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Non era di legno, con la testa di porcellana e i capelli di seta; era di carne e di ossa e aveva nove anni. La sua mamma la chiamava così per vezzo, e perchè veramente quella bambina faceva per lei le funzioni di puppattola e nient'altro.
Bianca, con le guance paffutelle e rosee, con capelli biondissimi e grandi occhi azzurri, Lidia sembrava fatta a posta per servire da giocattolo a una mamma vanitosa e orgogliosa come la signora Bellotti.
Il babbo era troppo occupato in cento affari lucrosi da badare a quel che faceva sua moglie per viziare la figliuola.
La vedeva a colezione, a desinare, nei momenti di parata, vestita bizzarramente, addestrata a rispondere, a fare inchini, a distribuire baci, e se ne compiaceva anche lui.
– È un amore!
– È un angiolo!
– È un miracolo!
Lidia se lo era sentito ripetere tante e tante volte dalle signore amiche della mamma, che ormai era convinta di meritarsi quelle lodi, e assumeva perciò una gravità, un sussiego che dispiacevano tanto al cuginetto Poldo, della stessa età di lei, il quale l'avrebbe voluta allegra e chiassona tutte le volte che si trovavano assieme. Invece, se Poldo la prendeva per mano e voleva trascinarla in giardino, Lidia si staccava bruscamente, rimproverandolo:
– Mi guasti i riccioli!... Villano! –
O pure:
– Bada! Mi sgualcisci il vestito! –
O pure:
– Mi strappi le trine! Come sei goffo! –
Un giorno Poldo, indispettito, cominciò a canzonarla:
– Che scatola?
– Una scatolona tutta imbottita di raso azzurro.
– Dov'è? Che c'è?
– Per chi?
– Per riporvi te. Così non ti si guasteranno nè riccioli, nè trine, nè nulla!
Lidia ricorse, piagnucolando, dalla mamma:
– Senti, mamma, che dice Poldo? Dice che hai fatto fare una scatolona per ripormici!...
– Non voglio essere canzonata!
– Poldo! Poldo! – lo sgridava la sua mamma.
– Ma se è vero! Vuole stare là, impalata!
– Come una bambina per bene. Poldo! Poldo!
Poldo fece una spallucciata: poi si accostò a Lidia:
– Ebbene, andiamo dunque a passeggiare in giardino? –
E calcò un po' la voce su la parola passeggiare.
Lidia si lasciò persuadere, dopo che la sua mamma e la zia le dissero:
Ella camminava lentamente, facendosi vento col ventaglino, e parlava a Poldo quasi fosse un signore, non un bambino suo pari:
– Queste rose si chiamano: «Marechal Ney».
– Ah! – faceva Poldo, grave con le mani dietro la schiena.
– Ora noi andiamo ai bagni, a Livorno. Mi divertirò come l'anno passato. La mamma mi ha fatto fare un bel costumino.
– Ah! – ripete Poldo, mettendo un piede davanti all'altro quasi camminasse su le uova.
– L'anno scorso, colà tutti mi davano fiori, confetti, gelati...
– Ah! Ah!
– C'era un signore che mi diceva: «Questa è la mia moglina...». Quello che poi ha preso Lilla Maggi.
– E ti ha lasciata?
– Era per chiasso, come sei stupido! Elena Rosi non ti diceva l'altra volta: «Ecco il mio maritino?!».
– Ma io le risposi: «No, sei brutta; non ti voglio».
– Quel signore non era brutto... E voialtri dove andate? –
Poldo si rimise con le mani dietro la schiena, assunse un'aria seria seria, e lentamente rispose:
– Andiamo... nella mia villa, a Colsano!
– Tua! Del tuo babbo.
– Mia, me l'ha detto il babbo.
– Tra' contadini! A Livorno, sono tutti signori e signore...
– Lei tra i signori e le signore... noi tra i contadini! –
E avanti che Lidia si rimettesse dalla sorpresa di quel lei strascinato con un grande inchino da Poldo, egli era scattato
– Ma fammi il piacere! Sei una mummia! Vuoi correre? No? –
Non aveva ancora finito, che in quattro salti era già in fondo al viale, arrampicato all'albero di magnolia.
– Ecco come si fa a Colsano! – le gridava di lassù. – Noi contadini corriamo, inseguiamo farfalle, chiappiamo grilli pei prati, ranocchi negli stagni... o nidi su per gli alberi... Marmottina, monta quassù, se ti riesce!
– E Poldo? – le domandò la zia, vedendola rientrare sola in salotto.
– Si è arrampicato su la magnolia. Mi ha lasciato sola! –
La mamma, per consolarla, l'abbracciò, la baciò, le passò la mano sui capelli e, rivolta alla cognata, disse ridendo:
– Due cugini che non se la intendono! È strano.
–Mi ha detto anche: marmottina! – aggiunse Lidia, ma con una intonazione e un atteggiamento così sdegnoso, più da donna che da bambina, che la zia, aggrottando le sopracciglia, e fingendo maggiore sdegno:
– Oh! E tu che gli hai risposto?
– Niente; io non sono maleducata!
– Queste cose non si dicono – l'avvertì la mamma sorridendo e non celando un po' di soddisfazione per la risposta. – Si pensano, e non si dicono.
– Ma le dico senza pensarci tanto!
– Cara! – esclamò la zia, non nascondendo il vero significato di questa esclamazione. E soggiunse: – Va', fammi il piacere di chiamare Poldo; dobbiamo andar via. –
Lidia si sciolse dalle braccia della mamma e con aria seccata suonò il campanello.
– Chiamate il signorino, Maria, – ordinò alla cameriera. – È in giardino, su la magnolia, o là accosto. –
– La zia ti aveva detto di andare te – le disse la mamma.
– Se andavo a chiamarlo io, Poldo non veniva su, per farmi dispetto. –
La mamma la baciò con tenerezza.
–Tu la vizii questa bambina! – le sussurrò in un orecchio la cognata. –
– È così seria! Ti sembra una bambina?
– E questo è il male! – replicò la cognata.