Italo Svevo: Raccolta di opere
Italo Svevo
Commedie

L’AVVENTURA DI MARIA (Commedia in tre atti).

ATTO TERZO.

Scena ottava. Giorgio e detti.

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Scena ottava. Giorgio e detti.

 

TARELLI.  Io credeva anzitutto che lei amasse suo marito, e mi sono ingannato; poi credeva che lei amasse suo figlio e mi sono ingannato ancora. Potrei sbagliare nel giudicarla in tal guisa, ma allora dovrei ricredermi su di un altro punto. Io la riteneva intelligente, mentre ora mi avvedo che in una fase tanto importante della sua vita lei agisce precisamente da persona che… non capisce niente.

GIULIA.  La prego di credere ch'io ho amato mio marito ed amo mio figlio. Ne parli a mio marito ed egli le potrà levare ogni dubbio in proposito. Mi creda piuttosto poco intelligente, lo preferisco, piuttosto che credermi poco amante. Ma come, dica, avrei potuto agire diversamente? Che cosa potevo io in questa… disgraziata faccenda? Non ho colpa alcuna, perché non ho fatto alcun male. Ho assistito all'avvicendarsi di fatti imprevedibili ed ho creduto meglio di non dover intervenire.

GIORGIO.  Così la consigliai io stesso, e non mi parve di averla consigliata male.

TARELLI.  Oh, professore, lei qui? Ho tanto piacere di vederla, ma le sarei molto grato, se in questo colloquio lei non mettesse la sua parola. E non si mettesse in lotta con me. Io già conosco la sua opinione, la signora, pure, tant'è vero che tutte le assurdità commesse dalla signora Giulia, le furono suggerite da lei. Dunque lasci ora ch'io esponga le mie idee. La signora poi sceglierà fra i miei ed i suoi consigli.

GIORGIO.  Non riconosco di aver suggerito delle assurdità.

TARELLI.  Ma non è di ciò che dobbiamo discutere. Non perdiamo tempo. Io le chiedo soltanto di lasciarmi parlare. Vuol lasciarmi parlare?

GIORGIO.  Parli pure.

TARELLI.  Anzi, a dire il vero, io mi sentirei meglio, se volesse lasciarci soli, perché a quattr'occhi ci si intende più facilmente. No? Rimanga, dunque. Ma, non più una parola da parte sua! (A Giulia.) Signora! Lei è responsabile di tutte le cose qui accadute che lei vuol far credere di deplorare. Questo è ciò che voleva dirle.

GIORGIO.  Ma lei dice una sciocchezza! La colpa ricade su tutt'altre spalle!

TARELLI.  Lei mi ha promesso di tacere

GIULIA.  Mi può spiegare in qual modo io mi sia caricata di una sì grave ?

TARELLI.  Lo ignora?

GIULIA.  Sì, lo ignoro. E la scongiuro di spiegarmelo. Mia la colpa? (Agitatissima.) Se colpa è quella di essere stata troppo ingenua e fidente, allora sono stata, sì, veramente colpevole. Altra colpa in me non vedo

TARELLI.  Eppure, ne sono certo, l'unica responsabile è lei.

GIULIA.  Ebbene si spieghi, dunque! Se lei saprà provare che in me ci sia anche una piccola colpa, andrò magari ad abbracciare Maria prima che parta, e mi congederò da Alberto chiedendogli scusa del male che gli ho fatto.

TARELLI.  Non questo le chiedo. Chi ha fatto il male, ripari. Non è stata lei a scacciare suo marito, perché un imbecille qualunque è corso a riferirle che Maria si era lasciata baciare… una mano da lui?

GIORGIO.  Una mano? La faccia… In bocca!…

TARELLI.  Lei ha promesso di stare zitto!

GIULIA.  Io non l'ho scacciato. Gli ho detto soltanto che i nostri rapporti avrebbero cambiato natura. Ci saremmo trattati come fratello e sorella. Potevo agire altrimenti?

TARELLI.  E lei credeva di aver così rimediato a tutto e di aver vincolato a lei per sempre quel povero diavolo che avrebbe dovuto starle accanto in eterna ammirazione della sua dignità?

GIORGIO.  Non era compito di mia sorella di rimediare al male che avevano fatto gli altri. Il suo compito si limitava a levarsi al più presto da una posizione equivoca e penosa, punire in quanto stava nelle sue forze, chi aveva mancato ai suoi doveri; infine contenersi proprio come lei non vorrebbe: dignitosamente.

TARELLI.  Ed ora seguendo i suoi consigli la signora si trova coll'aver salvato la dignità e nient'altro. Crede che le basti?

GIORGIO.  A mia sorella deve bastare.

TARELLI.  Ah, sì; deve bastarle, naturalmente, le basterà. Ma dica, signora. Non vede lei la diretta relazione che c'è fra le due determinazioni, quella, cioè, presa da lei verso suo marito, e quella presa da suo marito verso di lei?

GIULIA.  No, non la vedo. Se mi avesse amata, se avesse amato mio figlio, avrebbe tentato di far dimenticare i suoi trascorsi e di riconquistare il mio affetto.

TARELLI.  Ciò sarebbe stato dignitoso. Ma pare che a suo marito la dignità importi meno. Signora, io non posso convincerla, Lei ha la testa piena di parole altrui. Dignitàamor proprio… e che so io. E le offuscano il buon senso, questo l'ho capito subito. Se però suo marito al solo vederla si pentisse, cadesse ai suoi piedi, sarebbe pronta a perdonargli, definitivamente, stendendo un velo sul passato?

GIULIA.  Mi sarebbe difficile, ma perdonerei.

TARELLI.  Bene, professore, è d'accordo che, prima di dividersi, marito e moglie si rivedano ancora una volta?

GIORGIO.  Ha parlato forse con mio cognato per sapere con tanta sicurezza che al solo vederla egli cadrà ai suoi piedi?

TARELLI.  No. Non ho parlato con lui, ma credo di conoscerlo meglio di voi tutti. Ho insomma la convinzione che se gli fosse dato di parlare un'ultima volta con la signora, riconoscerebbe tutti i suoi torti e… mia nipote potrebbe partire in pace. Unica difficoltà che mi si presenta nel condurre a termine questa faccenda si è di far giungere marito e moglie a questo colloquio senza che da nessuna parte venga meno… la dignità. Vede, professore, che alla dignità ci penso anch'io.

GIORGIO.  Non sta dalla parte di Alberto la difficoltà, poiché egli aveva chiesto di salutare sua moglie prima di partire, e Giulia vi si era rifiutata, temendo di non saper contenersi a dovere. Il difficile è di convincere Giulia

TARELLI.  Me ne incarico io. Lei vada a chiamare suo cognato. Sa dove si trova?

GIORGIO.  Sì. Che te ne pare, Giulia?

GIULIA.  Che venga. Non sarò certo io che mi opporrò ad un tentativo che possa conservare il padre al mio figliuolo.

GIORGIO.  Sta bene. Vado a chiamarlo. Già al vostro colloquio sarò presente anch'io.

TARELLI.  D'accordo. Li sorveglierà acciocché la dignità non soffra. (Giorgio via.)

GIULIA.  La ringrazio di avermi fatto comprendere che il mio dovere è di sacrificarmi.

TARELLI.  Sacrificarsi? Io voglio che lei sia felice!

GIULIA.  Checché avvenga la mia felicità è distrutta per sempre… da sua nipote.

TARELLI.  Da mia nipote? Pel momento non ho nessuna intenzione di difenderla, e capisco che mi sarebbe difficile. Però lei s'inganna, signora. Non so, se faccia bene o male ad aprirle gli occhi, ma conosco il cuore umano, per cui sono certo che il suo risentimento verso suo marito diminuirà, quando saprà che non è di Maria… o meglio che non è solo di Maria che ha da temere.

GIULIA.  Cosa dice?

TARELLI.  Devo proprio io farle sapere che suo marito non le è stato fedele mai nel senso con cui lei intende la fedeltà. Delle Marie, da quando Alberto è sposato, egli se l'è viste passare parecchie nella sua vita. Tutta roba che gli serviva di svago, senza ch'egli vi desse mai troppa importanza. Egli nemmeno credeva di mancare ai suoi doveri matrimoniali correndo dietro a qualunque gonnella che incontrasse nei suoi viaggi di affari. Lo confidò egli stesso a Maria subito dopo il nostro arrivo qui. Disgrazia volle che la gonnella incontrata in questo suo ultimo viaggio gli capitasse dritta dritta in casa.

GIULIA.  E crede lei che questo diminuirà il mio risentimento verso mio marito?

TARELLI.  Lei, signora, non ebbe mai alcun sospetto?

GIULIA.  Nessuno, in verità. Ho sempre creduto ch'egli mi amasse quanto io l'amavo.

TARELLI.  Né s'ingannava, sicuramente. Però mi figuravo che la pace fosse stabilita nella loro famiglia in tutto altro modo. Pensavo ch'ella fosse edotta di tutte le teorie di suo marito e che chiudesse uno, anzi tutti due gli occhi. (Gesto di protesta di Giulia.) «Beato lui e beata lei» pensavo. Così dunque è fatta la maglia, che a chi non la conosce fa tanta paura. La legge che la regola è rigida, ma i caratteri che la compongono hanno una dolcezza che può toglierle qualsiasi durezza. Così, e soltanto così si può naturalmente vivere l'uno accanto all'altro, amichevolmente e anche affettuosamente. Lei, signora, mi appariva quale l'immagine della purezza della famiglia, non solo, ma pure quale un'eroina nella dura lotta della vita. Conoscendo il cuore umano, comprendevo che non tutto il suo compito fosse facile e piacevole. A lei bastava, così mi sembrava, che il sacro suolo su cui ella moveva nella sua nobile attività restasse puro, incontaminato. Perciò, io pensava, Ella non agiva contro le tendenze del signor Alberto. Le bastava di sorvegliare ch'esse non si esplicassero in questo recinto… Tutto era bello qui, infatti… tranne, secondo me… la cameriera.

GIULIA.  È un caso (con disprezzo) creda. Se crede ch'io mi degni di considerare quale mia rivale una cameriera, s'inganna.

TARELLI.  Sì, lo so ora. Mi sono ingannato. Ma rivale? Chi dice rivale? Né secondo me né secondo suo marito lei non aveva rivali. Le altre donne erano altre donne, non rivali. Naturalmente, lei mi ha fatto ricredere, facendo procedere troppo oltre un'avventura, che si sarebbe risolta in limiti modesti. Il fatto che suo marito nelle gioie di novelli amori non saprebbe rimpiangere la famiglia perduta, pare la consoli, la tranquillizzi, e suo fratello, poi, sembra più che soddisfatto di avere la sorella vedova prima della morte del cognato.

 

 


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