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Ed è finita!
Da qualche giorno in qua sentivo un'inesplicabile oppressione di animo, e mi domandavo spesso:
— Che hai?
Io soglio parlare con me stesso quasi rivolgessi la parola a un'altra persona. La nostra anima dev'essere doppia, altrimenti non saprei come spiegarmi questo gioco di domande e risposte, di rimproveri, di dilucidazioni, di scuse, di compatimenti, di scherni che avviene dentro di me anche in circostanze che non hanno niente di straordinario.
Ho notato che l'altra, se ne sta nascosta.... dove? Nel cervello? Nel cuore?... Chi lo sa? E non è punto di accordo con l'anima, dirò così, palese che si manifesta nelle azioni, nel carattere, in quella che vien chiamata personalità, e ci distingue dai parenti, dagli amici, da tutti.... Non mi so esprimere bene; ma non importa. Io mi capisco benissimo; e questi appunti sono scritti unicamente per me, per quando sarò vecchio e la memoria mi verrà meno, e avrò la curiosità di conoscere il mio passato.
Dovrà essere, credo, un'impressione stranissima quella di veder ridestarsi fatti, sentimenti, pensieri e ravvisarli per miei e, nello stesso tempo, forse dubitare che siano mai stati miei.
Così quando leggerò: Ed è finita!... rimarrò stupito davanti a questa esclamazione che troverò ripetuta parecchie volte in questi appunti.... Credo che sia la quinta o la sesta volta che mi càpita di scriverla, e probabilmente non sarà l'ultima. Potrei accertarmene riscontrando i precedenti quaderni; sarebbe un'inutile perdita di tempo: quel che è scritto non va via.
Ecco; ora mi ricordo che dovrei ricopiare il primo quaderno scritto con inchiostro di anilina che già comincia a scomparire. Infine, non sarebbe un gran danno. Molte cose degli anni scorsi vorrei scanellarle a dirittura dalla mia e dalla altrui memoria. E invece, a farlo apposta, sono quelle che rimangono più indelebili!
Se la natura fosse giusta, dovrebbe compensarci degli anni che ci ha fatto vivere inutilmente. Io ne sarei in credito con lei d'una ventina. Dato che potessi camparli, li impiegherei assai assai meglio, certamente.
— No? Anzi peggio?
È l'altra anima, la contradittrice, che me lo suggerisce in questo punto. Che ne sa lei? È profetessa?
Sempre così! Se io dico: bianco! lei sùbito: nero!
Ma lasciala dire, caro mio; e riprendi il filo del discorso, cioè di quel che stavi per scrivere.
Da qualche giorno in qua, dunque, sentivo un'inesplicabile oppressione di animo e mi domandavo spesso:
— Che hai?
Avrei dovuto essere allegro anzi, perchè, contrariamente, a ogni mia aspettativa, le trattative pel mio matrimonio andavano bene.
Le seste trattative!
Giacchè da tre anni in qua, io, che fino allora non avevo mai voluto sentir parlare di matrimonio, mi ero lasciato convincere dalle esortazioni di parecchi miei amici che avevano recentemente sposato e si dichiaravano felici.
Ah! Come avevo ragione di voler rimanere celibe e invecchiare senza famiglia! Ero solo solo al mondo e me ne trovavo bene. Di tratto in tratto mutavo di famiglia mutando casa, e la mutavo spesso. Mi ero accorto della malizia delle padrone di pensioni. Nei primi mesi mi trattavano delicatamente, poi, a poco a poco.... quasi si fossero rese indispensabili per me! Ottenuto stabilmente il mio posto al Ministero della Guerra, avevo trovato una bella camera in casa di una vedova in Via delle Finanze. Fu la mia vigilia di armi! Quel che soffersi con quella vedova arpia.... è incredibile; ma più incredibile è la mia stupidaggine di non aver saputo risolvermi ad andar via! Dopo però... non sono mai rimasto più di tre, quattro mesi nella stessa famiglia.
A ogni cambio di domicilio, i miei compagni di ufficio che mi volevano bene, a modo loro... mi esortavano:
— Prendi moglie! Prendi moglie! Fa' come noi!
Bisogna che io fissi su queste carte le mie idee di allora intorno alla donna, al matrimonio e alla famiglia.
La donna? Una creatura malefica, per la quale io avevo un'istintiva repugnanza, sia che fosse estremamente bella o estremamente brutta. Le mie padrone di casa non erano tutte vecchie; alcune avevano sorelle e figlie tali da tentare un giovane di ventisei anni come me; ma io stavo sempre in guardia, all'erta per difendermi da ogni possibile allettamento che stimavo dovesse produrre la mia rovina.
Non ero orso, nè screanzato; e certe volte mi divertivo col pericolo, tanto mi sentivo sicuro di me stesso. Lo scherzo però durava poco. Una mattina o una sera, secondo l'occasione, assumendo un'aria contristata, annunziavo:
— Sa, signora? Sono costretto a lasciare la camera. È inutile che mi domandi perchè; la mia volontà non c'entra per niente. Mi trovavo così bene con lei, con le signorine! Mah!....
Pagavo il conto, e sgomberavo.
I miei colleghi di ufficio mi chiamavano: L'Ebreo errante delle pensioni.
— Ti stancherai. A una certa età ci vuole una famiglia. Prendi moglie! Prendi moglie! Fa' come noi!
Appunto non volevo fare come Ruggeri che, appena dopo un anno e mezzo di matrimonio..... Ma lui era filosofo — se lo diceva da sè — prendeva il mondo come vien viene. Fingeva di non accorgersi, o non si accorgeva davvero, di nulla. Io la filosofia l'avevo vista da lontano, a scuola, e m'era parsa sempre una gran grulleria. E poi, sapevo per prova che la filosofia non solamente non preserva, ma non ci rende pazienti, nè sempre mette ai mariti una benda su gli occhi.
Carlucci, l'altro mio compagno di stanza nel Ministero della guerra, aveva preso una bella moglie, con discreta dote, e buona, a quel che sembrava; ma con tutto ciò, non ostante che si dichiarasse felice, felicissimo, era tormentato dalla gelosia; faceva e faceva fare una vita d'inferno anche alla sua signora... E avea viso intanto di ripetermi pure lui: Prendi moglie! Prendi moglie!
Due esempi molto incoraggianti!
Se il codice permettesse il divorzio — ma non come in Francia, in Inghilterra, in Isvizzera... in America, con tante formalità da far perdere la pazienza fin a un santo; il divorzio come lo intendo io: — Addio! Ti saluto! — Tu ver Gerusalemme, io ver l'Egitto, dice il poeta... Dante o un altro. È un verso che tutti citano; io l'ho appreso dalla bocca della gente — oh, allora il prender moglie sarebbe una gran bella cosa!
E in quanto alla famiglia... Eh? Dover sfacchinare per provvedere ai bisogni di sette, otto, dieci persone: vestiti, scarpe, nutrimento, tasse scolastiche, e un po' di dote per le ragazze, che altrimenti ci spighiscono in casa...!
Corazzato da queste convinzioni...
— Sciocche? Sciocchissime? —
E l'altr'anima, la contradditrice, che me lo suggerisce in questo momento. Chi l'ha invitata a rispondermi? Di che si mescola?
Insomma, anche a dispetto di essa, io la pensavo così; e fino a ventisei anni, i suggerimenti, i consigli dei miei colleghi di ufficio — e fossero stati di loro soli! — mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall'altro.
Ma un povero diavolo è forse fatto di acciaio? Picchia oggi, picchia domani: — Prendi moglie! Prendi moglie! — e un giorno, quasi per stanchezza, risposi a Ruggeri e a Carlucci:
— Trovàtemela voi! L'accetterò a occhi chiusi! Quasi si fosse trattato di un oggetto qualunque!
Ma può darsi che in quel momento non parlassi proprio sul serio. Mi sembrava buffo che un altro potesse cercare e trovar la donna che dovevo sposare io, ragazza o vedova, a sua scelta.
Mi accorgo che comincio a invecchiare; ripeto cose che ho già scritte nei precedenti quaderni: è cattivo indizio. Dico invecchiare di mente, se non di corpo. Oggi ho quasi trent'anni, e non me li sento pesare addosso. Ma in quanto alla intelligenza, sembra che la vecchiaia possa anticipare di molto. Ruggeri e Carlucci mi rimproverano spesso il mio modo di pensare da vecchio! Avrebbero dovuto dire: da assennato.
— Se tutti ragionassero come te, il mondo finirebbe in meno di un secolo!
— E se finisse, che male ci sarebbe? — rispondevo io.
Eppure l'uomo è un impasto di contradizioni! — mi ero lasciato indurre per la sesta volta —la sesta! capite? — a ripetere la solita risposta:
— Trovàtemela voi!
C'era però una fine ironia in quell'apparente bonarietà di rassegnata aspettativa. Si erano provati cinque volte, (tre Carlucci, due Ruggeri); e quando tutti già credevamo, io non meno di loro, che ogni cosa fosse bell'e combinata, arrivava il Diavolo e ci metteva la coda. Ce la metteva forse un Angelo mio protettore, ammesso che anche gli angeli abbiano la coda. Non lo sappiamo, ma può darsi; non era Angelo il Diavolo prima di dannarsi? E se la portò con sè all'inferno.
Dopo questa ultima volta — la sesta! — non vorrò mettere il mio Angelo protettore con le spalle al muro. Non gli darò più nessuna noia di occuparsi di me a proposito di matrimonio. Se commettessi la balordaggine di insistere, meriterei di essere, dirò così, più Ruggeri di Ruggeri.
Povero diavolo! Ne ho saputo una ieri.... Pare impossibile!... Se non è ceco, è a dirittura un gran filosofo. Mi fa compassione e lo ammiro.
Questa volta — la sesta! — la sposina me l'avea trovata lui. Sposina nel più semplice significato della parola. Io, che sono di statura un po' alta, sarei parso un mezzo gigante a fianco di lei. Era però ben proporzionata e, se non proprio bella, neppure brutta. Ma in omaggio alla sua statura, ella voleva fare la bambina, la piccina nelle mosse, nelle risate, — rideva a ogni po', tra una frase e l'altra, e anche tra una parola e l'altra — per darsi aria di ingenua, di graziosa, e guardava in viso la gente quasi domandasse: È vero che sono carina?
Mi venne additata per Via Nazionale, e la prima impressione fu poco sodisfacente.
— Ma è una bambina!
— Ha ventitrè anni; non se li nasconde.
— Ne avrà forse di più — disse malignamente Carlucci, che cercava anche lui.
Aveva trovato anzi; mi confessò, dopo, che, era rimasto molto male vedendosi sopravanzato da Ruggeri.
— Sei fortunato — mi confortava questi. — Non è facile incontrare una donna che sembri più giovane che non è. Le donne, per tante ragioni, invecchiano più presto degli uomini, e non fa punto piacere vedersi attorno una moglie grinzosa che sembra una nonnina.
L'impressione fu più disastrosa il giorno della presentazione ufficiale. La signorina volle fare la spiritosa, la birichina, e in certi momenti avevo dovuto frenarmi per non rizzarmi da sedere, somministrarle qualche paio di scapaccioni, e levarle la voglia di ricominciare.
Uscii da quella prima visita irritato e prostrato; e non lo nascosi a Ruggeri.
— Caro mio, se ti disanimi per così insignificanti piccolezze! Sì, me ne sono accorto. La signorina ha voluto strafare, come un sonatore di violino che intendesse di dare un saggio della sua straordinaria abilità. Non badarci. Ti assuefarai.
Parlava da vero filosofo. Infatti, dopo una dozzina di visite, cominciavo ad assuefarmi. Pensavo:
— Quando sarà mia moglie, in casa mia, potrò dirle: Giacomina — si chiamava Giacomina — è inutile continuare a far da bimba, a ridere senza ragione, a moversi come una cutrettola, a dir sciochezzole per mostrarsi spiritosa. Sei padrona di casa ora non fidar troppo su la donna di servizio...
La mattina preparandomi ad andare all'ufficio, la sera spogliandomi per mettermi a letto, declamavo il predicozzo con sussiego, quasi Giacomina fosse là ad ascoltarmi; vi facevo aggiunte, varianti, secondo i casi della giornata. E mi rallegravo con me stesso dell'abilità con cui già recitavo la mia parte di marito serio e previdente.
Intanto la trattavo da bella bimba, recandole ogni sera scatole di cioccolatini — n'era ghiotta — di confetti, di biscotti, di marrons glacès. Se li sgranava durante la conversazione, quasi senz'avvedersene. Li riversava in grembo alla mamma: e tra una parola e l'altra stendeva la mano, porgeva un cioccolatino a me, un confetto alla signora Sibilla — la mamma — un biscotto a Ruggeri, che mi accompagnava per paura che io commettessi qualche imprudenza da mortificare la signorina facile a imbroncirsi per un nonnulla.
La signora Sibilla mi sembrava misteriosa, impenetrabile. Sarebbe riuscita una terribile suocera, giacchè era convenuto che doveva abitare con noi. Ruggeri mi assicurava che avrei trovato in lei una tenera mamma. Ma Carlucci, un giorno, si lasciò scappare di bocca — forse per esperienza — che non c'è peggio delle suocere che vogliono far da mamma. Rimasi pensieroso. Mi atterriva l'idea di dover convincermene a mie spese. Cominciai a notare che ella, soleva troncare ogni discorso intorno all'avvenire con poche parole fredde fredde: — A questo si penserà poi! — E pareva volesse significare: A questo provvederò io. — Una vera Sibilla!
Ora io volevo che a certe cose non si pensasse poi. Volevo patti chiari. Aveva un bel dirmi Ruggeri:
— Caro mio, tu sei minuzioso! Hai un carattere difficile. Nel matrimonio bisogna fare a giova a giova.
Fino a che, punto? Questo era l'importante.
Una sera mi permisi di dire a Giacomina:
— Dovresti cominciare ad abituarti a far da padrona di casa.
— Se tu credi che io debba stare con tanto di muso perchè avrò commesso la... la...
Esitava a metter fuori la parola che aveva su la punta della lingua...
...la stupidaggine di prender marito....!
— Grazie! La chiami stupidaggine?
— Ti pare che sia qualcosa di meglio?
— Ecco: pur di dire una pretesa spiritosaggine....
— Perchè il marito sarai tu? Ma tu o un altro per me vale lo stesso.
E si mise a canticchiare
della Traviata: e, dalla stizza, stonava un po'.
Guardai la signora Sibilla; era occupata a svolgere la stagnina di un cioccolatino. Guardai Ruggeri; aveva cavato fuori il porta-sigarette ed era intento a premere fra le dita una sigaretta troppo dura. Tornai a fissare lei, Giacomina, che aveva gli occhi sopra di me; rise, mi fece una mossa con le labbra e con la testa, che poteva essere un affettuoso rimprovero o un gesto di canzonatura, e mi porse un confetto. Io, piccato, non stesi la mano; e lei se lo mise sùbito tra i denti e cominciò a stritolarlo con gusto.
E tra due mesi avremmo dovuto essere marito e moglie!
Mi sentii invadere di nuovo dalla mia diffidenza. Aveva voglia Ruggeri di ripetermi: — Tu sei minuzioso! È il tuo principale difetto. — La vita è fatta di minuzie. Peggio per chi non lo capisce. — E ci mancò poco, una volta, che non gli dicessi brutalmente — Se tu badassi alle minuzie, ti avvedresti... — Ma sarebbe stato crudele, e da vero ingrato, perchè lui intendeva di farmi del bene, procurando che sposassi una signorina con discreta dote, cosa che a questi lumi di luna non è molto facile.
Certamente la dote non era disprezzabile. Ma io, ragionando da vecchio, all'antica, come mi giudicava Ruggeri, pensavo anche alle doti; e se di queste Giacomina ne aveva parecchie, non erano precisamente quelle che io preferivo di trovare in colei che doveva essere la compagna della mia vita.
Invano Ruggeri ora si abbandonava a insolite volate liriche intorno alla futura mia casa che sarebbe continuamente rallegrata da sorrisi, da motti allegri, da lunghe risate; da un viso di donna raggiante di luce gioconda su la fronte, negli occhi, su le labbra; da continue vibrazioni di lieta giovinezza, poichè Giacomina era di quelle eccezionali creature che non invecchiano mai. Io non correvo col pensiero alla tarda età — se pure vi sarei arrivato! — mi interessavo del prossimo avvenire, e provavo un turbamento, un dispetto vivissimo di essermi lasciato indurre a tentare la sesta prova. Mi sembrava enorme da parte mia.
E facevo l'esame di coscienza intorno a quelle cinque, sfumate più presto, per una ragione o per un'altra, come si può riscontrare nei precedenti quaderni. In che modo mi ero lasciato balordamente allettare questa volta fino al punto....?
Quella mattina egli era fuori della grazia di Dio per una scenata avuta con sua moglie. Non l'accusava di niente, di testardaggine soltanto.
— Ma si comincia così! — si sfogava. — E se io non voglio che.... significa che... M'intendo io!
Lo lasciai parlare, dandogli ragione, facendo il mio dovere di amico. Poi gli esposi il caso in cui mi trovavo. Rispose:
— Non te l'ho voluto dire prima per non darti un dispiacere, per non fare un torto a Ruggeri, per non aver l'aria di voler vendicarmi... di essere stato sopravanzato; e poi perchè sarebbe stato troppo tardi. La signorina che volevo proporti è già sposa felice, adorata. Questa ci voleva per te, non una gran civettona, che ha fatto all'amore con cento, senza riuscire a farsi sposare da nessuno. Non mi maraviglio di Ruggeri. Non vede niente in casa sua; figuriamoci in casa di altri! Ma tu, col tuo bon senso, con la tua renitenza al matrimonio, col tuo quasi feroce odio contro la donna, avresti dovuto sùbito capire...
Se non sùbito, avevo però capito in tempo. Tutte le donne mi parvero in quel momento altrettante Giacomine, più o meno alte, più o meno grasse, più o meno allegre, più o meno spiritose, ma tutte evitande, evitandissime! E non bisognava indugiare di romperla, per non trovarmi troppo compromesso. Noi uomini siamo fatti così: abbiamo l'imbecille sentimento della parola data, e teniamo a mostrarci coerenti, anche quando siamo certi che ne avremmo irreparabile danno.
Stavo per cascarci anch'io. Ma quella sera il Diavolo o il mio Angelo custode, tutti e due forse, ci misero la coda.
Giacomina, vedendomi arrivare senza cioccolatini, nè confetti, nè altro, fu presa da stizzoso malumore. Non sapeva come tener occupate le mani, si mordeva le labbra, aveva frequenti colpi di tosse, mi rivolgeva appena la parola, assaliva con stramberie il povero Ruggeri che sembrava su le spine. Tutt'a un tratto si volse a me, domandandomi se mi piaceva di andare in automobile.
— Non ho mai provato... e non proverò: è troppo pericoloso.
La mia risposta fu accolta con una mossaccia.
— Io andrei in automobile giornate intere, a corsa sfrenata...
— A costo di schiacciar la gente? — la interruppi.
— Si scanzi in tempo!... Oh! Veggo che non ci intendiamo.
— Pur troppo!
— Ripensateci quando avrete un'automobile! — fece Ruggeri, insinuante.
— Non ci intenderemo neppur allora — replicò lei, piccata.
— Pur troppo!
E istintivamente mi rizzai da sedere.
— Se la prendi su questo tono... Se ti figuri...!
— È il mio tono: e non mi figuro niente! Con chi l'ha questa sera? —
La signora Sibilla intervenne col suo glaciale atteggiamento di futura suocera autoritaria.
— L'ho con me, che sono uno stupido, un cretino.... La signorina ha detto benissimo: Non ci intendiamo e non ci intenderemo mai! È prudente, signora, di non arrivare a questo dolorosissimo mai!
— Ma... Carli! Ma... Carli — ripeteva Ruggeri tentando di calmarmi. — Per una cosa di niente, per un'opinione, per un particolare apprezzamento!... Io sono nel tuo caso: maledico chi ha avuto la delittuosa idea d'inventare la automobile. Mia moglie invece...
— Ma tua moglie fa tanti altri inveci, e tu... la lasci fare!
— Quali altri inveci? Che intendi di dire?
— Scusa: niente di male. Ti spiegherò....
Avrei voluto, se fosse stato possibile, ringoiarmi quelle inopportune parole. Continuai:
— La signorina ha detto... ed ha fatto bene a dichiararlo in tempo... che non c'intendiamo....
— E che non c'intenderemmo anche quando... — interruppe Giacomina inviperita.
Ruggeri mi prese per un braccio, e mi trascinò via... E per le scale esclamava:
— Malintesi! Malintesi di poco conto! Se duravate un altro po', accadeva una rottura.
Avevo tratto di tasca un grosso lapis blu, e segnavo con esso un gran crocione sul muro della scala.
— Se tutti ragionassero come te!... Mi dispiace che io ci sia cascato la quarta volta.... Dovresti fartela di legno una sposa, o di terracotta!
— Di terracotta, se mai; da ridurla in pezzi in un attimo, occorrendo.
— Se tutti ragionassero come te — egli ripetè la sua sentenza — il mondo finirebbe in meno di un secolo!
— E se finisse che male ci sarebbe?
— ?...
— Ti ridurrai a sposare una lurida servaccia di qualche pensione!
Non lo dissi, ma lo pensai, e feci lo scongiuro di rito.
Ruggeri mi ha tenuto broncio quasi un mese; poi, questa mattina mi ha steso la mano. Voleva dirmi qualche...
(Lo scartafaccio, disgraziatamente, non va più in là.)