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BICE (s'avvicina a Federico, dolcemente). Ebbene, Federico.
FEDERICO (sempre seduto). Ebbene?
BICE (dolcemente). Non hai nulla a dirmi?
FEDERICO (sorridendo con sforzo). Nulla! Solo che le agitazioni di questa giornata mi lasciarono una stanchezza come se avessi percorse cento miglia. Cento miglia! E per di più carico come un somaro o, meglio, come un cammello. (Si sdraia sul sofà e chiude gli occhi.) Dovresti lasciarmi dormire un pochino prima di cena.
BICE (dopo un istante d'esitazione). Tu sei stato dalla signora Arianna?
FEDERICO (vivamente). Te ne prego, non parliamone. Anche essa appartiene alle agitazioni di questa giornata. Non parliamone più. Dimentichiamo tutto quanto è successo fra di noi oggi. Da parte mia, facendo ciò, io metto abbastanza generosità; esigo che da parte tua tu sii generosa altrettanto e si ritorni insieme alla calma di prima.
BICE. Alla calma? A quella calma? Mai! Se tu volessi impormi una cosa simile io me ne andrei con mio fratello. Io non voglio tutta questa simulazione; non so sopportarla. Potevo sopportare, sì, che tu con una sincerità tale che m'appariva quale una manifestazione d'affetto, mi dichiarassi di non amarmi, di non poter amarmi. Non so sopportare che tu abbia da continuare con me la commedia cominciata dinanzi ad Alfredo. Mi respingi, mi respingi sempre più lontano da te.
FEDERICO (rizzandosi vivamente a sedere). E allora voglio dirtelo. Non hai visto quale aspetto avessi quando sono entrato e t'ho chiamata prima di veder Reali? Venivo confidente a raccontarti tutto quanto io avevo pensato dacché t'avevo lasciata. La vista di Reali m'agghiacciò e più ancora quando appresi che tu gli avevi raccontate tutte le mie debolezze, tutti i miei dubbi.
BICE. Ma Alfredo è mio fratello ed anche tuo.
FEDERICO. Ma la coscienza non ammette fratelli. Io voglio stare solo, solo con la mia. Se ho da discuterla con altri allora non capirò mai niente. Io ammetterei di confidarmi a qualcuno. Forse nella viva parola troverei maggior chiarezza ma questo qualcuno dovrebbe essere una parte di me stesso.
BICE. E non lo sono io?
FEDERICO. Sì! tu potresti esserlo!
BICE. Io lo sono! (Con forza.)
FEDERICO (sorridendo). Basta il desiderio per divenirlo. Povera Bice! (Subito commosso.) Ti adatti a tutto. Chissà quando mi sarà dato di compensarti?
BICE (sorridendo esitante e timida.) Basterebbe il desiderio!
FEDERICO. Non basta! Stammi a sentire! Poi capirai tutto. Io sono stato da Arianna e te ne parlerò poi. Importante è soltanto quello ch'io pensai ritornando a te solitario per le vie dopo di quella visita. Per spiegarmi io debbo raccontarti un'avventura della mia vita. Ero ancora adolescente e malcontento di me e di tutti come tanti altri adolescenti. Studiavo, sognavo ma non mi bastava. Mi pareva ora di valer meno di quanto dovessi, ora di esser considerato da meno di quanto valevo. Non bisogna sorridere di quell'infelicità di certi adolescenti; è addirittura un'infelicità fisica. Somiglia quella ch'io provai fino a poco fa. Allora mi fu dato di liberarmi da ogni oppressione e oggi ne ricordai il modo. Con la più semplice delle azioni mi liberai dalla tristezza come altri si leva di dosso un peso incomodo. Mi fu dato di salvare un povero vecchio levandolo di sotto alle zampe di un cavallo dal quale era stato travolto. Ne ebbi una ferita all'avambraccio e vi restò una cicatrice che per fortuna talvolta mi duole. Oh! se sapessi quale gioia provai di aver salvato un uomo! Il povero vecchio stupito dal grave pericolo corso, poi dall'impensata salvezza fu infine anche più attonito dai doni di cui lo colmai. Ma io gli dovevo tanto! Mi parve che da quel giorno fosse cominciata la mia virilità! Fu un'azione quella che persino m'accompagnò e mi diresse nei miei studii.
BICE (commossa). So che tu sei buono!
FEDERICO. Lo sai perché te l'hanno detto, ma quando mi conoscesti buono? Ho tentato io in alcun modo di cancellare il ricordo dell'azione sanguinaria cui fui costretto altrimenti che attendendo quietamente, da buon borghese, ai miei affari? Come se a me, omicida, potesse essere concessa una vita normale! Perciò, perciò provo qualche cosa che tu senz'esitazione chiameresti rimorso. Le furie moderne! È l'aspetto e lo spavento della mia crudeltà che mi sconvolgono. Quando sogno quando medito vedo correr sangue per opera mia. (Con virile risoluzione.) È ora di cancellare quell'azione. Non esiste più.
BICE (con ammirazione). Mi pare di udire Reali.
FEDERICO (vivamente). No! No! (Poi.) Dimmi: Credi ch'io non pecchi di soverchia vanità ritenendo ch'io, Federico Arcetri, sia uomo tale da poter trascinare col mio esempio i miei simili almeno nella piccola, ristretta cerchia della mia città natale?
FEDERICO. Ebbene! Questo esempio deve essere benefico. Sai, Bice. Io sempre ho sentito ch'io vivo oltre che per me, per tutti. Io mi sento una parte dell'organismo mondiale. Ho ucciso Clara e sia! Devo perciò servire d'esempio d'illibato onore; fui persino crudele per salvarlo. Difenderò Cerigni; lo devo difendere e rinnoverò nel suo il mio esempio. (Poi, con entusiasmo.) Ma accanto a tutto ciò io voglio porre dei tesori di bontà, di mitezza. Voglio tentar di lenire ogni dolore in cui mi imbatta; il più miserabile fra gli uomini mi troverà suo amico entusiasta. Io toccherò colpe e dolori con la stessa mano carezzevole. Anche se m'imbatterò in colpe non confessate, io non domanderò la confessione ma tenterò di lenirne il dolore e il rimorso. Perché a questo mondo non c'è altro d'importante che il dolore. Il torto e la ragione spariscono subito dove nel nostro miserabile organismo comincia il dolore.
BICE (con preghiera). Bisognerebbe non difendere Cerigni.
FEDERICO. Oh! mio fiato sprecato! Non appartiene certo alla bontà abbandonare alla sua sorte questo disgraziato Cerigni che, forse, m'ha imitato. Parlandoti come t'ho parlato mi sentivo gonfiare il petto di gioia e d'orgoglio come quando giovinetto speravo tutto per me e per gli altri, e tu mi avvilisci proponendomi una rinunzia a tutto il mio passato!
BICE (abbattutissima). Perdonami!
FEDERICO. E accetto il mio passato intero. Giacché Arianna vive io voglio darle tutte le soddisfazioni, anche quella di torturarmi. Eppure vedi che parlandotene rimango calmo. Povera vecchia! Essa sì, colpita innocente e da me! (Subito commosso.) Come ho potuto darle tanta importanza, poco fa, parlandotene! Come ho potuto considerarla quale il mio cattivo genio. Mai, mai le augurai la morte. Viva e mi torturi! Vuoi la prova ch'io non le auguro la morte? La trovai febbricitante, in delirio. Una vecchia donna che l'assisteva mi raccontò che il medico non l'aveva ancora visitata. Mi misi alla sua ricerca e lo trovai. Come mi fece bene di cercare quel medico; mi quietai correndo! Quando egli, dopo visitatala, mi disse che nutriva poche speranze sentii un dolore profondo. Era proprio il sentimento con cui si sente annunziare la morte della propria madre. Mi analizzai con voluttà! Rinascevo alla vita! Poi non ebbi cuore di lasciarla sola e andai a chiamare Augusto che le posi accanto. Ora sto arrovellandomi per trovare la persona da metterle accanto. Te lo confesso! Sarei andato volentieri ad assisterla io stesso. Ma io non so! Ho già provato! Io non so né sostenere dolcemente né porgere a delle labbra paralizzate a mezzo il refrigerio della medicina. L'aspetto di un delirio mi terrorizza. Oh! se questi ammalati sapessero dire: Voglio questo, voglio quello; allora saprei. Ma così… Voi donne avete invece la facoltà d'indovinare… (Stiracchia le parole.)
BICE (con ribrezzo). Oh! Federico!
FEDERICO (la studia, poi, risoluto). Sia come non detto!
BICE. E se questa donna, uscita dal delirio, trovasse accanto al suo letto me ch'essa sopra tutto odia, non potrebbe averne una scossa da farla morire?
FEDERICO (negando sprezzantemente). Oh! (Poi.) Ma non parliamone più! Tu provi del ribrezzo per quella povera donna, dunque non sarebbe certo te ch'io metterei a lei da canto. (Pausa.)
BICE (meditabonda). Almeno potessi comprendere quello che tu senti.
FEDERICO. Eppure ti dissi a chiare note quello ch'io sento.
BICE. Sì! Ma quando mi dicesti che avendo quella lettera, prova della mia innocenza, ti saresti quietato, parlavi anche a chiare note.
FEDERICO (gridando). Ma io ora non domando più di essere quietato perché io sono quieto e sereno. Quieto e sereno! (Si costringe alla calma.) Io ho la mia via chiaramente delineata dinanzi e non ho dubbi. Io sono sereno! Naturalmente posso spazientirmi al vedermi creare intorno delle difficoltà che veramente non avevo previsto. Dovevi comprendere che la bontà mia ch'io cerco, ch'io voglio doveva cominciare da Arianna. Non vuoi seguirmi? Farò da solo.
BICE (esitante). Io vorrei seguirti.
FEDERICO. L'idea di condurti al letto di Arianna mi fu suggerita da lei stessa. Vedeva Clara, te e me e lei stessa su di un'erta che l'affannava e la faceva piangere. Non pare neppure che una tale immaginazione possa essere stata creata da un delirio. Corrisponde in modo meraviglioso al mio proposito di pace. E la mia pace cominciava là, a quel letto. Col tuo aiuto avrei potuto mitigare gli ultimi anni di vita di quella povera donna. Nell'opera d'amore ci saremmo ritrovati anche noi due. Dove vai? (A Bice che s'avvia per uscire.)
BICE. A vestirmi per uscire con te.
FEDERICO (con entusiasmo). Aspetta! Aspetta prima! L'opera di riparazione comincia qui; lascia ch'io ne gusti ogni fase. (Prendendole la mano che bacia più volte.) Grazie! Grazie! Grazie!
BICE. È inutile, Federico! Io resto l'ultima nel tuo pensiero.
FEDERICO. Oh! non rimproveri, ora! Non sei l'ultima, tu, in nessun luogo, se sai essere tanto buona.