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Nino Spano si era trovato vedovo, con quattro bambini su le braccia, quasi senza saper come.
Sua moglie si era sgravata felicemente; e, poche ore prima, quantunque coi dolori del parto, gli aveva preparato la minestra; avea messo a letto i bambini, bella, florida, allegra come al solito, e scherzava con essi che non volevano addormentarsi:
– Domani, se siete buoni, vi regalerò il fratellino o la sorellina, che troverò nella sporta dietro l'uscio.
La levatrice e le vicine, accorse per assistere la puerpera, erano andate via. La poveretta, appoggiata a una pila di cuscini, pallida, con gli occhi infossati, sorrideva al marito che stendeva una coltricina sul bambino messo a dormire in un canto del gran letto matrimoniale; e nel silenzio della notte, si udiva il respiro del gatto che faceva le fusa sopra una seggiola. A un tratto, la puerpera disse al marito:
E prima ch'egli rispondesse, la sentì gridare:
Il marito accorse, balbettando:
– Ah, Bella Madre Santissima!
E si picchiava sulla testa, e chiamava la moglie per nome: Santa! Santa! Ella storse gli occhi e aprì la bocca, annaspando con le braccia che ricaddero sùbito, inerti, abbandonando la testa sui cuscini pesantemente.
Nino ruzzolò le scale come un pazzo e, aperto l'uscio di strada, si mise a urlare:
– Aiuto, santi cristiani!... Zia Peppa!... Zia Pina!.,.. Mastro Paolo!... Aiuto!...
E alla zia Peppa, che s'era affacciata alla finestra, disse:
– Accorrete, per carità! È venuto male a mia moglie... Io volo dal medico!
E pareva dovesse fiaccarsi il collo pel vicolo, tanto andava di corsa.
Il medico dopo tastato il polso e ascoltato il cuore, per scrupolo di coscienza, si era accorto, appena entrato, che non c'era niente da fare.
E siccome Nino si dava pugni in testa, urlando: Santa! Santuzza mia! – tentò di consolarlo:
Ed ora Santuzza stava distesa là, morta, e pareva dormisse, con le mani in croce sul petto, la candela di cera accesa al capezzale, e da piè l'orfanello nato da poche ore, che non avrebbe conosciuto la mamma!
– Come mai? Come mai?... Ah Bella Madre Santissima! Che tirannia avete commesso, portandovi in paradiso la mamma di queste quattro creaturine! Che tirannia!
Le vicine piangevano zitte, sedute attorno, soffiandosi il naso di tanto in tanto, lasciando sfogare il pover'uomo che se la prendeva con la Madonna e con Gesù Cristo. Bisognava compatirlo; non sapeva quel che si dicesse, balordo, con gli occhi asciutti, fuor di sè dal gran dolore. E si aggirava per la camera, fissando il cadavere a cui avevano coperto la faccia con un fazzoletto bianco; e chiamava – Santa! Santuzza! – quasi la poveretta avesse potuto udirlo e svegliarsi dal sonno della morte, impietosita da quelle grida.
Si erano svegliati invece i tre bambini nella cameretta accanto, e domandavano se dalla mamma c'era già il fratellino o la sorellina trovati nella sporta dietro l'uscio, come aveva promesso.
Saltati ignudi fuor dal lettuccio, con gli occhi ancora ammamolati dal sonno e i capelli arruffati, festeggiavano il fratellino baciandolo, toccandolo, prendendolo per le manine; e non sapevano di essere orfani. Nè lo avrebbero capito domani, quando non avrebbero più visto la mamma, come non capivano le smanie del babbo che, affacciatosi più volte dall'uscio, aveva esclamato:
– Ah Cristo! Perchè non vi siete presi questi qui e non m'avete lasciato la moglie?
Farneticava allo stesso modo ancora dopo due giorni, e non sapeva persuadersi che sua moglie fosse morta davvero.
– Fatevi coraggio, compare Nino!
– E a queste creaturine chi baderà, quando dovrò andare attorno per guadagnarmi il pane?
– Non siamo qua noi? – rispondevano in coro le vicine.
Infatti, esse erano là da mattina a sera: specialmente Nela della zia Peppa, bruna, magra, con grandi occhi neri; Ciccia di mastro Paolo, bionda, pallida, grassottina, con occhi cerulei, seria e lenta; e Carmela di comare Pina rossa e paffuta, con tanto di spalle e di braccia e tanto di seno; tre ragazze piene di carità, che gli vestivano, gli lavavano i bambini, gli ravviavano la casa, gli preparavano il desinare e la minestra la sera; quasi intendessero persuaderlo che, invece d'una sola moglie, ne aveva ora tre; una meglio dell'altra, diceva maliziosamente qualche burlone.
– Volete scommettere che compare Nino sarà imbarazzato nella scelta? – conchiuse la 'gna Rosa, la carbonaia là di faccia.
Eh, via! Quel povero compare Nino poteva aver il capo a rimaritarsi così presto, con quel gran dolore nell'anima? Non ci pensava, no; egli se ne stava rincantucciato in casa, piagnucolando, lamentandosi, senza neppure ricordarsi del mulo e del carro che davano da campare a lui e ai figliuoli. Aveva le braccia e le gambe stroncate, la testa vuota, e pareva trovasse gusto a grogiolarsi nella propria disgrazia.
***
Era verità però: invece d'una, ora aveva tre mogli in casa, l'una meglio dell'altra; senza cattive intenzioni, s'intende, perchè egli badava poco a quelle tre ragazze, che gli si affaccendavano attorno e gli apprestavano ogni cura. Nè s'accorgeva, poverino, che esse, dopo parecchi giorni, si guardavano in cagnesco, quasi se lo disputassero, facendo a chi meglio potesse servirlo, prevenendone i desideri, cercando ognuna di mostrarsi più attenta, più accorta, più lesta dell'altra. Era assai ch'egli già notasse il letto sprimacciato molto meglio di quando viveva la sant'anima; la biancheria più bianca e più odorosa; i bambini più ravviati e più puliti; il desinare e la cena, più saporiti.
– La provvidenza mi aiuta con la carità delle buone vicine!
E benediva quelle mani che sprimacciavano il letto, le sante mani di Nela; e benediva le belle mani di Ciccia, che lavavano e stiravano la biancheria; e benediva le mani di Carmela, che tenevano così ben ravviati i bambini e la casa.
E se Ciccia voleva sprimacciar lei il letto, e Nela le diceva, stizzita: – Lascia stare!; e se Nela voleva vestire e lavare i bambini lei, e Carmela glieli levava di mano con poco garbo: – Bada a fare qualcos'altro – e se Carmela voleva mescolarsi del desinare o della cena, e Nela la mandava via di cucina, brontolando: – Qui basto io – il povero vedovo sorrideva tristamente.
Carmela arrivava la prima, di buon'ora, e non mancava mai di dirgli:
– Che ci vengono a fare quell'altre. Ho braccia solide io!
E faceva osservargli che Ciccia impacciava con quel suo fare lento da tartaruga; e Nela non era buona neanche ad arrostire due fave. Nino si stringeva nelle spalle e le dava tacitamente ragione. E dava ragione a Ciccia, se gli parlava male di quel fagotto della Carmela, che s'affannava e si dimenava tutta senza concluder nulla; e dava ragione a Nela, se costei gli sussurrava all'orecchio che quelle altre erano due pettegole buone a niente, e non sapevano dove stesse di casa il governo d'una famiglia, ma pensavano alle pompe, a lisciarsi, a pettinarsi, a pararsi coi quattro stracci che possedevano.
Che poteva mai fare, pover'uomo? Doveva dar ragione a tutte e tre, per vivere in pace.
Ciccia e Carmela, però, vedendo Nela star troppo attorno al vedovo, brontolavano insieme:
– Che civetta!
Così Carmela e Nela si trovavano di accordo nel dir male di Ciccia, allorchè seduta in un canto presso il vedovo, faceva lunghi pissi pissi con lui, quasi fosse stata la padrona e avessero dei segreti fra loro!
Allo stesso modo, Nela e Ciccia levavano i pezzi di Carmela, se si metteva in maniche di camicia, per darsi l'aria di massaia, mostrando le belle braccia e il resto, senza vergogna di sciorinarglieli sotto il muso; ma compare Nino neppur le badava!
Invece egli badava a godersi quella grazia di Dio, nè parlava più della morta, nè sospirava più, quantunque rimanesse sempre in casa, anche dopo che i giorni del lutto erano terminati. Se ne stava seduto in un angolo, tutto rannicchiato, o steso sul letto, con le braccia dietro il collo, e si faceva cercar in capo, per svago, perchè provava una specie di sollievo nel sentirsi formicolar fra i capelli quelle dita di ragazze, stando con gli occhi socchiusi, quasi tentasse di addormentarsi per addormentare così la pena della propria disgrazia.
Un giorno, dopo desinare, Nela, che lo cercava, con le dita fra i capelli, uscì a un tratto a domandargli:
– Compare Nino, e ora che pensate di fare, con quattro bambini su le braccia?
Il vedovo aperse gli occhi, e la guardò fisso, maravigliato di questa domanda.
Quel giorno gli parve che le dita di Nela fossero più delicate in quel lavoro di solletico tra i capelli e su la cute del capo. Ma il giorno appresso, venne la volta di Ciccia, che disse:
– Compare Nino, chi sa quali mani vi cercheranno in capo da qui a sei mesi?
Egli aperse gli occhi, e la guardò fisso, come aveva fatto con l'altra; e ci corse poco non rispondesse:
– Quali altre mani potrò trovare meglio delle vostre?
Il giorno dopo però, si rallegrò di non esserselo lasciato scappar di bocca. Carmela gli passava e ripassava le dita fra i capelli, rimescolandoglieli, grattandogli delicatamente la cute; e le belle braccia ignude gli sfioravano le guance e gli orecchi, quasi volessero unire al solletico una dolce carezza. Ella intanto non gli diceva nulla; non gli domandava che pensasse di fare con quattro bambini sulle braccia; nè si preoccupava delle mani che gli avrebbero cercato in capo di lì a sei mesi; ma cercava, cercava delicatamente, con le dita tra i folti capelli, e talvolta gli posava il braccio nudo sulla guancia, senza malizia forse; ed egli sentiva come avesse sode, fine e fresche le carni.
Il povero vedovo la lasciava fare, non apriva gli occhi, e cacciava giù, in fondo al cuore, il rimorso che saliva a roderlo.
– Appena venti giorni da che quella poveretta era spirata su quel letto!
Avrebbe preferito che le cose fossero andate in lungo sempre così; ma una mattina venne su la zia Peppa, la mamma di Nela, con rocca e fuso, seria seria.
– Compare Nino, io mi chiamo Santa Chiara; e a voi il parlar chiaro non deve dispiacere.
– Se siete uomo di onore, e c'è la volontà del Patriarca San Giuseppe...
Ma non potè continuare, perchè sopraggiunse mastro Paolo, con la fetida pipa in bocca. Veniva a visitare il compare, e si rallegrava di vederlo star bene. Mastro Paolo, tiratolo in disparte, gli chiese scusa se Ciccia non sarebbe salita più da lui.
– La gente sparla. Debbo fare un omicidio?... Se voi, compare, avete buone intenzioni....
Quel giorno, venne soltanto Carmela; e si sbracciò, com'era solita, e ravviò la casa, sprimacciò il letto, cucinò il desinare. Impastò anche il pane zitta zitta, e fece le focacce pei bambini; e quando più tardi, giunse la balia che allattava l'orfanello, glielo tolse dalle braccia, disfece le fasce, gli ricambiò i pannilini proprio come una mamma, quasi già fosse abituata; e poi domandò
– Compare Nino, debbo dare una manciata di fave alla balia?
La zia Peppa torse il muso, e nell'andar via disse a compare Nino in un orecchio:
– Che le costano a lei le fave?
Anche mastro Paolo, ripulita la pipa e battendola sul pomo della seggiola, si alzò imbroncito; e stringendogli la mano, brontolò sottovoce:
– Ho capito, compare: vi piace mangiare nel piatto dove altri ha mangiato prima di voi. Buon prò vi faccia!
Carmela, che aveva udito ogni cosa, rimettendosi il grembiule, disse:
– Compare Nino, mi dispiace pei bambini...
E fu interrotta dal gruppo di pianto che le strinse la gola.
– Lasciateli dire. So che sono calunnie; parlano per rabbia – rispose Nino. – Fatelo per quelle creaturine, comare Carmela.
Il giorno dopo però erano là tutte e tre; e non si scambiavano una parola, rabbiose, intolleranti, ognuna levando di mano all'altra i servigi da fare. Così il desinare andò a male e prese il bruciaticcio; i bambini rimasero sporchi e spettinati; la casa, tutta sossopra; e nel letto mal rifatto le materassa parevano riempite di sassi. Nela ruppe due piatti, e se la prese con Ciccia e Carmela, sporcaccione disadatte. Ciccia rovesciò il catino per terra e inondò la camera, e per poco non venne alle mani con Carmela, cialtrona, che non era altro, da non averci da fare. E Carmela ribattè con tanto di bocca e le mani sui fianchi, urlando che compare Nino era un grullo, e si lasciava menare pel naso da quelle due gualdrinelle!
– Che c'entro io? – diceva compare Nino.
Quella notte, un po' pel frastuono di tutta la giornata e un po' pel letto pieno di gobbe, il povero vedovo non chiuse occhio.
– E pretendono che ci ho tre mogli, invece di una! Troppa grazia, Sant'Antonio! – egli esclamava, dopo due altri giorni di quella baraonda. – Bisogna decidersi; così non può andare. Se non ci fossero i bambini.... Ma poichè il Signore ha voluto così!...
E si decise la sera dopo. Le braccia fresche, sode, dalla pelle fina, che gli avevano accarezzato la guancia, non le aveva più dimenticate; e appena Carmela, che in quel momento si trovava sola in casa di lui, vistolo arrivare col carro, scese giù nella stalla per aiutarlo a levar gli arnesi al mulo, egli la prese per una mano:
– Lasciatemi stare, compare Nino.
– Sentite, comare Carmela; se mi giurate che è un'infamità quel che di voi dice la gente!...
– E quando vi avrò giurato? Mi crederete?
– Vi crederò per l'anima santa della morta!
Allora... ve lo giuro, per questa croce di Dio! – rispose Carmela, baciandosi i pollici incrociati.
***
Il giorno delle nozze, al ritorno degli sposi dalla chiesa, Nela e Ciccia, già ridiventate amiche per far dispetto a quell'altra, erano in istrada, fra le altre vicine, e si sforzavano di parere allegre.
La gna Rosa gettava manate d'orzo addosso agli sposi:
– Non c'è pericolo, – borbottò malignamente mastro Paolo. – La prova è stata fatta!
Nela e Ciccia scoppiarono a ridere sghangheratamente; si vedeva però che ridevano male.
E Carmela, a testa alta sotto lo scialle nero, tirandosi in su, da una parte, la bella veste di seta color granata, fingendo di esser presa da un colpo di tosse, sputò tre volte dietro a se e infilò l'uscio, trionfante.