Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
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SCIMMIOTTO.

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SCIMMIOTTO.

Chi gli aveva affibbiato quel nomignolo? Nessuno lo sapeva. Sembrava lo avessero proprio battezzato così; ed egli si era talmente abituato a non essere chiamato altrimenti che, le rare volte che qualcuno si rivolgeva a chiamarlo col suo vero nome, non si voltava sùbito, non accorreva; dubitava non volessero un altro.

Era rimasto solo al mondo quando aveva appena cinque anni. Babbo, mamma e una sorellina gli erano morti di coléra lo stesso giorno. Una povera donna lo aveva raccolto per carità: ma poi era morta anche lei; e il bambino si era messo a chiedere l'elemosina e a fare qualche piccolo servigio.

D'inverno, dormiva in uno stallatico, su un rialzo di muratura accanto alla mangiatoia delle bestie che rosicchiavano la paglia e l'orzo e scalpitavano continuamente. Da principio, quantunque egli avesse gran sonno, quel rumore lo aveva tenuto sveglio tutta la nottata; poi non vi aveva badato più; anzi il monotono rosicchiare e lo scalpitare quasi cadenzato servivano a conciliargli meglio il sonno su quel po' di strame e sotto quello straccio di lana che avrebbe dovuto essere una coperta e non arrivava a coprirgli i piedi.

, però, coi fiati degli animali, col calore che si svolgeva dal concime raccolto nella fossa laggiù, egli stava calduccio, e vi schiacciava bei lunghi sonni fino all'ora che il padrone dello stallatico non gli gridava:

Scimmiotto! Eh! Scimmiotto! –

Per compenso dell'alloggio doveva spazzare la stalla, rammassare il concime e buttarlo nella fossa in fondo allo stanzone; nient'altro.

Faceva presto. I carrettieri, i passeggeri erano già quasi tutti partiti prima dell'alba. Rimanevano soltanto qualche mula e qualche cavalla legate alla mangiatoia, distanti l'una dall'altra.

Ci fossero stati anche parecchi animali, egli non avrebbe avuto paura di aggirarsi dietro a loro, di ficcarsi sotto la pancia di essi per passare da un punto all'altro e ripulir bene fin tra le loro gambe. Sembrava che quelle bestie non si curassero di lui, così piccino. Si lasciavano prendere per la coda, si lasciavano grattare i fianchi o accarezzare il ventre come pareva e piaceva a lui, e continuavano a rosicchiare paglia e biada, senza avere mai la tentazione di tirargli un calcio e scaraventarlo al muro.

Terminato di spazzare, Scimmiotto correva a lavarsi nella pila che serviva da beveratoio per le bestie, si asciugava faccia e mani col primo straccio che gli capitava nella cucina della bettola unita allo stallatico e che apparteneva allo stesso padrone, stringeva meglio la cinghia di cuoio che gli reggeva i calzoni, e andava via senza nemmeno dire: «Vi saluto!».

 

***

 

Scimmiotto cominciava a mostrarsi ingegnosissimo per guadagnarsi da vivere. A otto anni, aveva vergogna di chiedere l'elemosina come un pitocco qualunque. Faceva per ciò salti mortali e capriole, dopo che erano venuti in paese i saltimbanchi con l'orso e con le scimmie e avevano guadagnato tanti quattrini.

Non li aveva lasciati un minuto in quei giorni, osservandoli a imitarli, in gara con gli altri ragazzi suoi pari, riuscendo quasi a primo colpo, come se fosse stato addestrato di nascosto. Ed ora che i saltimbanchi erano andati via, dava spettacolo lui davanti a le botteghe di mercerie, davanti ai negozi di tessuti, davanti alle farmacie, dove c'era sempre gente che avrebbe potuto regalargli qualche soldo.

Si presentava zitto zitto e si fermava, con le mani dietro la schiena, una gamba stesa avanti e l'altra dietro, aspettando che qualcuno gli dicesse:

– Che vuoi, Scimmiotto?

– Faccio i salti mortali? Quattro, un soldo.

Vediamo! –

E faceva quattro salti mortali e due capriole per giunta.

Quando aveva raccapezzato quattro soldi, si comprava due soldi di pane e due soldi di cacio, o di fichi freschi, o di uva, o un soldo di pastinache e due arance, e faceva colazione sugli scalini della chiesa, in piazza, al sole, contento come una pasqua.

Qualche ora dopo, si rimetteva in giro. Dove vedeva gente si accostava. Le popolane che filavano lino davanti a le porte chiacchierando e canticchiando, al vederlo passare lo chiamavano:

Ehi! Scimmiotto! Scimmiotto!

– Che mi date? – rispondeva. – Quattro salti mortali un soldo! E due capriole per giunta. –

Un soldo da spendere esse non sempre lo avevano, ma una fetta di pane, sì; dei fichi secchi, due mustaccioli, mezzo piatto di fave allesse condite con olio e aceto rimaste la sera avanti, sì.

– Ti riempirai la pancia! –

Scimmiotto non rifiutava niente. Faceva i quattro salti mortali e le due capriole di giunta, e intascava la fetta di pane, i fichi secchi, i mostaccioli, e divorava le saporite fave allesse condite con olio e aceto. Un pranzo, per lui!

Così la sera tornava allo stallatico ben pasciuto e si metteva sùbito a dormire.

L'estate poi, abbandonava lo stallatico, dove avrebbe sentito troppo caldo la notte. Preferiva di dormire a l'aria aperta, su la nuda terra, facendosi capezzale di un braccio, con la giacchetta sdrucita buttata addosso. Aveva scelto un bel portico, dove non poteva andare a disturbarlo nessuno, e dove si trovava al riparo, caso piovesse. Ma per non perdere il suo rifugio nell'inverno, appena svegliatosi andava allo stallatico e ripuliva la stalla come quando vi dormiva.

 

***

 

I vestiti li chiedeva a questa o a quella signora caritatevole. Stracciati o troppo grandi per lui, li indossava indifferentemente. Rimboccava i calzoni, incrociava le cinte, e non si curava se qualche buco lasciava passare l'aria a traverso. Rimboccava pure le maniche delle giacchette, e non gl'importava che il resto gli arrivasse fino a piedi. Era contento delle tasche larghe, dove poteva ficcare ogni cosa, dacchè i salti mortali e le capriole gli fruttavano bene.

Era proprio buffo infagottato a quel modo spesso con un berretto o uno sfondato cappello di felpa su la testa che portava tosata, per non aver il fastidio di pettinarsi, nel caso avesse posseduto un pettine per farlo.

Poi un giorno si era accorto di avere una bella vocina, un orecchio molto intonato e una memoria portentosa. Udita cantare una volta una canzonetta, poteva ripeterla senza sbagliarne una nota. Sapeva già parecchie delle canzonette napoletane in voga.... Perchè non andare attorno, cantandole fra un paio di salti mortali e l'altro? E provò.

Bravo, Scimmiotto!

– Un'altra, Scimmiotto!

– Ancora un'altra, Scimmiotto! –

E non solamente la cantava con perfetta intonazione, ma con brio, accompagnadole con gesti, con smorfie che facevano sbellicare dalle risa tutte le comari, e divertivano anche i signori del Circolo, e gli sfaccendati delle botteghe, dei negozi, delle farmacie.

– Quella di Carmenè, Scimmiotto!

Mastro Raffaele, Scimmiotto!

Bravo Scimmiotto! –

 

***

 

Nessuno gli diceva

Apprendi un mestiere, Scimmiotto! – Nessuno si occupava di questo ragazzo, senza babbo mamma e senza parenti, che sembrava venuto su come un fungo un bel mattino, e che non sarebbe rimasto eternamente così.

Soltanto il cappellano delle monache gli aveva detto un giorno:

– Vuoi fare il sagrestano? –

Scimmiotto era entrato una volta nel parlatorio, dove c'era sempre qualcuno che parlava con qualche monaca.

Un gran stanzone quel parlatorio, che sembrava una chiesa, con grate dorate, con colonne e fregi dorati e pavimento di pietra bianca intarsiati. Scimmiotto aveva pensato ai dolci delle monache e gli era venuta l'acquolina in bocca. Se avesse potuto fare quattro salti mortali dentro, sotto gli occhi delle monache affollate dietro le grate!.... Chi sa quanti dolci gli avrebbero regalato!

Ed entrò senza chiedere il permesso a nessuno.

Il parlatorio era deserto. Su quel pavimento così liscio e pulito sarebbe stato una bellezza fare quattro salti mortali. E li fece, per proprio gusto, credendo di non essere visto da nessuno.

Udì uno strilletto dietro una grata. Poi, un parlottìo sommesso, risa represse. La fama dei salti mortali di Scimmiotto era arrivata tra le monache e le educande. Alcune di queste anzi si erano godute lo spettacolo di quei salti da una grata del campanile dove un giorno erano salite a suonare le campane per le quarant'ore. Scimmiotto faceva le sue prove tra un crocchio di contadini, nel piazzale davanti a la chiesa.

La presenza di Scimmiotto nel parlatorio mise sossopra il monastero; monache, educande, converse erano accorse alle grate appena la notizia si era sparsa pei corridoi, per le celle, in cucina, dove parecchie di loro confezionavano biscotti e berlingozzi. Aspettavano ansiose, ridendo e pigiandosi l'una su l'altra, che Scimmiotto ricominciasse. Non osavano dirgli:

Scimmiotto, fa' quattro salti mortali –.

La Badessa lo chiamò:

– Che vuoi, ragazzino? Che fai qui? –

Scimmiotto non diede la solita risposta: «Quattro salti mortali, un soldo!», ma si mise a fare sùbito salti mortali e capriole. E più le monache, le educande e le converse strillavano, ridevano, mandavano fuori grida di ammirazione, più Scimmiotto si accalorava, con salti dietro salti, capriole dietro capriole; e cessò di farne quando replicate grida di: – Basta! Basta! –scoppiarono da tutte le grate.

Da quel giorno in poi, non passò settimana che Scimmiotto non andasse a fare una visita alle monache.

Usciva dal parlatorio carico di dolci, di fette di pane e con qualche soldo in tasca. E quando al suo repertorio di salti mortali e capriole aggiunse le canzonette, il chiasso dietro le grate fu straordinario.

Canta per fame, poverino! –

Appunto, mentre Scimmiotto cantava Mastro Raffaele davanti ad una grata dove si trovava la Badessa, un giorno era entrato nel parlatorio il cappellano.

Dovette ridere anche lui, dargli un soldo anche lui.

– Vuoi fare il sagrestano? –

Scimmiotto non rispose no; si lasciò condurre a casa dal prete che lo affidò alle mani di una sua sorella zitellona, perchè lo ripulisse, e gli cucisse il collare. Doveva aiutare il vecchio sagrestano in certe piccole faccende, andare qua e , per servizio della chiesa, covare la brace nell'incensiere, accendere le candele dell'altare... Ma fu un divertimento di due sole settimane.

 

***

 

Riprese il suo mestiere di prima.

Per le botteghe, per le farmacie, pei vicoli dove le popolane facevano crocchio filando e chiacchierando, la riapparizione di Scimmiotto fu una festa! Era così divertente quello Scimmiotto!

Salti mortali, capriole e canzonette! Canzonette, capriole e salti mortali!

E tutti volevano raccontata la storia del collare.

Ma ora Scimmiotto aveva due anni di più; quel che era molto piaciuto in un bambino, non piaceva più tanto in un ragazzone. Molti, all'ultimo, dopo aver riso alle capriole e ai salti mortali, dopo di essersi divertiti ascoltando le canzonette, gli dicevano:

– E quando sarai cresciuto che cosa farai? –

Nessuno però gli suggeriva

Smetti, apprendi un mestiere!

Nessuno gli diceva:

– Ti prendo in bottega; farai il falegname, o il fabbroferraio, o il calzolaio, – o pure: – Vieni in campagna a fare il contadino come noi! –

I più crudeli e i più maligni gli ripetevano, ridendo, quasi fosse cosa da riderci su:

– Sei carne da galera!

– Che faccio di male? – protestava Scimmiotto.

E cominciò a pensare ai casi suoi.

Una mattina si presentò da un calzolaio.

– Voglio fare scarpe anche io!

Va' , fannullone! Non sei buono a niente. –

Perchè? Perchè faceva salti e capriole e cantava le canzonette? E questa non era una prova che poteva fare qualche cosa meglio degli altri? Gli altri sapevano forse fare quel che sapeva lui?

Il povero ragazzo non se ne capacitava.

Andò da un falegname:

– Mi volete per garzone?

Va' , fannullone! Non sei buono a niente!! –

Quasi che si fossero dati la voce, tutti! Giacchè un fabbroferraio, un massaio, un sarto gli ripeterono la stessa risposta. Sembrava si fossero proprio accordati di dovergli rispondere così.

E una mattina uscì per la campagna, si mise la via fra le gambe e andò, andò avanti, senza sapere dove andasse, o meglio, senza sapere se indovinasse la strada che avrebbe dovuto condurlo a un paesetto vicino, dove c'era la festa del santo patrono.

Giacchè non poteva far altro che salti mortali e capriole e cantare canzonette, sarebbe andato attorno, di paese in paese, a continuare finchè ne avrebbe cavato di che riempirsi lo stomaco. Agli stracci era abituato. E, quel giorno, egli era proprio uno straccione, con la giacchetta a brandelli che gli arrivava fino ai piedi e coi pantaloni che avevano larghi buchi alle ginocchia e in altri punti.

Un carrettiere, che andava precisamente in quel paesetto, lo prese sul carro per carità.

– Che vai facendo?

Vo pel mondo.

– E non hai paura?

– Di che? Non faccio male a nessuno! –

 

***

 

Passarono mesi e mesi, e di Scimmiotto non si seppe notizia. Qualcuno lo rammentava, domandando:

– Chi sa dove è andato? –

Uno lo aveva visto qua, uno , lontano, in paesi diversi.

Passarono anni. In paese lo avevano dimenticato. Se ne riparlò qualche giorno, una volta che il sindaco disse che gli erano state chieste informazioni intorno a un tale che diceva di essere chiamato col nomignolo di Scimmiotto e che non aveva saputo dire il suo vero nome.

E passarono altri anni, senza che si sapesse se Scimmiotto fosse vivo o morto; la gente aveva ben altro da fare che rammentarsi di lui!

 

***

 

Una mattina, dalla carrozza postale che andava a prendere la posta alla lontana stazione ferroviaria e portava i rari passeggeri che venivano in quel paesetto arrampicato in cima a una collina, fu visto scendere un giovanotto ben vestito, che parlava con accento forestiero e chiedeva del sindaco.

– Lei non mi riconosce?

– No; non credo di avervi mai veduto.

– Sono Scimmiotto. –

Il sindaco stentava a credergli.

– E donde vieni?

– Dalla Grecia. Faccio il cocchiere.

Bravo! E perchè sei tornato?

– Per rivedere il mio paese. Quando se n'è lontani, non si pensa ad altro.

– E ora vuoi restarci?

– Chi lo sa! Secondo. –

Appena si sparse la voce del ritorno di Scimmiotto, – lo chiamavano sempre così, e il primo a dar l'esempio era lui, perchè quel nomignolo gli rammentava gli anni spensierati della fanciullezza; – appena dunque si sparse la voce del ritorno di Scimmiotto, fu un affollarsi di gente, una pioggia di abbracci e di baci, di rallegramenti, una tempesta di domande:

– Sei sempre lo stesso?

– Lo stesso.

– Ma non fai più salti mortali e capriole!

– Faccio correre i cavalli della carrozza.

– Ma non canti più canzonette!

Ora le canto per conto mio, in serpe, quando è lecito.

– E come sei andato fino in Grecia?

– Oh, è una storia lunga! –

Ma nelle osterie, nelle botteghe, nelle case di amici che lo invitavano – e facevano a gara – a mangiare un boccone con loro, Scimmiotto, dopo aver acceso la pipa, cominciava a raccontare.

Oh, ne aveva viste di tutti colori! E come raccontava bene e come faceva ridere! Quasi più di quando faceva i salti mortali e le capriole e cantava Carmenè e Mastro Raffaele.

E tutti volevano udirlo e anche riudirlo. In quei giorni egli non spendeva neppure un soldo pel tabacco da fumare: desinare, cene, scampagnate; e mentre si desinava, e più dopo: «Racconta! Racconta

E Scimmiotto non se lo faceva dire due volte. Un giorno finalmente annunciò:

Vado via! Qui mi fareste diventare vizioso, dandomi da mangiare e da bere a ufo. Bisogna lavorare, bisogna guadagnarselo il pane che si mangia. –

Pareva impossibile che fosse riuscito così assennato, così savio! Lo dicevano con piacere, anche quelli che gli avevan fatto la cattiva profezia:

– Sei carne da galera! –

Infine, che aveva fatto sin da bambino? Non si era guadagnato il pane lavorando, come allora poteva lavorare, facendo salti mortali e capriole e cantando canzonette? E il Signore lo aveva aiutato.

– E tornerai un'altra volta?

– Quando sarò vecchio. Voglio venire a morire qui, dove sono morti mio padre e mia madre. –

Ma prima di partire ebbe il pensiero di andare a salutare le monache. E accorsero tutte in parlatorio, dietro le grate, come quando vi faceva i salti mortali e vi cantava le canzonette. Egli si rammentava il nome di tutte; di suor Maria Teresa, di suor Maria Giacinta, di suor Maria Maddalena, di suor Caterina, di suor Benedetta... Ah, quanti bei dolci gli avevano regalati, e quante belle fette di pane, e quanti bei soldi!...

Dolci gliene diedero in gran quantità anche ora.

Perchè vai via? Perchè non resti qui?

Debbo guadagnarmi il pane, mettere da parte qualche soldo per la vecchiaia. Ma tornerò; voglio venire a morir qui, dove sono morti mio padre e mia madre.

Dio ti aiuti! La Madonna ti soccorra!

Ma questa volta son passati molti e molti anni e di Scimmiotto non si è saputo più nuova.


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