Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Cronache letterarie
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E. ROD - E. LESCA

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E. ROD - E. LESCA36

 

Un libro di critica è spesso, oggi, un'opera d'arte.

L'autore non lo ha composto tranquillamente, di proposito, capitolo per capitolo, col pensiero fisso a un'idea cardinale e intento a farne risaltare la dimostrazione in pro o contro uno scrittore, una moda, un genere letterario. Gli articoli che formano il volume sono usciti fuori alla spicciolata, in occasioni diverse, con intervalli di anni qualche volta, ma sotto la vivissima impressione di una lettura, di una discussione: e ne portano l'impronta nel contenuto e nella forma.

L'autore ha avuto il buon senso di riprodurli in un volume quali comparvero nelle colonne di un giornale o nelle pagine di una rivista. Lo svolgimento di qualche soggetto sarà insufficiente; e fra un articolo e l'altro ora si potrà scorgere qualche contraddizione che indica come il pensiero dello scrittore abbia fatto cammino, e si sia maturato nello spazio di tempo corso fra i due scritti: tanto meglio. Il volume acquisterà, anche per queste insufficienze e contraddizioni, un'aria di vita e di cosa d'arte, che le facili correzioni e le aggiunte gli avrebbero tolto.

In Italia i volumi di critica letteraria sono assai rari, per ragioni commerciali dipendenti da quelle della nostra cultura generale. Bellissimi e interessantissimi articoli, che non hanno niente o assai poco da invidiare agli scritti delle migliori rassegne estere, rimangono sepolti nei fascicoli della Nuova Antologia e delle altre poche consimili riviste o nelle colonne di qualche giornale quotidiano. I loro autori sono convinti che troverebbero difficilmente un editore; e gli editori sanno per prova che questo genere di volumi non va. Parecchi scrittori poi non mettono insieme, in uno o due anni, tanto materiale da formare un volume. La critica letteraria non è una funzione, o meglio una carriera tra noi: è una esercitazione casuale, capriccio di un momento, spesso atto di compiacenza verso un autore, concessione all'entusiasmo passeggero per un poeta o romanziere in voga, per un principio d'arte che la moda mette in evidenza e che interessa realmente con la sua elevatezza e con gli eccessi.

Non occorrono tutte le dita di una mano per segnare i nomi di coloro che seguono, da critici competenti, il nostro movimento letterario e ne notano, di tratto in tratto, i prodotti di qualunque natura e di qualunque valore essi siano. E questi medesimi non sentono mai il bisogno di rivolgersi addietro, di riprendere in esame la molteplice produzione di uno scrittore, e riguardarla da un nuovo punto di vista, e cavarne i segni caratteristici, o sviscerarne il concetto morale che si nasconde sotto ogni opera d'arte.

Infatti, a quale scopo? La gente che legge appena l'opera d'arte o va a sentirla a teatro, non leggerebbe quel che vorrebbe dirgli il critico. L'interessamento di essa non passa oltre la buccia di un certo pettegolezzo. Una discussione o un esame fatti con serietà la seccherebbero.

E così avviene anche che il critico italiano, specialmente quello d'occasione, non ha sempre ben sciolta la mano, non sa assumere quella spigliata aria discorsiva che rende ordinariamente gli articoli originali delle riviste e dei giornali esteri una specie di vivace conversazione tra scrittore e lettore, dove il lettore ha il piacere di star ad ascoltare e l'altro tutto l'interesse di rendersi parlatore gradito.

Facevo queste riflessioni leggendo interpolatamente i due volumi annunciati, uno francese e l'altro italiano; e mentre non mi sembrava ambizioso il titolo del volume del Rod, avrei desiderato meno dimesso quello del volume del giovane professore Lesca, quantunque corrisponda benissimo alla natura degli scritti in esso raccolti, anzi appunto per questo.

Gli studi del Rod sono quasi tutti riassuntivi. Non già che pretendano di dire l'ultima parola intorno alla produzione, o al carattere di essa, di autori che si chiamano A. Daudet, A. France, V. Hugo, E. Hennequin, A. Fogazzaro. Per alcuni di questi, l'ultima parola oramai spetta alla posterità; per altri non sarebbe possibile dirla, trovandosi oggi nel vigore degli anni e nella piena maturità della creazione.

Ma il loro autore, vi adopera tale sagacia, tale serenità da far stimare che ben poco l'avvenire correggerà o cancellerà di parecchi suoi giudizi, almeno nei punti più rilevanti. Per altri punti, dove l'affetto esagera un po' l'ammirazione, come nello scritto intorno al Daudet; dove la imparzialità coscienziosa del critico, la suggestione artistica o intellettuale sentite leggendo, gli impediscono di prendere un più risoluto atteggiamento, come a proposito di A. France; dove il sentimento di amicizia e la compassione davanti alla tomba di un giovine d'ingegno, morto a ventinove anni, gli ingrandiscono le proporzioni del valore critico del povero E. Hennequin, annegato, per congestione cerebrale, prendendo un bagno nella Senna; infine, dove, ragionando del Fogazzaro romanziere e poeta, rimane più sur un terreno di cortesia che di osservazione a fondo e di precisione di fatti; per quest'altri punti, dico, le correzioni, le attenuazioni le va facendo lo stesso lettore via via che procede di pagina in pagina senza arrestarsi o stancarsi.

E infatti il minor merito di tal genere di scritti non è certamente la muta, interiore discussione provocata durante la lettura; specialmente quando uno scrittore come il Rod, alle funzioni di critico d'arte, mescola con abilità quelle di moralista elevato.

Il volume del prof. Lesca, ripeto, risponde benissimo al titolo: Leggendo e annotando. Certamente egli legge con molta attenzione, annota con fine intelligenza, con garbo e qualche volta con vivace arguzia: vedi lo scritto: Un preteso dialogo di Torquato Tasso.

Ma, sia un po' colpa dei soggetti, sia un po' qualche residuo non potuto ancor vincere delle funzioni scolastiche dell'autore, mi sembra che manchi appunto in questi scritti quella facile ma non superficiale scorrevolezza, quell'agile eleganza di presentazione del soggetto, senza perdersi in cose minute, ponendo subito in vista l'essenziale; insomma quel che, ddu tali nun-so-cchi (a lui che è stato in Sicilia e ne parla anche in questo volume a proposito del Bazin, si può dirlo col Meli) quel che per cui l'articolo di critica assume senso e forma di opera d'arte.

E non c'è nello stile del Lesca niente di ammanierato, di grave, di pedantesco; soltanto il concetto non prende le ali, non tenta di diventare qualcosa di organico, o di meno scucito che il semplice annotare. Io avrei voluto vedere smentita la modestia del titolo del suo volume; cosa che all'autore non sarebbe stata difficile volendo, perchè ne un esempio nello scritto: Foscolo Manzoni Leopardi, a proposito del libro dallo stesso titolo, di Arturo Graf; e avrebbe potuto darne un altro esempio, parlando della Sicile del Bazin; tanto più che egli aveva ricordi personali da contrapporre o aggiungere alle impressioni dello scrittore francese.

E a proposito di queste annotazioni, da uno che è vissuto qualche anno in Sicilia, non mi attendevo generalizzazioni molto simili a quelle da lui rimproverate al Bazin, o meraviglie e stupori davanti a spettacoli di miseria o di poca nettezza, quasi essi fossero una specialità della Sicilia e non se ne vedesse neppur l'ombra altrove, nel continente italiano e fuori!

Egli descrive con gran compiacenza di particolari un misero albergo di Giarre e la difficoltà di procurarsi un po' di carne e delle uova... Ma forse questo avviene soltanto a Giarre, paesetto dove la ferrovia ha ormai reso superflui gli alberghi che vi erano prima, quando esso era punto di fermata del viaggio in diligenza o in carrozza fra Catania e Messina?

Un giorno, anni fa, il Verga ed io pensammo di fare una bella passeggiata e andare da Milano a Sesto. Ma non era domenica, e nei due o tre ristoranti, che la domenica rigurgitavano di avventori, non c'era anima viva. Chiesto invano da mangiare a due ristoranti indicatici come migliori, dovemmo rassegnarci a ricorrere al terzo. Il padrone ci guardò con aria così ansiosa, che ci lusingammo di essere capitati bene. Il locale non era veramente di gran lusso, ma decente. - C'è qualcosa di pronto? - Niente; tutto da farsi. - Allora, spaghetti al pomidoro. - Oggi, cari signori? Impossibile! - Due cotolette ai ferri; intanto un po' di salame, un po' di burro. - Il padrone si grattava poco pulitamente la testa. - Insomma?... - Quel che vogliono; ma, oggi...

E dovemmo contentarci di un po' di pane non fresco, di un po' di gorgonzola o stracchino, non ricordo bene, e qualche mela. A Sesto! A poche miglia da Milano! D'estate! Cioè, quando quel paesetto diventa luogo di villeggiatura domenicale pei buoni ambrosiani che non possono correre alle montagne o al mare!

Il Verga ed io ci contentammo di ridere, e di andare a desinare a quel Biffi che avevamo voluto fuggire. E stia sicuro il prof. Lesca che, nel caso che io avessi la tentazione di mettermi a scrivere le mie memorie, non dirò - glielo giuro - che Sesto, nel 1889, era un posto selvaggio, dove due viaggiatori potevano facilmente morire di fame!

 

 

 





36 E. Rod, Nouvelles études sur le XIX siècle, Paris, Perrin, 1898 - E. Lesca, Leggendo e annotando, Roma, Loescher e C., 1898.



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