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Quel sentimento di sconforto le durava ancora verso sera, mentre s'avviavano al santuario della Madonna delle Grazie, traversando le vie tra persone che salutavano famigliarmente le figlie del cavaliere, Ruggero, e, non senza un sorriso di compiacente meraviglia, l'Agente e la sua signora. Patrizio, davanti a la chiesa del Rosario, si fermò; doveva torcere a sinistra, per la discesa che conduceva al camposanto.
«Su, venga con noi questa volta!» gli disse Giulia. «Non sarà peccato se oggi tralascia.»
«Vi raggiungerò» egli rispose.
Eugenia, col cuore grosso, non si voltò nemmeno. Ora, al rovescio, la gelosa era lei, non più la morta! E lungo lo stradale, in piena campagna, sotto quel cielo vespertino soffuso di smeraldo, e sparso di nuvolette che parevano isole d'oro in un mare calmo, aveva il pensiero fisso alla tomba davanti a cui Patrizio era andato ad inginocchiarsi, quasi per protestare al cospetto della morta: «Sono sempre tuo, non di colei!».
E rispondeva con monosillabi alle interrogazioni di Angelica e di Benedetta; e provava compassione di Giulia, vedendola così ilare. Povera giovane! Forse correva spensieratamente verso una sorte simile a quella di lei. Illusa, illusa anch'essa!
Giulia e Ruggero, già molto avanti, ridevano.
«Beati loro! Non fanno altro» si lamentò Benedetta, stringendo le labbra.
«Ho una voglia di correre, una voglia!» disse a Eugenia. «Venga; mi dia il braccio. Correremo insieme. Ruggero mi ha sfidata. Lo vinco sempre.»
«Qui? Con tanta gente che passa?» la rimproverò Benedetta.
«Guardi: quei là, seduti sul parapetto del ponticello» riprese Giulia «sono i nobili del paese! Non vanno in Casino; il loro Casino è qui. Il vecchio è il barone Ciocia, quello dal lanternone. Tre baroni e due cavalieri in un palmo di terreno! Passeggiano soli soli, impettiti, senza salutare nessuno, dall'ultima casa del paese fino a qui, su e giù, come anime condannate. E hanno appena da sfamarsi! Si volti addietro; laggiù, quel palazzo a cui manca mezzo tetto è del Ciocia. Una rovina! Se capita qualche buon colpo di levante, lo porta via.»
«Zitta! Possono sentirti» la interruppe Angelica.
«Stia allegra» fece Giulia, trascinando Eugenia pel braccio. «Oggi è proprio di cattivo umore!»
Ruggero le attendeva seduto sul muricciolo, sotto il carrubo che chinava i folti rami quasi fino a terra.
Presero la viottola, a traverso gli ulivi. In fondo, il santuario, chiesetta addossata a un modesto edifizio già convento di Cappuccini, mostrava la cima della facciata, rossa degli ultimi raggi del sole. Ulivi da ogni lato; non si vedeva altro. Davanti a la porta, sulla ristretta spianata, alcune donnicciole in ginocchio; tornando dai campi, erano venute a recitare le loro devozioni alla Madonna.
«Vedrà quanti voti!» disse Benedetta. «Se ha grazie da chiedere...»
L'aveva sì, una grazia particolare da chiedere. Ma oramai ella perdeva a poco a poco anche la fede; lassù non l'ascoltavano da un pezzo!
«Gesù, Giuseppe e Maria!» salutò fra Lorenzo, cavandosi di testa il cappuccio.
«Come si va, frataccio?» rispose Ruggero.
«Fate vedere la chiesa e poi il convento a queste signore.»
«Il convento?... E la scomunica?»
«Perché non vi lavate le mani, frate sporco?»
«La coscienza dobbiamo aver pulita, padrone mio!»
«E anche le mani.»
Il sole era già sparito. D'attorno, gran silenzio tra gli ulivi nella calma della sera senza vento. La chiesetta, immersa nella semioscurità, pareva piena di mistero. Sull'unico altare, una statua di legno dorato, la Madonna col Bambino in braccio, luccicava alla scarsa luce dell'ovale sovrastante alla porta, e gli occhi di cristallo della Madonna mandavano vivi riflessi dall'alto, sotto la corona tempestata di gemme di vetro, rosse e verdi, straluccicanti anche esse; così pure i cuori d'argento appesi al muro ai due lati. Una lampada a olio ardeva in un canto.
Le signore si erano inginocchiate. Eugenia, quantunque impaurita della statua che guardava con quegli occhi così lucidi, fisso fisso, e le rammentava gli occhi della morta, pregava senza pronunciar parole, senza muover labbra:
«Datemi forza, Vergine santa, per riconquistare il cuore di lui! Rendetemelo, Vergine santa, come quand'era tutto mio! Consolatemi Voi, che siete la fonte di ogni grazia! Consolatelo Voi!»
E trasalì, sentendo la voce di Patrizio che chiedeva di loro da fuori, quasi la Madonna le avesse risposto in quel punto: «Ecco, l'ho consolato!».
Ruggero tornava a tentare Fra Lorenzo per fargli infrangere la clausura.
«Impossibile, padrone mio!» rispondeva il vecchietto, tenendo incrociate le braccia sotto i maniconi della tonaca.
E Ruggero gli ammiccava con maliziosi cenni significativi scrollando la testa, stropicciandosi le mani, soggiungendo sottovoce perché le donne non sentissero:
«Allora, a' bei tempi però, non ce n'era scomunica per certe comari!»
Eugenia non levava gli occhi d'addosso a Patrizio che se ne stava in disparte, guardando ora la facciata della chiesetta, ora gli ulivi attorno, ora il cielo che cominciava a imbrunire.
Il ritorno fu silenzioso per lo stradone deserto. Di qua e di là piante di ulivi che facevano ala; in alto il cielo grigio, cosparso di fiocchi di nuvole scure, bianchicce agli orli. Di tanto in tanto qualche scoppio di risa di Giulia e Ruggero che precedevano. Eugenia, preso il braccio di Patrizio, vi si appoggiava lassamente.
«Sei un po' stanca?» egli domandò.
«Sono contenta d'essere al tuo braccio, in questi luoghi, a quest'ora!» rispose Eugenia, quasi mormorandoglielo all'orecchio.
«Anch'io.»
«Davvero?»
«Perché davvero? Non capisco.»
«Ah se fossimo soli in questo momento!» esclamò Eugenia. «Se fossimo soli!»
Smaniava, vedendo che Giulia e Ruggero, accortisi di aver lasciato troppo indietro gli altri, s'erano fermati presso il ponticello e che Angelica e Benedetta, cessato di leticare sottovoce e di voltarsi sospettosamente a ogni due passi, aspettavano anche esse che Eugenia e Patrizio le raggiungessero.
«Ebbene, e se fossimo soli?» disse Patrizio.
«Oh, Dio!» rispose Eugenia, stringendogli la mano come per afferrarsi più fortemente a lui. «Questo sarebbe il momento opportuno! Non lo ritroverò più! Non saprò più dirti nulla!... Mai!»
In quel punto credeva così. Il cuore le rigurgitava. Le pareva che all'aria aperta, tra quegli ulivi che restringevano in dolce intimità l'orizzonte, nella soave penombra della sera, nulla avrebbe potuto impedirle di dirgli quel che tante volte avrebbe voluto dirgli laggiù in casa loro e non aveva mai potuto, quasi le si serrassero le labbra ogni volta che si apprestava a parlare.
Eugenia non si attendeva che Patrizio, appena arrivati a casa, avrebbe ripreso spontaneamente il discorso interrotto nella passeggiava:
«Qui siamo soli. Che volevi dirmi?»
Egli s'era appoggiato all'imposta aperta della finestra, aspettando che Eugenia si levasse il cappellino. Nella penombra della stanza scorgeva appena il biancore del viso di lei presso il letto e il biancore delle mani, che s'impazientivano di non trovar subito lo spillone da cui il cappellino era fermato su la testa.
«No, lascia il lume di là» ordinò Eugenia a Dorata.
E buttato il cappellino sul letto, eccitata dal sentirsi ripetere la domanda e quasi più rassicurata dall'oscurità, andò risolutamente verso Patrizio strizzandosi le mani, stirando in giù le braccia:
«Dovresti saperlo, dovresti già essertene accorto!» rispose con voce tremante. «Che hai contro di me? Prima c'era il pretesto della gelosia di tua madre; volevi dare ragione a lei. Ma ora? Ora? Non ti avvedi che io soffro, non t'avvedi di nulla! E mi lasci quasi in abbandono e vivi con me come con un'estranea che si trovi in casa tua senza che tu sappia perché. Non mi ami più? Confessamelo, metterò almeno il cuore in pace.»
«La solita ubbia?» egli disse.
«La solita ubbia? Sei di ghiaccio, peggio di prima! Un bacio, una carezza, bisogna strapparteli peggio di prima! Hai tuttavia... paura di lei?»
«Non parlare così!» la interruppe Patrizio duramente.
«Prima» ella riprese «avevi anche un'altra scusa: la mia malattia. Ebbene: sono guarita! Senti qui. Non c'è più ombra di profumo, niente! Hai tu forse altri pretesti? Ho rispettato il tuo dolore, ti ho nascosto le mie lacrime, attendendo speranzosa: «Ritornerà a me!». Invece ti allontani ogni giorno più. Te ne stai chiuso nel tuo maledetto ufficio, dimentico di me quasi tutta la giornata; ci vediamo a colazione, a desinare, quasi tra l'ufficio e queste celle ci fossero miglia di distanza; e la sera, leggi, leggi, leggi e non badi che io sbadiglio, che casco di sonno, che ho freddo nel cuore e che non posso più vivere in tal modo!... Voglio essere amata come t'amo! Amata, intendi? Amata!...»
«E non t'amo?»
«Dell'amore a cotesta tua maniera, oh! non so che farmene! Amore a parole! Io non ti affermo soltanto di amarti; te lo provo. Pensa che ho ventidue anni; non sono una vecchia, e voglio stare tra le tue braccia, e voglio sentirmi accarezzata, baciata, amata come tutte le altre!»
«Tu non comprendi quel che dici!» la interruppe Patrizio.
«Se non lo comprendessi, non te lo direi.»
«Non lo diresti, se comprendessi!» egli replicò severo.
«Perché?» domandò Eugenia alzando la testa. «Per rispetto della morta?...»
«Sì, è ancora lei che t'impedisce di esser mio!»
«Non la nominar più!» ripetè Patrizio con voce cupa.
«Non m'hai tu detto: Era gelosa di te?»
«Orrore che io non posso spiegarmi. Gelosia da madre!... E va bene. Ma ora ella è in paradiso; non ci vede, non ci sente! Perché non m'ami come t'amo io? Che mai debbo pensare di te? Ti sono cascata dal cuore? T'ispiro repugnanza? Sei pentito di avermi sposata?... Non sono stata io che ti son venuta incontro, che t'ho circuito, che ho promesso mari e monti. Ricordi? Quella sera che dalla finestra tu mi dicesti: «V'amo, signorina!» io ti risposi: «In che modo, se mi conosce soltanto di vista?». «Basta, pel cuore!» replicasti. Ed ora che mi conosci intimamente, ora che sono tua, non basta più forse?»
«Che dirti? Come disingannarti?» soggiunse Patrizio dopo alcuni istanti di silenzio.
«Non m'inganno, no! Ne ho la prova in questo stesso momento. «Che dirti! Come disingannarti!» E non ti passa nemmeno pel capo di stendermi le mani, di attirarmi al petto, di dichiararmi coi baci: «Vedi se basta?». Che hai, insomma, contro di me? In che ho potuto dispiacerti? Parla!... O mi farai maledire tua madre lassù in paradiso, dove si trova!...»
«Eugenia!»
«Ah!... Lo vedi? Per lei ti risenti subito! Per lei ritrovi la voce!»
«È per te!» disse Patrizio, prendendola tutt'a un tratto fra le braccia.
Ella tentava di svincolarsi, ripetendo:
«Per me? Per me?»
«Sì, Eugenia, per te! Come hai potuto sospettare?»
Il suo accento era diventato così dolce, così affettuoso che Eugenia, maravigliata, cessò ogni conato, e gli prese la testa fra le mani quasi volesse convincersi, dall'espressione del viso, se parlasse seriamente o volesse ingannarla. I suoi occhi s'incontrarono con quelli di lui, che la guardavano pieni di compassione, intensamente, quasi tutta la scarsa luce della sera che penetrava dalla finestra si fosse già condensata in quelle pupille diventate più nere e più espressive. Ed egli, intanto, le sorrideva scotendo leggermente il capo, rimproverandole in tal modo la sua poca fede:
«Come hai potuto sospettare?»
«Spiegati; non ti capisco!» disse Eugenia, accigliata per diffidenza, continuando a fissarlo.
«E non puoi capirmi, povera figliuola!» rispose Patrizio, accarezzandole con una mano i capelli sulla fronte e tenendole il braccio sinistro stretto attorno alla vita.
«Sono una grulla dunque?»
«No; sei nervosa, sei ancora malata» egli soggiunse «e travedi stranamente. Poco fa, quando ti rimproveravo: «Se tu comprendessi, non lo diresti!» erano appunto i nervi che ti spingevano a parlare. E mi facevi pena, perché mi accorgevo che non sei, come tu credi, perfettamente guarita.»
«Che cosa dicevo di strano poco fa? «Voglio stare fra le tue braccia! Voglio essere accarezzata, baciata, amata come tutte le altre!»»
Ella spalancava gli occhi stupita, dubitando di se stessa, dal suo cuore, della sua ragione...
«Ma spiegati, infine!» esclamò dolorosamente.
«La colpa è anche mia» egli riprese a dire, tentando di evitar di rispondere a quell'intimazione. «Ne convengo, sono stato eccessivo. Ma tu non puoi farti un'idea del dolore che provo, tu che ignori la mia triste fanciullezza, la mia giovinezza ancora più triste, tutte le sventure, tutte le angoscie nelle quali non ebbi mai altra consolazione né altro conforto che la presenza di mia madre, la sua parola, il suo coraggio, la sua rassegnazione di santa! Oh, tu l'hai conosciuta in mal punto! Aveva avuto me, me soltanto per tant'anni, per ciò le pareva che tu le avessi rubato il cuore dal figlio. Accecamento di madre, nient'altro. E poiché io sapevo che tu non l'amavi, come avrei potuto dirti: Piangiamo insieme?... Non hai torto: è stata dura con te, intrattabile. Con me pure, sai? Io ti celavo i suoi sfoghi e le sue collere; soffrivo doppiamente, ma non importava! Vi amavo tutte due, lei come madre, te come moglie. Quasi un anno di terribile lotta per risparmiarvi dispiaceri, per non farvi inasprire maggiormente una contro l'altra!... Fossi almeno riuscito! Quando penso ch'ella è morta senza potermi dire una parola, una parola di perdono, mi par d'impazzire! Neppure tu sai compatirmi, neppure tu sai perdonare!... Mi conosci male. Io non sono come gli altri; non ho mai avuto un giorno tranquillo, non ho mai visto un raggio di felicità nella mia vita, prima di conoscerti e di farti mia. Nel mio cuore non c'è lievito di altri amori... Tu sei stata l'unica donna, dopo mia madre, che n'abbia preso possesso e per sempre. Io ignoro come amino gli altri, ma so che ti voglio bene con tutte le forze dell'anima mia... So che ti vorrei contenta, felice! E mi sento fanciullo accanto a te! Tu comprendi la vita a modo tuo, come molti altri forse. Che posso farci se io la comprendo diversamente, da uomo vissuto solitario, che ignora certi usi, certe pratiche del mondo e non può affatto adattarvisi? Ma il mio cuore è sincero, ma la mia parola dice quel che sento e penso. Non saprei mentire, no, neppure volendo. Per questo ti sembro freddo! Sono timido invece. È in difetto, me n'accorgo. Ne soffro vedendo a quali conseguenze la mia timidità mi lascia esposto, e divento più timido!... Quante volte, la sera sul punto di andare al camposanto, avrei voluto dirti: «Vieni anche tu!». E non ho mai potuto, paventando la tua risposta. E forse tu saresti venuta; sei così buona!... Saresti venuta?»
«Oh, no! Ma non per lei. La vista delle tombe mi fa orrore!» rispose Eugenia.
Le sue sopracciglia s'erano già spianate, la sua voce aveva ripreso l'accento naturale; e dall'espressione di quel viso, quasi attirato da un fascino, egli indovinava benissimo la dolce commozione prodotta dalle sue parole dentro il giovane cuore di donna che in quel momento batteva frequentemente contro il cuore di lui, commosso pur esso.
Eugenia però si sentiva più affascinata dall'accento di Patrizio che convinta di quel che aveva udito. Credeva di non aver inteso bene, e sospettava pure ch'egli non avesse voluto svelarle interamente il suo pensiero, senza intenzione di mentire. E mentre egli parlava, di mano in mano che la malia delle parole di lui l'andava avvincendo, ella si ripeteva da sé: «Se tu lo comprendessi, non lo diresti!». Il suo male le aveva dunque fatto sfuggire di bocca parole che contenevano sconvenienze a quel che pareva? «Se tu lo comprendessi, non lo diresti!»» Poi, la commozione l'aveva sopraffatta; ascoltando, a poco a poco aveva dimenticato ogni cosa; e, appena pronunciata la risposta all'interrogazione di Patrizio, gli si era abbandonata tra le braccia singhiozzante e incapace di continuare a parlare.
«Ah! Tu piangi?» egli disse, sforzandosi di mostrarsi allegro. «Ecco il castigo della tua diffidenza! Via, via! Non esser bambina! È il mio castigo pure; non posso vederti soffrire! Ho i miei torti e te li ho confessati. Via, non esser bambina! Mi emenderò, vedrai!»