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Scena quinta. Alberto e Maria.
ALBERTO. Scusi, signorina Maria, una sola parola! Non è Maria ch'ella si chiama? Dolce nome! L'avessi conosciuta ieri!
MARIA (ridendo). L'altr'ieri, cioè…
ALBERTO. L'altr'ieri o ieri fa lo stesso. Non è una bugia, è una distrazione. Avevo raccontato a mia moglie di aver lasciata Firenze l'altr'ieri. Mi dispiace di lasciarmi smentire.
MARIA. Rammento che mi aveva detto ch'era stata sua intenzione di lasciare Firenze l'altr'ieri. A sua moglie raccontò quindi la intenzione.
ALBERTO. Sì. La prima intenzione, perché la seconda, debbo confessarlo, era di rimanere a Firenze finché c'era lei, e poi di seguirla per otto o dieci giorni o magari per un mese.
ALBERTO. A mia moglie avrei scritto che gli affari mi trattenevano.
MARIA. Piuttosto che ritrovarla così, volentieri avrei rinunziato a vederla.
ALBERTO. Perché? Chi le dice ch'io sia un cattivo marito? Ne chieda a Giulia e le dirà che migliore non potrei essere. Il modello dei mariti.
MARIA. Dunque tanto peggio. Tradita ed ingannata.
ALBERTO. No. Né tradita né ingannata. Adesso io la conosco; so chi è: una grande artista e al tempo stesso una fanciulla onorata. Ma prima…
MARIA (seria). Prima aveva potuto credere ch'io non fossi una fanciulla onorata?
ALBERTO. Mi scusi e non si adiri. Mi lasci parlare francamente, perché altrimenti non potremo intenderci.
MARIA. Non capisco quale bisogno ci sia d'intenderci…
ALBERTO. Vedrà. Grandissimo bisogno. O meglio sono io quello che sente tale bisogno. Via! Non sarà tanto buona da rendermi un lieve servigio, qual è quello di starmi ad ascoltare? Glielo chiedo quale marito di Giulia.
MARIA. Non è il titolo ch'ella potrebbe invocare, ma parli, mi rassegno.
ALBERTO. Non ha bisogno di rassegnarsi a nulla, perché mi farebbe un torto credendo ch'io avessi l'intenzione di offenderla. Sull'anima mia! Respingerei con indignazione un'idea che potesse essere meno rispettosa per lei. Non la penserei neppure. Si sente sicura? Posso parlare senz'altra preoccupazione che di esprimermi sinceramente e chiaramente? (Maria annuisce.) Ecco. Io non ho altro scopo che di provarle che la sua amica Giulia è più felice di quanto ella sembra di credere. Per darle tale prova basterà dirle che anche quando corro dietro ad altre donne, in quel medesimo istante, quando sono intento a raggiungere il mio scopo e mi trovo in quello stato di esaltazione in cui ella, per mia disgrazia, mi vide, anche allora amo mia moglie appassionatamente e le darei in quel medesimo istante il bacio affettuoso di ogni sera.
ALBERTO. Perché, vede, le altre donne, quelle cui corro dietro io, non sono le stesse donne. Che cosa può importare a Giulia di quei fuochi di paglia accesi da altre, di quei desideri che non somigliano per nulla affatto all'affetto che porto a lei?
MARIA. Ma che razza di gente credeva lei dunque di trovare in me e in mio zio?
ALBERTO. Non feci alcuna supposizione sul suo stato. Poteva essere quello di una donna ricca o di una grande artista; poteva essere la moglie di un banchiere o di un nobile; per me era indifferente. Le donne sono donne e l'esito della mia avventura non dipendeva da queste circostanze. Quello che a bella prima pensai e che mi diede la massima speranza fu ch'ella fosse la moglie di suo zio. (Maria ride.) Io vedeva in lei una di quelle brave mogli borghesi dal marito troppo vecchio e le quali per prudenza non lo tradiscono che quando sono in viaggio. E… in viaggio eravamo.
MARIA. Ma come l'è venuta l'idea ch'io fossi la moglie di mio zio?
ALBERTO. Mi auguravo che così fosse ed io vedo spesso le cose come desidero che sieno. Quando appresi d'essermi ingannato mi avvolsi nella mia pelliccia e mi affrettai a rimpatriare.
MARIA. Immediatamente. Aveva il timore di contrarre degli impegni troppo duri?
ALBERTO. No, ma temevo di perdere il mio tempo inutilmente, ciò che anche in istato di esaltazione, se posso, evito.
MARIA (non molto lusingata). Ah, così. Assolutamente, allora, il suo proposito correndomi dietro era di passare meno peggio qualche giorno e niente più?
ALBERTO. No, no. S'ella mi avesse trattato bene, molto bene, i miei affari si sarebbero tirati molto, ma molto in lungo. Mi si dice che la sua ambizione sia di venir considerata e trattata come un uomo. Sono certo che in questo riguardo non avrà da lagnarsi di me.
MARIA. E non me ne lagno, nemmeno. Di qualche altra cosa però vorrei lagnarmi. Ecco, non mi è dispiaciuto di sentirla parlare; ella parla bene di queste cose, e sono curiosa di sentirla parlare d'altro, di quello di cui parla a Giulia. Anzi, ne ho ritratto anche un altro piacere, cioè, la certezza di non venir mai più disturbata da lei e di sentirmi più sicura in casa sua.
ALBERTO. Certo certo. La mia simpatia è delle più rispettose.
MARIA. Ma quello che assolutamente non so indovinare si è la ragione che la indusse a raccontarmi tutte queste belle cose che non avevo chiesto di conoscere.
ALBERTO. Non l'ha ancora capita? Mi meraviglio. Le ho detto, è vero, che prima di tutto mi premeva di provarle che la sua amica Giulia è una donna felice. Mi pare che su questo punto siamo d'accordo. Ora devo prevenirla che questa felicità scomparirebbe, se Giulia sapesse che oltre ad amarla moltissimo… io l'amo nel modo che le spiegai.
MARIA (ridendo, ma con voce un po' stonata). Ma basta così, allora. Questo dunque era il nocciolo del frate grigio? Si tratta di non far capire a Giulia che nella noia del viaggio lei si è compiaciuta di guardare la sua umilissima serva; ma crede poi ch'io abbia avuto l'intenzione di vantarmene?
ALBERTO. No. Temevo soltanto che a tutta la faccenda ella avesse potuto dare tanto poca importanza da parlarne in un istante di buon umore come di un fatto che non concernesse né lei né Giulia. Ora, se, come purtroppo è vero, per lei io, le mie parole, le mie azioni sono così indifferenti, per Giulia la cosa è ben diversa. La mia casa è delle più borghesi. Tutto vi è basato sulla cieca fede che portiamo l'una all'altro. La felicità di Giulia è formata dalla sua fede in me. Mi porta un affetto quasi esclusivo; cioè, fra me e Piero, diviso. Vuole un po' di bene anche a Giorgio, il fratello professore che ha conosciuto or ora, quel pedante,… il resto del mondo per Giulia non esiste. Ella è perciò tanto irragionevole da sembrarle naturale ch'io l'ami come essa ama me, cioè esclusivamente. Il primo dubbio potrebbe distruggere questo castello in aria e la mia e la sua felicità. È perciò che formalmente la prego di essere cauta. Avrei potuto, come lei stessa ebbe ad osservare, risparmiarmi la fatica di farle questa preghiera e affidarmi alla sua naturale discrezione, ma la cosa era troppo importante per lasciarla in balìa del caso. Glielo assicuro. Basterebbe una sola parola detta scherzosamente per destare la diffidenza in Giulia, e capirà che se giungesse al punto di diffidare poco le costerebbe di procurarsi la certezza del mio tradimento.
MARIA. Diamine! Con le sue massime si esporrà continuamente a dei pericoli.
ALBERTO. Mi creda, meno spesso di quanto sembri! (Con qualche calore.) Oh me lo creda! Non basta mica ogni gonnella per farmi pericolare…
MARIA (ridendo). Adesso ch'è sicuro della mia discrezione, pare che voglia ricominciare.
ALBERTO. Oh, no. Voglio essere un buon ospite e rispettoso; renderà felice Giulia che crederà che le mie gentilezze siano usate a lei per riguardo suo.