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L’AVVENTURA DI MARIA (Commedia in tre atti). ATTO SECONDO. Scena settima. Giulia, Piero, Amelia che porta il telaio; poi Giorgio. |
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Scena settima. Giulia, Piero, Amelia che porta il telaio; poi Giorgio.
GIULIA (con l'aiuto di Amelia dispone il telaio, e senza guardarla parla a Maria). Senti, Maria, perdonami, se mentre suoni, sto ad ascoltare la lezione di Piero. La leggerà molto a bassa voce. Deve studiarla e se non gli concedi il piacere di leggerla, non si decide mai più a guardarla.
MARIA. Fa il comodo tuo. Si va di bene in meglio. Adesso ti senti già capace di badare a tre cose… Incominci, maestro!
GIORGIO. Si può star ad ascoltare della buona musica?
MAINERI (mormora). Altro che buona!
GIORGIO. Non ne dubito! Non ho chiesto se sarà buona… soltanto se potrò ascoltarla…
GIULIA. Non disturbare, però. Siedi qui quieto accanto a me.
MARIA. Le sieda molto vicino, perché tiene lezione; e ciò, lo confessò lei stessa, le si confà meglio della mia musica. (Al ragazzo.) Su, Piero, incomincia!
PIERO. Sì, se starete un poco zitti!
GIORGIO. Come va, Piero? Sei stato contento del regalo del babbo?
PIERO. Ha fatto un viaggio tanto lungo che avrebbe potuto portare qualche cosa di meglio.
GIORGIO. Il ragionamento è buono. Va da sé che il dono deve stare in proporzione alla durata del viaggio. Io mi siederò là dall'altra parte, così che, contrariamente a quanto voleva la signorina, starò a sentire unicamente la musica. (Va a sedere a destra dello spettatore.)
MAINERI (con un po' d'impazienza). Posso finalmente incominciare questo preludio?
GIORGIO. Ah, c'è un preludio! Che cosa suonate?
MAINERI. Il concerto di Beethoven.
GIORGIO. Lo conosco. Il preludio è un po' lungo. (Ritorna accanto a Piero.) Lo starò ad ascoltare da qui. (Maineri comincia a suonare il preludio.)
PIERO. Come posso parlare con questo fracasso?
GIORGIO. Pròvati! Saremo indulgenti.
PIERO (legge una pagina a parte. Giorgio gli corregge spesso l'intonazione.) Ah, va da sé che con lo strepito che fa quel signore non posso declamare bene!…
MARIA (cerca di stare attenta al piano, ma non le riesce. Si avvicina lentamente al gruppo di sinistra e dice a Giulia che lavora) Quale divertimento c'è nel disporre tanto filo sulla tela?
GIULIA. Mentre la mano lavora, il pensiero corre ad altre cose.
MARIA. Ed a quali, s'è lecito?
GIULIA. Tante e bellissime. Col suo movimento uniforme la mano accompagna, accarezza, quasi, un pensiero calmo e lieto. Quando alzo gli occhi, vedo accanto a me questa testa bruna (sorride accennando al figliuolo) e l'unico sforzo che devo fare si è di non alzarli troppo di spesso.
MARIA. E desideri, e aspetti così, senz'ansia, con la solita calma?
GIULIA. Non desidero, né aspetto. O meglio desidero che tutto ciò continui così e che ogni giorno mi sia dato di fare quello che faccio oggi e quello che feci ieri.
MARIA. Cioè disporre dell'altro filo sulla tela.
GIULIA (già offesa). Non è il mio solo lavoro.
MARIA. E quali sono gli altri?
GIULIA. A te non lo dico. Non mi comprenderesti.
MARIA. Io credo di poter comprendere tutto.
GIULIA. No. Certe cose non si capiscono, se non si vivono. Non si tratta mica di ragionare, di calcolare; si tratta di sentire.
MARIA. Insomma, spiegati, e procurerò di capire. Sii buona, Giulia! Ti accerto che non ho la minima intenzione di deriderti.
GIULIA. Ma non è per questo timore che non voglio parlare. È che non saprei spiegarmi. Non sono mica da tanto da farti vivere la mia vita!
MAINERI (dopo aver atteso per un istante). Tocca a lei, signorina.
MARIA. Ah, sì; Beethoven. No, maestro, non posso, adesso. Sia tanto buono, mi faccia il favore di ritornare alle quattro (Con calore.)
MAINERI (mormora). Ha ragione.
GIULIA. Ma se disturbiamo possiamo andarcene.
MARIA No, adesso non posso suonare più. Ho perduto il momento. Sarebbe per me un supplizio di suonare tutta quella roba.
MAINERI (rassegnato). Come desidera. Sa bene che per me sarebbe stata una vera festa «quella roba» come dice lei, sul suo violino. Vuol dire che sarà per dopopranzo. Arrivederci. (Via.)
MARIA (ripone il violino e gli parla). E dormi bene, povero violino! (A Giulia.) Dunque, ritornando a noi… La tua felicità è tale che non la puoi neppur descrivere?
GIULIA. Questa è di nuovo ironia e su questo tono non possiamo intenderci. Perché, ti dispiace ch'io abbia detto di essere felice?
MARIA. Che mi sia dispiaciuto di sentirti dire felice? Oh, no. Ma non comprendo e mi sorprende. Ti dirò anche il perché, visto che a me è sempre facile di spiegare quello che penso e quello che sento. In questo luogo voialtri non potete crederlo, perché qui ho avuto un insuccesso, ma già alla mia età ho conosciuto delle gioje, dei piaceri, lo confesso, che neppure tu sai ch'esistano. Ho visto una capitale per giorni e giorni non occuparsi che di me, offrirmi tutte le soddisfazioni piccole e grandi che la vanità e l'ambizione umana possano chiedere. L'interesse era tale che, figurati! mi dissero persino bellissima, e più ancora amabile e cortese, ciò che non sono. Dei principi pregarmi di onorare i loro salotti, persone fra le più rispettabili ed eminenti d'Italia ambire la mia amicizia, la mia stima, cosa che mi faceva ridere, quando si calmava l'ambizione che in me ha tutto l'aspetto della febbre. Sorpresi degli sguardi d'invidia nelle persone più fortunate, quando facevo vibrare con me, col mio violino migliaia di cuori. E tuttavia mai… mai, capisci? ho potuto dire quella tua frase: «Sono felice e voglio restare sempre così!». Ho detto e pensato: «Passi presto questa giornata e ne venga un'altra più lieta e meno noiosa!».
MARIA. Strano, dice? Ma no. Questa è la vita, o almeno questa è la vita come la sentono le persone intelligenti. Ho goduto, sì, quando la musica passava nel mio cervello e dal cervello alle dita, senza resistenza. Allora l'orgoglio soddisfatto mi fa godere. Disprezzo gli altri miei simili che non sentono con me e godo. Però è una gioia che dura poco. Non so figurarmi uno stato di felicità per me. E per gli altri? Oh, francamente! Credo che mentano tutti coloro che dicono di essere felici.
GIORGIO (parla da professore e Maria lo sta ad ascoltare con disprezzo). Oh, senta! Ho conosciuto un tale il quale diceva che gli alberi dovevano essere fatti di legno soltanto e senza foglie. D'estate andò in un bosco, ove, disse, non v'era alcun albero. Aveva ragione. Chissà cosa intende lei con la parola felicità. Se la vita che ci descrisse, non è felicità, allora la felicità non esiste.
GIULIA. No, non è questo. Sai, Maria cosa manca a te per essere felice? La famiglia. Noi donne siamo delle creature che non bastano a sé stesse, che non possono vivere a parte, solitarie e nomadi. A noi occorrono le nostre quattro mura e qualcuno cui sacrificarci. Il nostro mondo dev'essere piccolo, ma tale che sia tutto nostro. Piccolo, sì, in realtà, ma pur anche grande, poiché in esso dobbiamo trovare tutto quello che tu cercasti invano in quella vasta capitale che per alcuni giorni ti sembrò tutta tua. Il tuo violino? È un istrumento bellissimo, e farà passare qualche ora piacevole alla persona cui vorrai bene.
MARIA. Lo spezzerei in tal caso.
GIULIA. Non volli mica disprezzare la tua arte destinandola all'ufficio di rendere più gradevole il soggiorno nella casa! Oh, perché non appresi anch'io un'arte acciocché mio marito, i miei figliuoli vi si possano beare!
MARIA. Un'arte non vive che a scopi maggiori.
GIULIA. È lo scopo massimo. Sai perché ti parlo con tanto coraggio? Ti vedo spesso da che sei qui, pensierosa, distratta; or ora confessasti di non essere felice. Qualche cosa a te manca, dunque, ed anelo ad aiutarti. Di poco, ma credo di essere più giovane di te, eppure mi pare di sentirmi molto, ma molto più vecchia. Io infatti so o credo di sapere. Non sento più il bisogno di affannarmi a cercare. Ho la tranquillità della persona che sa tutto quello che ha da succedere, proprio da persona vecchia che nulla più chiede. Tu sei una giovinetta, invece. Cerchi ancora, perché hai battuto una via che non fa per te.
GIORGIO. Ma, via, Giulia, vorresti ch'ella abbandonasse il suo violino, la sua arte per diventare una buona massaia! La signorina Maria parla così in un momento di malumore. Forse anche si sente meno felice del solito, perché in questa città le sono mancate le solite soddisfazioni.
MARIA (con ironia evidente). Bravo, professore! Io e lei c'intendiamo perfettamente!