Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Cronache letterarie
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DIALOGHI D'ESTETA

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DIALOGHI D'ESTETA47

 

Chi apre il libro, allettato dalla simbolica copertina - un vaso da profumi, da cui sortono nuvole d'incenso dentro i vortici delle quali s'intravedono figure in atteggiamenti ed espressioni diverse - può credere, a prima vista, che si tratti di un volume di poesie. Tra i grandi margini bianchi si allineano infatti righe più o meno corte che hanno l'apparenza di versi, di strofe: ma cominciando a leggere, egli si avvede che l'esteta ha voluto ingannarlo. Ingannarlo fino a un certo punto: giacchè se non ci sono i versi, c'è la poesia; se non ci sono i piedi esatti degli endecasillabi, dei settenari, c'è però un quissimile di ritmo che non irrita l'orecchio e che anzi lo alletta con studiate cadenze di accenti, con abili avvolgimenti di periodo da tenere benissimo luogo di verso, senza la ibrida intenzione della prosa poetica. Aperto a caso il libro, egli legge:

 

Sul roseo avorio de le carte,

bruni ed alati,

come uccelli stanchi,

dormono i sogni:

reliquie e diane

di cuori vecchi e nuovi,

pianto di avelli.

Ma se la dolcezza

di grandi occhi feminei,

sole e rugiada, cali, -

se una voce pallida,

nel silenzio odoroso d'un talamo

esile mormorio, li ravvivi;

se una mano bianca e fine,

gigli su rose,

fremendo,

con la diafana unghia

li carezzi, -

su dal sepolcro del volume

avello bianco

ove il dolore si acqueta,

vagano bruni ed alati

come uccelli all'alba,

e bisbigliano,

e l'anima del poeta

sale, per le dita, lieve

a baciar, ebbra di amore,

le inanellate gemme della Pietosa.

 

E il caso ha servito bene il curioso lettore. Egli allora farà come la Pietosa - non importa se la sua mano non è rosea, e se le sue unghie non sono diafane - sfoglierà altre pagine, cercherà altri segni pei quali possa davvero sentire l'anima del poeta salir su ad accarezzargli - se non le inanellate gemme o la chioma, forse, assente - il cuore o lo spirito; e vorrà cominciare daccapo.

Certamente la lettura non riesce facile. Questi dialoghi che l'esteta intraprende con figure evocate, sogni, simboli d'idee o di sentimenti - Ignazio di Lojola, la fede dominatrice; il Valentino, l'astuzia e la forza; don Giovanni, l'amore l'insaziabile e insaziato; Fausto, l'ansioso e vacuo ricercatore della scienza assoluta; Salvat, il bruto ribelle; o con creature senza nome, pittori, poeti, vecchi, monaci, folla; o con esseri ai quali la sua immaginazione, usando del primitivo privilegio dei fanciulli e dei selvaggi, concede vita, anima, volontà, parola; o col demone tentatore che è dentro di lui; tutti questi dialoghi non potevano essere ragionamenti ordinati, filati, discussioni pedantesche, poichè dovevano e volevano riuscire espressione lirica di concetti e di sentimenti, poichè richiedevano all'onda musicale di un particolar ritmo e all'immagine la loro forza di rappresentazione, la loro forma.

L'esteta è un irrequieto. Il pensatore contrasta col rincorritore del fantasma della bellezza. Che vuole? Che sogna? Vorrebbe un mondo più buono, più giusto, e sopratutto più bello. E' vede un continuo, incessante trasformarsi di tutte le forze naturali, comprese quelle del pensiero. E se gli nomini, la storia, il passato, non rispondono alla sua insistente interrogazione, si rivolge alla Natura, dove c'è anche il pensiero involuto nascosto, e tenta di aver da essa una risposta.

 

Ne la fede de l'immortalità

rapida corre

l'ora nemica:

ne l'orgoglio degli ordini

ancor l'insanie

appar feconda.

 

Che importa?

 

L'idea è l'inarrivabile amore

tutti soffrono per lei,

tutti sanno

che nessuno mai la stringerà

tra le braccia, vinta.

 

Ed egli inneggia agli Stiliti che salgono su la colonna di Simeone e tendono le braccia al cielo, immemori delle miserie terrene.

 

esulare dal corpo, è la gioia

almeno, l'illusione buona dell'ora:

esular, quietamente,

come un'umile cosa,

come un'anima pavida tra le anime.

 

Deliziosa elevazione che dura poco; il mondo si agita, vuole operare; nell'azione è la forza; ma fra tante orgogliose forze operanti per la vita materiale o per la gloria, l'Esteta è tentato soltanto dall'orgogliosa umiltà di fare un'opera di bellezza, olocausto a Dio e agli uomini,

 

senza che la vanità di un nome

inutile sgorbio, la profani.

 

E il compenso?

 

Che vale la passione dell'opera

senza il premio di un bacio?

 

D'un bacio e dell'amore; se pure l'amore varrà a saziare o a dar pace all'anima irrequieta, al corpo fremente.

Che vale l'amore, se non può essere trasfusione di un corpo in altro corpo, di un'anima in altra anima? E mentre egli anela al corpo della sua Esteta, il ricordo della madre lo turba, e l'amore carnale gli sembra una profanazione, anzi quasi un incesto. E la Esteta gli dice tristamente:

 

- Volete che io mi allontani?

 

L'ESTETA

 

Lo desidero:

la voluttà non ci darebbe che rimorsi, -

la creazione indicibili angosce,

e rimorsi fors'anche.

 

LA ESTETA

 

Non ci ritroveremo mai più?

 

L'ESTETA.

 

Un giorno, si compirà forse

il miracolo d'oblìo.

Qui, dove la vostra anima bambina

e la recente anima vostra pensa,

qui, forse.

 

LA ESTETA

 

Vi sovvenga che la mia vita è così umile

che la morte non saprebbe esserlo di più.

 

Ma a che giovano queste rinuncie? Il cuore non appaga, la mente non si acqueta. L'avvenire urge; Il trionfo dell'Idea vuole tutte le braccia e tutte le menti.

L'Esteta è pieno di scoramento:

 

Ancora ne li attoniti occhi,

reca lo spasimo d'una mortale caduta

il terrore d'un incubo

improvvisamente scomparso.

Sognò lotte e baci.

dominazioni e rinuncie,

cose belle oltre la Verità,

dolci, oltre l'Amore,

eterne, oltre la Fede.

 

. . . . . . . . . . . . . .

 

Sorrise a tutte le veneri,

benedisse a tutte le forze,

a tutti i connubi sospirò.

 

. . . . . . . . . . . . . .

 

Doloroso miracolo:

la visione tangibile si oscura

di maligne nebbie.

 

E finisce con domandarsi tristamente: Sia pure che l'uomo nello spazio e nel tempo s'inganni, ma esso è però un mondo, un occhio dell'infinito;

 

perchè dunque

non vuol recare intorno

la serenità e la luce,

come il cielo e le stelle?

 

Ho tentato di riassumere questo poema lirico di una anima solitaria, che si tormenta fra le strette del sillogismo e del sentimento, citando il più largamente possibile per dare ai lettori un'idea approssimativa non soltanto dei concetti ma anche della forma.

Secondo me, il poeta ha fatto bene a sciogliersi dalle pastoie del ritmo, che non concede certe libere agilità neppure ai suoi più poderosi domatori. E se nel suo tentativo ha qualche volta ecceduto, sia condensando troppo, sia trascorrendo in istonature prosatiche incurante di mettere a dura prova l'intelligenza o la schifiltà stilistica del lettore, non bisogna fargliene troppo carico, in grazia di quei larghi brani dell'opera sua dov'egli raggiunge l'ideale voluto attingere, come nei canti L'orgogliosa umiltà, La metamorfosi e specialmente nel Preludio al canto Marmi e bronzi, invocazione della Bellezza, e nella Oscura rinunzia, che mi sembra la cosa più squisita di tutto il volume.

Il quale, se, come ho accennato, non è di facile lettura, è poi tale perchè, nell'intenzione dell'autore, non è destinato al volgo dei lettori.

 

Nel grottesco s'adombra

qualche aristocrazia;

nel crudele, qualche idealità;

e il valore della vita

consiste nel saper morire.

 

Ecco una sua schietta dichiarazione.

Al Quaglino intanto non si potrà dire che abbia scelto questa libera forma di ritmo perchè il verso non obbedisce alla sua mano. Egli ha pubblicato due volumi di versi, dove alla vigoria e all'originalità del concetto è accoppiata una vigoria e sovente una stranezza di forma - stranezza più visibile nel primo, Modi, anime e simboli, che nel secondo Fiori brumali - le quali dimostrano ch'egli si sente anche capace di abusare della padronanza della forma ritmica, contorcendola a sua voglia e capriccio, e non sempre con buon resultato.

Dopo questi Dialoghi d'esteta, che hanno nel loro sciolto ritmo dolcezze e sfumature veramente notevoli, è da augurarsi che il pensiero del poeta divenga più limpido, più tranquillo, più trasparente, e che il sentimento prenda la mano su di esso, perchè, ritmo rimato o sciolto, la sua parola trovi più larga eco nei cuori: e non intendo dire: nel volgo dei cuori.

 

 

 





47 Romolo Quaglino. Dialoghi di esteta. Milano, tipografia Treves, 1899. Un vol. di 270 pag. in 16.



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