.  T'ha lasciati dei denari?

L'AMANTE.  Miserie!

IL MARITO  (ritornando alla sua idea dominante). Dunque serietà? Me lo prometti?

L'AMANTE.  Ma sì! Giacché lo vuoi! S'intende che lo faccio senza convinzione e solo per compiacerti. Di me, perciò, non si potrà mai ridere.

IL MARITO.  Chi potrà riderne, chi ne saprà qualche cosa? Se essa non viene certo non ne parleremo con nessuno. E se essa viene… Ma che pensi? Ti pare ch'essa stessa si faccia beffe di noi?

L'AMANTE  (seccato). Ma non dico questo! Se anche l'avessi creduta capace di farsi beffe di noi da viva… Che diamine! La morte rende serii!

IL MARITO  (con stizza). Te lo ripeto! Tu non la conoscevi! Per convincerti quanto essa fosse in fondo seria, avresti dovuto conoscerla nei primi anni del nostro matrimonio. Era tanto giovine eppure era anche troppo seria. La mia posizione non era ancora bene stabilita. Avevo dei pensieri di cui la rendevo partecipe. Ebbi torto e me ne accorgo.

L'AMANTE.  Perché vai a rammaricarti così? Sei stato un ottimo marito, tu! Vorrei poter dire altrettanto di me… se fossi stato sposato ed ora fossi vedovo.

IL MARITO.  Quante eventualità!

L'AMANTE.  Lo dico per rattristarmi e mettermi nello stato d'animo che occorre alla tua esperienza.

IL MARITO.  Vi sei già! Io ti trovo serio, anzi triste! Quasi eccessivamente! Finirai coll'impressionarmi anche di più!

L'AMANTE.  Certo! Se io fossi vedovo, sono sicuro che dovrei avere dei rimorsi. Io le donne non le posso soffrire. Parlo naturalmente di quelle che conosco io. Quando le attendi non vengono mai e quando son venute non vanno mai via. Di' la verità! Con me puoi essere sincero! Mai ti avvenne di augurarti che tua moglie da una dolce forza imperiosa che non le torcesse un capello fosse trasportata lontano da te, per esempio sul Monte Bianco?

IL MARITO.  Come sei crudele! Un simile augurio! Mai e poi mai!

L'AMANTE.  Protesti così perché hai paura dello spettro di tua moglie.

IL MARITO.  Te ne prego, non dire così. Giuro che non desiderai giammai che mia moglie si fosse allontanata da me!

L'AMANTE.  Perciò sei fatto in modo diverso di me. È quello che sospettavo. Io, vedi, amo talvolta di avere la mia donna a cena. Ma averla ogni giorno con me, anche a pranzo

IL MARITO.  Tu, disgraziato, non hai conosciuto che certe donne!

L'AMANTE  (pensieroso). Già, soltanto certe donne. Credo però che tutte per me somiglierebbero un poco. Non parlo naturalmente della povera signora Clelia, tua moglie.

IL MARITO  (agitatissimo). Io ti leggo fino in fondo all'anima: eccettui Clelia perché hai paura del suo spettro.

L'AMANTE  (rassegnato). Sì, solo per questo!

IL MARITO.  E allora, se ambedue abbiamo paura, te ne prego, lasciami stare. Io credevo che tu fossi più coraggioso!

L'AMANTE.  Non credere ch'io abbia paura. Ora insisto io di fare quest'esperimento. Sto scrivendo qualche cosa per cui tale esperienza può essermi utile. Andiamo!

IL MARITO.  Ma sarai coraggioso? Eventualmente mi difenderai?

L'AMANTE.  Non t'ho assistito sempre quando ho potuto?

IL MARITO  (dopo di aver guardato l'orologio). Ecco l'ora. Tu siederai su quella poltrona. Io mi sdraierò su quel sofà. (Si getta sul sofà in fondo alla scena; chiude gli occhi e resta immobile. Dopo qualche secondo apre le braccia.) Qui! Clelia!

L'AMANTE  (resta lungamente a guardarlo sdegnoso. Poi si sdraia sulla poltrona. Dopo qualche tempo chiude anche lui gli occhi e mormora). Oh! Clelia!

IL MARITO  (si erge spaventato). Chi ha parlato?

L'AMANTE  (resta immobile a sognare mentre il marito in piedi resta a guardarlo. Quando il marito sta per avviarsi al suo sofà, l'amante spalancando le braccia grida). Ma insomma, Clelia, vieni, vieni!

IL MARITO  (esterrefatto). Che dici?

L'AMANTE  (ritorna in sé). Chi è?

IL MARITO.  Tu sei pazzo!

L'AMANTE  (totalmente rinvenuto). Che cosa ho detto?

IL MARITO  (fuori di sé). Oh! Basta! Basta! L'esperimento è finito.

L'AMANTE.  Ma vediamo! Saresti ora geloso di uno spettro e per di più di uno spettro che non viene?

IL MARITO.  Taci! Non parlarmene più. Usciamo di qui?

L'AMANTE.  Hai paura?

IL MARITO.  No! No! Voglio dimenticare quello che ho udito. Mi fece troppo male! (Quasi piangendo.)

L'AMANTE  (veramente accorato). Via! A quelle mie parole non devi dare un peso che non meritano. Evocavo! Evocavo con tanta… coscienziosità che alla fine mi parve di evocare per conto mio. Già, quando si chiama nel buio risponde chi c'è e talvolta chi non c'è. A me rispose una donna mia, ben mia e purtroppo non c'era neppure lei. Si chiama non Clelia, ma Clara. Se dissi il nome di tua moglie ciò avvenne perché nella mia incoscienza ero sempre accompagnato dal proposito di evocare per conto tuo.

IL MARITO.  Non ti credo! (Poi, dopo una pausa.) Di' la verità: tu desideravi Clelia. Confessalo! Se l'hai già confessato.

L'AMANTE.  Mi sembrerebbe di offenderti negandolo. Del resto io desidero molte donne, direi anzi quasi tutte. È il modo mio di odiarle perché me ne danno motivo. (Con esagerata umiltà.) Non ne vogliono sapere di me.

IL MARITO.  Ora capisco l'invincibile avversione che Clelia aveva per te. Era inutile ch'io le parlassi delle tue buone qualità. Essa non ne voleva sapere di te. Sentiva il tuo turpe desiderio e ne era offesa. Non me lo disse mai, te lo assicuro! Ma ora intendo perché tanto fece per allontanarti da noi. Le facevi schifo!

L'AMANTE  (offeso). Schifo? Via esageri un po'!

IL MARITO  (sempre più accanito). Sì! Schifo! Ed io, imbecille, che lottavo per toglierle un'avversione che ritenevo non fondata.

L'AMANTE  (è in procinto di parlare, poi si pente e, più calmo, dice). Già ai morti si possono attribuire gli odii e gli amori che si vogliono. Essi non ci sono e non possono protestare.

IL MARITO.  Ma io posso darti le prove di quanto ti dico. Ho delle lettere di Clelia da cui trapela chiara la sua antipatia per te. Domani te le farò vedere.

L'AMANTE  (beffardo). Puoi tenerle per te!

IL MARITO.  Giacché non mi credi vado a prenderle subito. (Si avvia.)

 

 


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