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Quella mattina la stanza che precedeva lo studio dell'avvocato Attilio De Blasis era poco affollata.
Accanto all'unica finestra che dava su la via, un signore alto, magro, vestito senza eleganza, con capelli e barba quasi grigi, mostrava segni di impazienza, per la noia dell'attesa. Di tratto in tratto si voltava a guardare le tre donne sedute vicine all'uscio, immobili, rassegnate, che avrebbero dovuto entrare dall'avvocato prima di lui. Si decise d'interrogarle, e si rivolse alla più anziana.
— Scusi; si tratterranno a lungo?
— Chi lo sa? Ci ha mandato a chiamare lui. Domani si fa la causa di mio figlio, accusato di omicidio...
— Vorrei chiederle un fattore — la interruppe. — Io devo dire all'avvocato quattro sole parole di urgenza...
— Si serva pure, si serva... È vero, mamma? — rispose la più giovane.
— Grazie.
— Vi auguro di tutto cuore che vostro parente sia assolto.
Era tornato di nuovo presso la finestra, quando apparve il domestico dell'avvocato.
Il signore si fece avanti:
— Quelle donne mi han ceduto il loro turno.
L'altro le interrogò con un rapido sguardo, e lasciò libero il passo allo sconosciuto, che si fermò, esitante, appena varcata la soglia.
— Vada diritto; non può sbagliare.
Infatti, passato quello stanzone con i muri coperti di alti scaffali pieni di libri rilegati, e due tavolini laterali, ingombri di pubblicazioni periodiche, di opuscoli e di giornali, quel signore si trovò davanti a l'avvocato che egli conosceva soltanto di nome.
Coi gomiti appoggiati sul piano della scrivania, con la testa tra le mani e gli occhi socchiusi, sembrava immerso in grave meditazione, senza scomporsi, credendo di parlare alle parenti del suo cliente, disse:
— Il mio giovane di studio e andato al Tribunale per far rinviare la causa. Manca...
E si arrestò, rizzando il capo a un colpettino di tosse che quel signore, rimasto là in piedi, non aveva potuto frenare.
— Perdoni! — esclamò. — Con chi ho l'onore...?
E gli accennò la poltrona accanto.
Prima di sedersi, l'altro cavò rapidamente dalla tasca il portafogli, ne estrasse una carta da visita e la porse all'avvocato.
— In che posso servirla? — domandò questi, riponendo il biglietto in uno dei piccoli scompartimenti della scrivania.
— Ecco. Lei ha fama di essere uno dei più valenti avvocati penali. Dicono che loro sono come i confessori; per ciò parlerò liberamente.
Toccò un bottone elettrico, disse sottovoce qualcosa al servitore accorso alla chiamata, e ripetè:
— Sono ai suoi ordini.
— Io — riprese il signor Viali — non ho ancora commesso nessun delitto; ho però ferma intenzione di commetterne uno e prestissimo.
— Ma... allora...
— Mi lasci parlare; non si maravigli per così poco. Sappia dunque che ho moglie giovanissima e bella. A ventitre anni, ne mostra appena diciotto... I miei capelli grigi?.. Ero così, come ora mi vede, a venti anni. Moglie di ventitre, marito di trentatre, precisamente come vuole la regola... Perchè mi guarda così?
— Siamo sposati da sei anni... Che ha? si sente male?
— No. Mi stupisco di certe incredibili coincidenze che riguardano... un mio cliente.
— Purchè le coincidenze si arrestino qui! Mi dispiacerebbe...
— Parlava di sua moglie. Prosegua, egregio signore.
— Pur troppo! Lei mi vede tranquillo, mi sente ragionare come un uomo che esponga l'affare di un altro. Accade così nei grandi dolori: l'eccesso della commozione ci rende insensibili. Sono in questo stato da un mese. Soltanto ho qui, pari a un chiodo calcato profondamente, l'idea fissa: — Devo ammazzare!.. Lui o lei? — Pensa e ripensa, ho deciso lei, soltanto lei! L'altro fa il suo mestiere di cacciatore di donne. L'uomo è cacciatore dice un cinico proverbio. Potrei gridare: — Ehi, signore: Qui c'è scritto: Caccia riservata. Ha infranto il divieto; paghi la pena. — Oh!... Mi accorgo che divago. Ho passato dunque mesi d'inferno, rôso dal sospetto, dal dubbio: Mia moglie mi tradisce?
— E poi? — domandò ansiosamente l'avvocato. — Come ha fatto per acquistare la certezza?
— Non la ho ancora acquistata.
— E vuole ammazzare?
— No; prepararmi ad ammazzare. Per quanto l'arte della finzione abbia raggiunto nella donna la perfezione suprema, c'è il caso che è più forte di tutti, anche della perfidia femminile. Io sto alle vedette, conto sul caso. Sarà domani, domani l'altro, fra un mese, quando meno me lo aspetterò; e voglio esser pronto. Estote parati!
— Ma il mio ufficio di avvocato in tutto questo non c'entra.
— Vedrà: c'entra benissimo. Voglio prepararmi un alibi — si dice così? — tale da non farmi cascare neppure per un giorno, neppure per un'ora nelle mani della Giustizia. Invece di darle il fastidio di cercarlo dopo, quando lo avrei scelto per mio avvocato, son venuto a pregarlo di suggerirmelo prima.
— Sarei suo complice, non suo difensore.
— Dopo, non sarebbe lo stesso?
— Eh, via! Io non dò consulti di questo genere. Può darsi che lei s'inganni intorno alla condotta di sua moglie. La gelosia fa travedere. Pel geloso, un fil di paglia diventa una trave.
— Non sono geloso, nel senso che lei dice.
— È peggio, scusi la mia sincerità; è uno che, non so per quali nascoste ragioni, vuol disfarsi della moglie.
— Ma io l'amo! L'adoro anzi! E voglio ammazzarla perchè sia interamente, eternamente mia. Come non lo capisce?
— E intanto vuol procurarsi anticipatamente un alibi! Un altro forse le direbbe: — Ammazzi, se vuole; non si preoccupi di quel che avverrà. Io le consiglio: — Cominci, sarà meglio, dall'ammazzarla nel suo cuore. È difficile, è vero. Oh, difficilissimo!
— Sarebbe una specie di suicidio.
— Forse! — esclamò l'avvocato, chiudendo gli occhi, irrigidendo il viso.
E per qualche momento riprese la posizione in cui il nuovo cliente lo avea trovato. Si riscosse e soggiunse:
— Io faccio il difensore....
— Pel suo consiglio, questo è poco; lo accetti — lo interruppe l'altro, posando sul tavolino una busta.
— Il mio consiglio è da uomo a uomo. Verrà a ringraziarmi un giorno, se mai. Riprenda la busta... la riprenda! — replicò a un gesto di quello.
— Mi dispiace di averlo disturbato. Scusi tanto!
E lo strano visitatore andò via, senza nascondere il suo disappunto.
*
* *
— Perchè quell'uomo aveva detto: Purché le coincidenze si arrestino qui?
Riflettendo un po', si convinse che non c'era stata ombra di malizia o d'ironia in quelle parole. Ma i loro casi erano terribilmente identici. Anche lui, rôso dal dubbio e dal sospetto, cercava da mesi una prova, un indizio di prova, senza trovar mai niente!
— Lio! — chiamò una soave voce di donna.
Egli non avea sentito il lieve scricchiolio dell'uscio aperto a fessura, e trasalì al diminuitivo con cui soleva chiamarlo sua moglie che, accertàtasi di trovarlo solo, si avanzava sorridente verso di lui abbigliata di tutto punto per andar fuori di casa.
— Vado dalla signora Scandriglia, che parte. Vuoi accompagnarmi? Oggi sei libero, mi pare.
Stretta nella tunica di velluto verde scuro, con guarnizioni di passamanteria nera, sotto l'ampio cappello nero ornato di grandi piume di struzzo spioventi dietro il collo, la bella signora si era accostata alla scrivania quasi per farsi meglio ammirare.
— Se ti dicessi di restare in casa? — fece il marito con un tremito nell'accento che rivelava la improvvisa commozione da cui era stato assalito.
— Perchè! —— rispose bruscamente, guardandola ostile per un istante.
La signora, impallidita tutt'a un tratto, indietreggiò istintivamente e balbettò:
— Hai ragione!
— Che significa: Hai ragione?—replicò il marito.
— Oh! Sono parecchie settimane che avrei voluto dirti...
Al gesto interrogativo di lui, ella riprese:
— Ma il tuo contegno mi ha sempre impedito... Vieni di là; qui possono udirci. C'è qualcuno in anticamera — soggiunse, dopo lieve pausa.
— Cristaldi! — chiamò l'avvocato.
E al servitore dello studio, che si presentò disse:
— Potete andare; più non ho bisogno di voi.
La signora, accostato l'ampio manicotto alle labbra per soffocare i singhiozzi, si avviò avanti. Il marito, esitato un istante, la seguì; e sembrava barcollasse.
Tutt'a un tratto! Come lo scoppio di un fulmine! Egli si era accorto, quantunque un po' distratto dagli affari, che un inesplicabile mutamento doveva esser avvenuto nel cuore di sua moglie; qualcosa di più della freddezza, quasi qualcosa di più dell'indifferenza. Invece di chiedere una franca spiegazione, avea voluto osservarla, spiarla, farla spiare per sorprenderla in fallo. Gli era sembrato che una specie di sfida fosse avvenuta tra loro: lei, con l'ingannarlo; lui col tentar di smascherarla. Aveva vinto lei!
Chiuso in un mutismo che gli logorava l'anima, avea creduto di morire soffocato dal gran dolore, domandandosi a ogni po' se era un vile o se era... insensibile?.. No... Che era dunque? Non sapeva spiegarselo, quantunque ricordasse che soltanto la presenza, il sorriso, la inesperta e pur vivace parola del loro piccolo bambino erano stati, spesso, la forte cagione di quel mutismo, di quell'apparente insensibilità.
Poi, con estrema diffidenza, aveva visto tornare, gradatamente a sè — con la primiera affezione, gli slanci di amore di una volta, le finezze, le gentili concessioni, con ritegni e abbandoni che sembravano calcolati — colei ch'egli aveva pianto, in segreto, come perduta forse per sempre. In che modo non immaginare un'insidia, una perfidiosa finzione che niente giustificava, poichè egli aveva avuto l'orgoglio, l'alterigia, la forza di dissimulare, deciso di vendicarsi in un colpo, se la terribile certezza gli fosse balenata davanti agli occhi?
E questo gli era riuscito immensamente più doloroso, più straziante della prima fase del suo stato d'animo, quando sospettava, dubitava soltanto, quasi inseguendo un fantasma che fuggiva, fuggiva e non si lasciava raggiungere mai.
Nei pochi momenti trascorsi nell'andar dietro a sua moglie dallo studio fino all'intimo salottino dove, nei primi tempi, essi solevano rifugiarsi in deliziosa segregazione dopo colazione o dopo pranzo, egli aveva avuto una rapida ma netta, ma completa visione dei più minuti particolari di quell'angosciosa esistenza, e si domandava:
Provava terrore e di apprendere la verità e di sentirsi ingannato da nuove menzogne.
Procedendo lesta, quasi temesse che un breve indugio potesse toglierle il coraggio di dire quel che, da settimane, avea sentito ricacciarsi in gola dal contegno del marito, ella sfilava nervosamente gli spilloni del cappello. E così, appena entrata nel salottino, potè buttarlo malamente su una seggiola, con la stola e il manicotto di pelliccia, accennò al marito di chiudere l'uscio, e lasciò libero il freno ai singhiozzi e alle lacrime irrompenti con foga.
Egli la guardava corrugando le sopracciglia, col respiro ansante e la lingua così inaridita da non poter pronunziare una sola sillaba; tutto il suo atteggiamento, però, era una terribile interrogazione.
E i suoi singhiozzi s'interruppero a un tratto, e le lacrime cessarono, nello stesso istante, dall'inondarle la faccia sbiancata e stravolta.
— Senti!... C'è stato un tempo... Quando?... Per quanto? Non lo ricordo... Mi sembra un passato lontano, quasi un sogno, un orribile sogno!... C' è stato un tempo... che non ti ho amato più!
— Ah!...
— Te n'eri accorto? E non me l'hai detto? Non amarti più sarebbe niente: ti ho offeso in modo indegno... Tra le braccia di un altro, io...
Al gesto di lui, che parve stesse per slanciarlesi addosso, ella, protendendo le mani, gridò:
— Lasciami finire!... Mi ammazzerai dopo!...
Ed egli, che, non ostante il gesto e il grido, afferràtala pei polsi, la scoteva, conficcàndole le ugne nelle carni, la ributtò lontano, violentemente, urlando:
— Ti ho già uccisa nel mio cuore!
Ma come la vide vacillare, sbattere con la nuca nel muro e piegare e cadere a terra priva di sensi, si chinò inconsapevolmente verso di lei, chiamandola per nome:
E si ritrasse indietro, portando le mani agli occhi, inorridito di quella piccola striscia sanguigna che macchiava un gran fiore biancastro del tappeto.
Stette così, quasi impietrito, fino a che non udì un fievole lamento.
Ella sollevava la testa, tentava di rizzarsi, ancora sbalordita dal colpo, e mentr'egli accorreva, si abbattè di nuovo sul pavimento, invocando:
Attilio De Blasis, aiutandola a sollevarsi, mettendola a sedere sul canapè, sembrava rapidamente invecchiato di dieci anni. Con un fazzoletto le asciugava le poche gocce di sangue che si erano coagulate nella ferita; ma non una parola, non un movimento dei muscoli del volto mostravano ch'egli sentisse la minima commozione di pietà.
— Non aver paura — poi balbettò — Ti ho già uccisa nel mio cuore!
In quel momento s'illudeva di aver messo in atto, per conto suo, il consiglio dato a quello strano cliente venuto a consultarlo un'ora addietro e che si trovava nell'identico caso di lui; dopo sei anni di matrimonio, come lui; a trentatre anni, nella stessa età di lui!
— Lasciami dire, Lio! — ella riprese. — Dopo farai quel che vorrai. — Non è niente... Una scalfitura alla pelle. — Ascoltami, ti prego. Come spiegartelo? Quasi una lenta oscurità fosse avvenuta nel mio cuore... Un silenzio glaciale! Tu m'eri sparito prima ch'io potessi accorgermene... Così! — Proprio così!
Parlava lentamente, con voce fioca, come stupita di poter dire cose che non avrebbe dovuto mai dire perchè, sì, dopo la delusione provata tra le braccia di quell'altro, dov'ella avea creduto di trovar l'amore, il vero amore, l'amore supremo — e vi aveva trovato il vile capriccio! — perchè, sì, dopo la delusione, le tenebre del suo cuore si erano diradate, il silenzio glaciale era sparito: ed ella era tornata al suo Lio, come a un rifugio, disperatamente innamorata, pronta, decisa di compensarlo con tutto l'essere suo, di scancellare così l'onta ch'ella sentiva pari a un marchio nelle sue carni, e senza che egli avesse potuto sospettarne mai il terribile segreto del cuore. Oh, non per tener lui nell'inganno, per acquistarsi facilmente un inconsapevole perdono, ma per risparmiargli un immeritato dolore. Unicamente per questo! Unicamente per questo!
E quando le era parso che il marito sospettasse; che quel violento ritorno a lui, invece di rassicurarlo, lo mettesse in maggior diffidenza, ella era stata, più volte, sul punto di rivelargli l'infamia commessa e gridargli: — Ammazzami! Ammazzami!.. Sono indegna di te!
Si era trattenuta pensando: E se non è vero che egli sospetta? Se non è vero ch'egli diffida? — Una profonda compassione di lui le aveva spento su le labbra la tremenda rivelazione.
Ed ora ella si vedeva come una rea al cospetto del suo giudice, e parlava lentamente, con debolissima voce, tenendo fissi gli occhi nel volto di lui freddo e duro, e che sembrava attendesse la fine di quella confessione per pronunziare la sentenza.
Invece egli s'indignava contro di sè in quel momento, vedendo che poteva osservarla e ammirarne la bellezza a cui l'abito di velluto verde scuro, che ne modellava l'esile corpo, assieme col pallore del volto, coi neri capelli mezzi disfatti e cascati attorno al collo per l'urto sofferto, dava un irresistibile fascino.
S'indignava, e nello stesso tempo godeva di costatare che non era un'espressione vana: — Ti ho uccisa nel mio cuore! — e che per ciò poteva star ad ascoltare, quasi non si trattasse di sè, le parole che sua moglie riprendeva a pronunziare.
— Così!... Proprio così!... Non intendo di scusarmi, nè di attenuare la mia colpa!... Voglio darmi nelle tue mani come un lurido cencio che dovrai buttar via, spingendolo fuori con la punta del piede... Oh, come ti amo! Come t'amo!... — Se avessi saputo che tu mi hai già uccisa nel tuo cuore, ti avrei risparmiato quest'ora di angoscia. Morta nel tuo cuore, sarei morta davvero. Ecco quel che avrei fatto, se avessi saputo. Mi avresti forse pianta; compianta almeno, il giorno che avresti scoperto — è là, in quella cassetta del tavolinetto — ecco la chiave — l'ho portato sempre, con me — il giorno che tu avresti scoperto quel che da mesi ho scritto, mattina e sera, come in ginocchio davanti a te!
E la sua voce parve estinguersi, mentre la testa le ricadeva da lato, su la spalliera del canapè, quasi agonizzante e invasa da più squallido pallore.
Attilio De Blasis introdusse, con mano tremante la chiavina nella serratura, estrasse dal cassetto parecchi quaderni, e apèrtone uno a caso, cominciò a leggere, avidamente.
Si sentì afferrare come da una morsa.
Quelle pagine fremevano sotto i suoi occhi: le linee, le parole avevano guizzi, contorcimenti, scintille quasi. Gli sembrava impossibile che quella donna fosse riuscita ad esprimersi con tanto vigore, con tanta efficacia, e senza che da un solo rigo trasparisse un qualche artifizio. C'erano veri singhiozzi; c'erano vere lacrime, impeti di passione, delirii di angoscia... Ma egli continuava a leggere preso dalla stessa curiosità, dallo stesso interesse che avrebbero potuto destargli le belle pagine di un romanzo, di una novella, e saltava da un quaderno all'altro, non seguendo il filo della rivelazione di un cuore smarritosi dietro una chimera e che sapeva chiedere perdono soltanto con l'affidare a quelle povere carte la sua trambasciante confessione.
Di tratto in tratto, egli si voltava a guardare quegli occhi che, nel pianto, avevano perduto ogni splendore, quelle labbra aride e smorte che sembrava mormorassero parole di preghiera e invocazioni di grazia, quella mossa di tutto il bel corpo che pendeva con ansiosa tensione dal volto di lui, quasi ad accrescere il valore di ogni parola, di ogni periodo di quei quaderni dov'ella avea versato tutto il suo cuore dolente e pentito.
Egli intanto diventava sempre più chiuso, sempre più impenetrabile.
E mentre leggeva: «Ti parrà una bestemmia, ma io sono arrivata a benedire la mia colpa, perchè mi ha rivelato che avrei potuto amarti più assai di una volta, diversamente di una volta! Ah! Tu non lo saprai prima che io sia sparita. E mi sarei già uccisa — ci ho pensato tutti i giorni — se non mi avessero trattenuta, se non mi trattenessero le inconsapevoli braccia del nostro Rinaldo. Per lui, per lui non ho rinunziato alla vita; e dopo, più tardi, anche per la speranza di goder intera la gioia di questo mio appassionato ritorno a te, con l'anima, coi sensi che ti adorano e ti chiedono perdono umilmente, ora per ora, minuto per minuto.» E mentre leggeva: «Avrei potuto risparmiarmi questa confessione; nessuno sa niente della mia colpa, nessuno! Ma io ho voluto dirti — e dovrai credermi, e se non mi crederai non importa — ho voluto dirti che non c'è mai stato e non ci sarà mai al mondo un uomo amato, non più di te, ma come te!» mentre leggeva egli scoteva negativamente la testa, fino a che, con un gesto di nausea, non gittò sul tavolinetto quei quaderni, e a lei parve che le avesse strappato il cuore dal petto e lo avesse buttato in fondo a un abisso.
Gli occhi di lui si accesero di una vampa improvvisa. Riprese quei quaderni, tornò a sfogliarli con mano convulsa, balbettando:
— È l'unica cosa che ti nasconderò sempre, a costo della vita. Ti basti di sapere che non è tuo amico, che ormai è lontano e che non tornerà più!
E vedendogli brancicare e quasi strappare quei quaderni, guardandolo con occhi sbarrati dove la follia sembrava che già mettesse il suo primo orribile segno, ella soggiunse:
— È finita? È finita dunque? Non mi hai creduto, Lio?
— Sì, sì; ma ti avevo già uccisa nel mio cuore; e sei ben morta.
Più che dalla inesorabile risposta ella capì la sua condanna dallo sguardo e dal gesto di lui.
— Oh! Oh! Ben morta!... Che mi ordini di fare, Lio! Obbedirò alla cieca, Lio!...
— Vivi! — la interruppe vibratamente. — Vivi! Ci resta ancora qualcosa di puro, di sacro che sta al di sopra del tuo pentimento, della nostra miseria, del tuo e mio dolore, e fin del mio cuore omicida! Ci resta nostro figlio!
Ella si sollevò sul busto, tendendo le mani come per ringraziarlo di così grande pietà. Sembrava che si domandasse se avea capito bene le parole di lui, tanto le apparivano incredibili in quel momento.
E il marito, severissimo, riprendeva:
— Potrei, anzi avrei diritto di gridarti: — Vattene Vàttene via! — Invece... ti prego di restare accanto a nostro figlio.... e di accettare con gioia questa divina espiazione!
Un sì lieve come un soffio uscì dalle labbra di lei; ma egli se lo sentì penetrare violentemente nel cuore quasi grido di una morente che getta la sua protesta alla vita: Ti voglio! Ti voglio!
Nessuna altra risposta però salì dal cuore di chi aveva ucciso e ora assaporava l'amara voluttà del suo interiore delitto.