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Scena diciassettesima. Guido e detti.
GUIDO. Anche questa è passata. (A Rita.) La zia Le fa dire ch'io resto a colazione. Prepari un posto di più. (Rita esce dopo fatto un inchino.)
FORTUNATO. Per me non ci sono ordini? (Corretto.)
GUIDO. Che io mi sappia, no. Se vuole averne ne domandi là dentro.
FORTUNATO (imbarazzato sta per avviarsi verso l'uscita di sinistra, poi si pente). Già, se avranno bisogno di me mi chiameranno. Io ho da fare in giardino. (Esce.)
RITA (rientra con una tovaglia che stende sulla tavola).
GUIDO. È contenta anche Lei, Rita?
RITA (stendendo la tovaglia). Sono tanto contenta che mi duole di non poter attendere alla mia gioia e dover stendere questa tovaglia.
GUIDO. Vuole che l'aiuti? In due il lavoro parrà a Lei meno grave e a me lietissimo.
RITA. In due e con lei la distrazione è ancora più forte. (Esitante.) Ecco che sono lontana dalla mia gioia. È come se Umbertino non fosse stato mai morto né ora fosse risuscitato. (Guido tuttavia l'aiuta a stendere la tovaglia.) Grazie. (Vuole uscire.)
GUIDO. Aspetti un momento, Rita. È tanto raro che si possa scambiare una parola con Lei.
RITA (ridendo). E andrà sempre di peggio in peggio. Quando sarò sposata non potrò né parlare con Lei né ascoltarla.
GUIDO. Che peccato! Proprio… dopo sposata?
RITA (ridendo). Come è sincero!
GUIDO. Se non ho detto niente, io. È geloso, Fortunato.
RITA. Altro che. Ma a me piace quand'è geloso. Diventa più mobile, più vivo. Proprio il marito che può fare per me. Guardi! Guardi!