Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Istinti e peccati
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IL MONUMENTO

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IL MONUMENTO

Assolto per non provata reità.

Il barone Vittorio Bondòla, udita la lettura della sentenza, non aveva avuto forza di ringraziare il presidente del Tribunale altrimenti che con un lieve inchino, tanto quell'assoluzione gli era riuscita indifferente. Quasi quasi avrebbe preferito una severa condanna che lo avesse sottratto per lungo tempo agli occhi della gente e alle tristi conseguenze della sua situazione economica. Non aveva più animo di ricominciare daccapo. Tutte le sue speculazioni di affari, di giuochi di Borsa, di intraprese industriali erano state in questi ultimi anni una serie non interrotta di gravi disastri. La sua condotta di uomo galante vi aveva molto contribuito.

Dopo la morte della moglie, durante il tempo del lutto, un solo pensiero, una sola occupazione, lo avevano quasi ossessionato: il monumento a colei che era stata la fedele compagna della sua vita. Allora egli era nell'auge della sua fortuna di banchiere: e per affetto, per gratitudine e un po' per vanità, aveva voluto che quel monumento riuscisse una grandiosa opera d'arte. Era stato indetto un concorso a cui avevano preso parte valentissimi scultori, e alla Commissione scelta per giudicare i bozzetti egli aveva raccomandato di preferire il più bello e più ricco.

Infatti quel monumento, costato più di cento mila lire, era anche riuscito bellissima opera artistica. All'inaugurazione, fatta con straordinaria solennità nel terzo anniversario della morte della giovane signora, il barone fu visto piangere come se il luttuoso avvenimento fosse accaduto pochi giorni avanti.

Si erano sposati per amore, ed egli soleva ripetere che la loro luna di miele era durata sei anni!

Per ciò, da principio, molti non volevano credere che il Bondòla, poco dopo, cominciasse a commettere delle pazzie per una mondana non giovane, non bella, ma elegantissima, la quale aveva fatto parlar di a Parigi, a Berlino, a Vienna, ed era venuta a Roma, si diceva, con un grosso personaggio dell'aristocrazia russa che l'aveva improvvisamente abbandonata, non si sapeva perchè.

Era vero. Vittorio Bondòla, dall'appartamento al primo piano dell'Hôtel Continental, l'aveva trasportata in una recente palazzina di via Boncompagni, mobiliata lussuosamente a nuovo, mettendo a disposizione di lei carrozza, cavalli, servitori in livrea, spendendo e spandendo con straordinaria prodigalità, che aumentava come più i suoi affari di Borsa andavano male, come più era costretto a ricorrere a gravosi ripieghi per soddisfare i costosi capricci della amante.

Quando ella lo vedeva arrivare pensieroso, con aria turbata, sùbito lo sgridava:

— Qui non si viene per covare il malumore della Borsa e della Banca! Devo io risentire le conseguenze delle tue speculazioni sbagliate?

— Vengo anzi per dimenticare...

Lo diceva sinceramente. Tentava infatti, ma non sempre riusciva. In certi momenti si maravigliava egli stesso della vertigine da cui si sentiva preso per quella donna che, infine, aveva soltanto il gran prestigio di essere stata l'amante di principi, di banchieri, di un diplomatico, e di possedere una superficiale vernice di eleganza aristocratica.

Aveva dovuto accorgersi che in alcune intime circostanze Hélène Brixieux rivelava tutt'a un tratto la sua bassa origine, della quale s'inorgogliva, facendosene vanto: ma questo venir a galla del carattere avido, duro, ingrato, della contadina figlia di un mugnaio alsaziano, diventava un elemento di ammirazione per lui che calcolava la distanza dal punto da cui ella era partita fino a quello a cui era arrivata. Rifletteva che poche vere signore potevano ora contendere con lei nel gusto del vestire e nella raffinatezza delle maniere.

Non gli passava pel capo l'idea di poter essere amata. Non era affatto sicura ch'egli l'amasse.

In quell'unione c'era moltissima abilità interessata da parte di essa, vista l'ingenua vanità di lui che intendeva di farle dimenticare, sorpassandole, le splendide larghezze dei suoi predecessori; e c'era da parte di lui, sottinteso, anche lo scopo di gettare della polvere negli occhi ai suoi avversari di affari e al pubblico, non fosse stato altro per ritardare almeno la catastrofe che il disastroso andamento delle cose sue gli faceva prevedere inevitabile.

Era scoppiata, un anno dopo, quasi all'improvviso, come una bomba, facendo saltare in aria non solamente il suo patrimonio, ma anche la sua dignità e la sua fama di abile e onesto amministratore.

Assieme con gli avvocati, alcuni banchieri e agenti di Borsa che temevano i risultati dell'inchiesta e del processo e già risentivano le conseguenze dello scandalo, si erano adoperati destramente per deviare quelle che potevano sopravvenire, se non si fosse arrivati in tempo ad attutire con ogni mezzo le mal vessazioni nelle operazioni della Banca di cui il barone Bondòla era direttore.

Gran lavorìo sottomano, che aveva assai contribuito ad ottenere quella sentenza d'assoluzione per non provata reità: sentenza equivoca, perchè le prove del reato potevano da un momento all'altro venir fuori quando il colpevole meno se l'aspettava, e il processo sarebbe ricominciato da capo.

La stessa sera in cui egli uscì di prigione, accompagnato da' suoi due avvocati e dal fedele segretario, dopo di essere rimasto in casa a ricevere pochi amici venuti a congratularsi con lui, il barone Vittorio si fece portare in vettura chiusa alla palazzina di via Boncompagni.

Si accorse subito che la visita arrivava inaspettata. Si accorse di qualcosa di peggio. Eccettuato il salottino dove aveva dovuto attendere che Hélène — la chiamava così — terminasse la sua toeletta da sera, tutte le stanze che aveva potuto fuggevolmente osservare, erano sossopra come in un momento di sgombro.

— La sentenza — egli pensò — è venuta troppo presto!

Ebbe una stretta al cuore riflettendo che se la sua liberazione dal carcere fosse tardata di qualche giorno, egli avrebbe trovato la palazzina perfettamente sgombra di mobili e la signora andata via.

Dopo le tante sciagure che l'avevano colpito, questo abbandono non gli parve la peggiore, ma certamente la più immeritata; perchè le dispendiose follie da lui fatte per quella donna erano state in quei due ultimi anni la cagione più immediata dei disastri che lo avevano abbattuto.

— Ah! Merci, mon ami!... Je ne m'attendais pas.... No, voglio parlarvi la vostra bella lingua nel felicitarvi della vittoria ottenuta.

Gli stendeva la mano, quasi si fossero lasciati il giorno avanti.

Je vous trouve très-bien! Presque rèjeuni.... Voi siete forte. Un altro, nelle vostre circostanze, sarebbe invecchiato di dieci anni.

Parlami di te, Hélène!

Il turbamento gli faceva tremare la voce, mentre la guardava maravigliato di quel vous insolito, evidentemente indirizzato all'amico, al conoscente anzi, e non più all'amante.

C'est bien triste la vie, mon cher! Bisogna accettarla com'è. Forse avrei fatto meglio a non procurarvi il dispiacere di questo distacco; ma ho avuto la debolezza di voler dirvi addio prima di andar via. Io non posso infliggervi sacrifizi, che, anche volendo, non siete più in grado di fare. E, ormai, non ho coraggio forza di rassegnarmi a una vita diversa. J'emporte avec moi vos plus chers souvenirs.... Vivrò quasi nell'atmosfera che voi qui m'avete creata... Cela ne doit pas vous faire de la peine. Vous ne me dites rien! Vous souffrez!

— Non ho niente da dirvi. Riconosco che, nonostante la mia vita d affari, son rimasto un ingenuo. E questo, naturalmente, non può farmi piacere. Spero che serberete un buon ricordo di me. Ormai io sono un estraneo qui... Buon viaggio, signora!

Si sentiva scoppiare il cuore.

— Sei davvero un ingenuo — gli disse il banchiere Ciardi, suo intimo amico, il solo venuto a mettersi a disposizione di lui per quel che potesse occorrergli in quella penosa circostanza. — L'ingratitudine è la pianta che più vegeta nel mondo; l'ingratitudine costituisce poi la gran potenza di certe donne. Io però, nel poco che valgo, vorrei dimostrarti che qualche volta l'amicizia non è nome vano.

Grazierispose Bondòla. — In questo momento non so dirti quel che intendo di fare. Se mai, tu sei la sola persona di cui non potrei mai dubitare. Per ora, caro Ciardi, è bene che io resti nell'ombra. Ho commesso molti sbagli; parte li ho già scontati, parte devo farli dimenticare.

Per quasi un anno, infatti, egli visse fuori della più piccola combinazione di affari. Nel modesto appartamentino dove si era relegato, Vittorio Bondòla passava le giornate studiando le probabilità e i modi di una sua possibile rientrata, fantasticando speculazioni straordinarie, non sentendosi deluso dell'assoluta mancanza di mezzi con cui cominciare ad attuarle.

Del suo ricco patrimonio gli rimanevano soltanto alcune migliaia di lire, ch'egli s'ingegnava di far durarespendendo poco pel suo mantenimento — quanto più lungamente avrebbe potuto. Sorrideva osservando che la necessità lo faceva divenire avaro. Nel suo stato presente, gli era concesso di contare soltanto su il caso, su l'imprevedibile: e per ciò, con una specie di superstizione, ogni sabato mattina andava a fare una giocata al lotto in certo botteghino di poca apparenza e che gli ispirava fiducia. Se fosse riuscito a vincere una quaterna di parecchie centinaia di mila lire si sarebbe slanciato nuovamente e baldanzosamente nel vortice degli affari e avrebbe preso la sua rivincita.

Ora cominciava a sentirne bisogno: ma non voleva aiuti da nessuno; e il solo da cui forse non li avrebbe rifiutati, il Ciardi, aveva sofferto fortissime perdite alla Borsa e nel grosso fallimento di un Istituto bancario straniero.

 

*

*   *

 

Una mattina si era fermato distrattamente a guardare la mostra di un antiquario di sua conoscenza.

Il vecchio ebreo, levatosi dal banco in fondo al negozio, si era accostato alla soglia per salutarlo.

Perchè non entra, signor barone? Ho qualche piccola rarità.

— Oh, io non compro più niente. Voi sapete come sono andate a finire le mie belle raccolte artistiche!

— Pur troppo, signor barone! Possiede però un'opera d'arte che nessuno può toglierle e che ha un gran valore.

Il barone lo guardò con viva curiosità.

Entri, si segga, signor barone. Le dirò una cosa che le farà piacere.

Gli si sedette accanto, e mentre parlava la sua barbetta grigia si agitava sotto il mento come spinta da una molla.

Mesi fa vidi presentarsi qui un vecchio signore forestiero, che giudicai subito americano. Mi mise sottosopra il negozio, comperò parecchia brutta roba pagandola profumatamente; e, sul punto di andar via, mi disse in discreto italiano, quantunque io gli avessi parlato in inglese: — L'unica cosa che comprerei volentieri è un monumento che ho visto ieri al camposanto... Bellissimo! Sembra fatto a posta per la mia povera figlia!... Se fosse possibile, lo ruberei. Ne ho fatto la fotografia! Bellissimo! Bellissimo! — E me la mostrò. Indovini? Era il monumento da lei elevato alla memoria della baronessa! — Dissi: — È costato quasi dugento mila lire — Lo pagherei anche duecento cinquanta mila! — Questi milionari americani si figurano che un monumento si può trafugare come un quadro da un museo o da una chiesa. Frugò un altro po' nella bottega, e poi guardandomi fisso negli occhi mi domandò: — No? — Mi misi a ridere. Che potevo rispondergli?

Il barone si sentì offeso dal sorriso malizioso con cui il vecchio ebreo aveva accompagnato le sue ultime parole.

Proprio il giorno avanti era andato a deporre una bella corona a piè del monumento alla moglie e aveva ricordato con rimpianto i bei tempi nei quali si era potuto permettere quel mirabile omaggio alla memoria della sua cara estinta.

Lungo la via però e in casa, tra l'indignazione suscitatagli dal sordido antiquario, non poteva cacciar via dal cervello una specie d'insinuazione che gli ripeteva quasi all'orecchio la proposta dell'americano. La coscienza si rivoltava, ma già c'era qualcosa dentro di lui che continuava a susurrargli la tentazione: Se fosse possibile!... Un sacrilegio simile? Mai! Mai!... Pure, se fosse possibile! Neppure la sua santa morta potrebbe biasimarlo. Certamente lo aveva biasimato, quando, invece di un modesto monumento, egli profondeva ingenti somme che il caritatevole cuore di lei avrebbe preferito veder impiegate a sollevare la miseria della povera gente.... Oh, no! Non era possibile!... Duecento cinquanta mila lire! E la sua fortuna sarebbe rifatta!... Ma se avesse acconsentito a vedere portar via un solo frammento di travertino o di marmo, gli sarebbe parso di sentir strapparsi un pezzo di carne viva dal cuore!... No, no! Mai! Mai!

Intanto, di mano in mano, al progressivo assottigliarsi delle poche migliaia di lire che gli permettevano di vivere oscuramente, la tentazione diveniva più forte, più insistente. Egli faceva lunghi ragionamenti per convincersi che la santa morta, invece d'indignarsi, avrebbe dovuto esser contenta di veder rifiorire la casa di lui, la «sua» casa, quella stessa dove erano trascorsi i sei anni della loro felicità! Giusto, essa, espropriata da creditori inesorabili, era di nuovo in vendita. Egli vi si sarebbe raccolto come in un santuario, nell'adorazione della memoria di colei che n'era stata la Dea!... E con quest'intenzione era tornato più volte al negozio dell'antiquario, sperando che il vecchio ebreo gli avesse riparlato dell'americano.... Invece gli riparlava dei bei tempi, quando gli affari del barone andavano a vele gonfie, affari grandiosi, colossali (il vecchio esagerava un po'), e c'era... pane per tutti, anche per gli antiquari! Vittorio Bondòla rientrava nel suo silenzioso appartamento, scoraggiato, deluso.

Ma una mattina, uscito di casa con una strana previsione, trasalì alla voce del vecchio ebreo che incontratolo per via gli disse:

Sa, signor barone? È tornato quell'americano di cui le parlai tempo fa. È matto. Si è fissato di voler comprare il monumento. Darebbe anche trecento mila lire! Per gli americani non c'è niente d'impossibile. Mi ha fin promesso venti mila lire di mancia! Forse fa il generoso perchè sa che questa mancia non dovrà sborsarla mai... E vuole la risposta. Ha fretta, dice.

— Se siete un uomo! — gli rispose in un orecchio il barone. — Il contratto dovrebbe sottoscriversi a Milano. Alle ventimila lire di mancia dello americano, ne aggiungo altre dieci mila io... Ma, silenzio... di tomba! È proprio il caso!

 

*

*   *

 

Quando si seppe che il magnifico monumento elevato dal marito alla memoria della baronessa Bondòla stava per essere accuratamente demolito, comprato per mezzo milione da un miliardario americano — non si nominava precisamente chi — fu un coro di indignazione nel pubblico e nei giornali. Come le trecento mila lire erano diventate, di bocca in bocca mezzo milione, così quando i giornali annunciarono, con minute particolarità, la partenza da Napoli del piroscafo noleggiato a posta per trasportare il monumento a Nuova York, il mezzo milione si arrotondò, su le colonne della cronaca, a dirittura fino a un bel milione. Qualcuno ebbe allora il coraggio di dichiarare che il barone Bondòla non aveva venduto un monumento funebre, ma una opera d'arte, cosa perfettamente diversa; e molti invidiarono il fallito che aveva potuto rifare in parte la sua fortuna, ed ora, dopo tanti dolori, si godeva la vita a Parigi, poichè a quarantacinque anni si è giovane ancora e si ha diritto di accettare la felicità da qualunque parte ci venga.

A Parigi egli era andato, sì, ma non «per godersi la vita», come sospettava la gente. Aveva depositato presso la Banca di Francia quasi intera la somma delle trecento mila lire, ed era vissuto due mesi colà come avrebbe potuto vivere in un oscuro paesetto, assillato dal crescente rimorso di aver potuto lasciarsi indurre a quel sacrilego mercato.

L'amico Ciardi era stato incaricato di far sostituire un piccolo ma artistico ricordo al monumento della baronessa, ed ora egli riceveva da Nizza, per ordine del barone, ogni venti del mese, un gran cesto di fiori commemorativo, perchè fosse sparso su la nuova tomba della Morta adorata, che diveniva pel cuore di lui più viva che mai.

E di questo era contento come di un'invocata espiazione.

Se non che la Morta, di giorno in giorno, eccedeva.

Appena il pensiero degli affari tornava ad affacciarsi alla niente di lui, egli sentiva dentro di un rimprovero sempre più aspro, sempre più reciso, una specie di divieto di toccare quel danaro ottenuto con la vendita di una cosa oramai appartenente a lei, la sua dimora ultima, il luogo del suo eterno riposo. Ora vi abitava un'altra, vi dormiva tranquillamente un'estranea! E lei aveva dovuto attendere che le avessero preparato un misero letto, nel quale erano state messe a giacere le sue povere ossa, ma dove ella non riusciva a rassegnarsi a riprendere il gran sonno; ed errava, notturnamente e gli stava attorno inquieta, gelosa per impedirgli, a ogni costo, di servirsi di quel deposito della Banca di Francia.

Il barone Vittorio Bondòla capiva benissimo che tutto questo era lavorio della sua immaginazione e faceva sforzi per vincerlo, imponendosi di andare alla Banca, di ritirare parte del danaro, di riprendere a poco a poco la sua vita di affari; ma ogni volta che era arrivato davanti allo sportello dove avrebbe dovuto eseguire la sua operazione, trovava sempre una scusa per tornare indietro, un futile pretesto per rimettere a un altro giorno quel che gli sarebbe costato soltanto un po' di pazienza, schierandosi in fila con coloro che erano arrivati a prendere posto prima di lui.

Si rampognava questa viltà. Andava a letto deciso di fare domani quel che non era riuscito a fare giorni avanti; ma durante la nottata, egli provava l'impressione di essere stato scosso da una mano irritata, e di aver sentito pronunciare le parole: — Non lo farai! Non devi farlo! — Ed era proprio il suono della gentile voce della Morta, con qualcosa di supplichevole e di imperioso che lo turbava immensamente.

Poi, a intervalli, durante la giornata, aveva la viva sensazione della presenza di Lei, che gli ripeteva: — Non devi farlo! Non lo farai! — E non sapeva resistere all'impulso di risponderle, di supplicarla di cessare dal tormentarlo. Non era una vanità indegna di lei il doloroso pensiero di quel monumento, che ora doveva esserle anzi di consolazione, se il prezzo di esso poteva servire a sollevarlo della povertà in cui era caduto?... Sì, era vero, per colpa sua! Sì, era vero, lo aveva travolto anche un vento di follia per quella miserabile straniera... Ma non l'aveva amata neppure un istante... Ora voleva redimersi, far risorgere il suo nome, la sua fortuna.... E un giorno, chi sa? avrebbe potuto riconsacrarle... Ci pensava talvolta...

E si eccitava, e s'irritava contro di Lei che più non lo lasciava in pace notte giorno, e non era possibile di sfuggirla. Vagava su e giù per quel Parigi dov'egli viveva isolato, come smarrito, pauroso che ignoti nemici gli insidiassero il quasi intatto tesorotesoro per lui — che doveva servire alla sua resurrezione di uomo d'affari; e, spesso, a poco a poco, dal suo ragionamento, anzi dal suo dialogo interiore con la Morta, passava ad alzare la voce, a gesticolare, con maraviglia delle persone che lo incontravano e si fermavano, curiose, a osservarlo.

Un giorno, accortosi di questo, egli si avvicinò a un signore che si figurò lo guardasse con maggior interesse degli altri, e cercò di spiegargli, per scusarsi:

— È lei, mia moglie!... Notte e giorno! Infine... monsieur, c'était de l'argent à moi: j'ai commis la folie de le depenser pour elle... elle...

Celà ne me regarde pas!

E il signore si era allontanato crollando la testa per compassione di quello sconosciuto che gli era parso un po' fuori di .

Nella nottata il disgraziato non aveva potuto chiudere occhio. Da parecchie notti già dormiva a sbalzi, svegliandosi di soprassalto, rabbrividendo al cadenzato rumore di passi che gli sembrava di udire nella camera, al lieve fruscio di vesti femminili attorno al letto, al soffio di un respiro affannato che gli sfiorava la faccia.

— Sei tu? — domandava col terrore nella voce.

— Son io, sì! — gli sembrava di sentirsi rispondere.

Va via! Ormai tu sei morta! Lasciami vivere... Non mi vuoi più bene? Non mi vuoi più bene?

E attendeva ansiosamente la replica.

Intanto aveva trovato, a tastoni, il commutatore della lampada elettrica... Niente! Nessuno!

Si toccava la fronte bagnata di freddo sudorino, si toccava le mani diaccie, e pensava:

— Sono malato di nervi... L'inerzia mi uccide. Bisogna riprendere la vita attiva, agitata di una volta... Ma come dubitare?... Era Lei poco fa!.. Non vuole! Non vuole!

E rimaneva lunghe ore seduto sul letto, con gli occhi sbarrati, in orecchio... Niente! Nessuno!

Ogni notte così.

Gli pareva impossibile di essersi ridotto a questo punto. In certi momenti aveva coscienza che qualcosa gli si disgregasse nel cervello; ma da a poco, si abbandonava, lasciava fare... In che modo opporsi?...

Eppure quella mattina aveva fatto lo sforzo supremo d'andare alla Banca, di attendere il suo turno davanti allo sportello dei pagamenti.

Presentò al cassiere il libretto di deposito:

Le formalità lo impazientirono. Si sentì invadere dal sospetto di una facile intesa del cassiere con Lei, con la Morta, che voleva, a ogni costo, impedirgli di ritirare il danaro; e cominciò a pestare i piedi, a borbottare sottovoce. Poi, quando il Cassiere prese a contare lestamente i biglietti di Banca, egli alzò il braccio e tentò di stendere la mano...

— Ah! — si diè a gridare: — Mi afferra pel braccio! Mi irrigidisce la mano! Non vuole!... Non vuole!

Il Cassiere ritirò i biglietti, comprendendo subito che l'esibitore del libretto non era in istato normale.

Accorsero due uscieri; qualcuno dei presenti tentò di calmarlo. Il barone, furioso, si dibatteva urlando:

— Mi afferra pel braccio!.. Mi irrigidisce la mano!

Era improvvisamente impazzito.


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