Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO I

LE APPASSIONATE

VIII GELOSIA

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VIII

 

GELOSIA

 

Erano andati a nascondersi in quel nido di amore, perduto in mezzo agli alberi, come due uccellini per la cova.

- Ecco il nostro sogno diventato realtà!...

- A me pare piú sogno di prima! -

Rebecca lo guardava, sorridendogli amorosamente sotto l'ombrellino rosso che le accendeva il volto di riflessi di fuoco; e Massimo le andava lisciando la mano, quasi per accertarsi che non sognasse davvero

- Peccato che presto dovremo destarci!

- Se tu volessi! - disse Rebecca.

Egli rispondeva di no, scuotendo il capo:

- Meglio destarci e vivere d'un dolce ricordo, che doverci poi lasciare stanchi, annoiati forse, certo meno contenti e meno innamorati d'ora.

- Come sei scettico!

- No; solamente conosco meglio la natura umana. Che possiamo farci? È cosí -.

Rebecca sosteneva il contrario:

- Il nostro amore non va soggetto alla legge comune: è un'eccezione. Spesso io ho una specie di paura nel sentirmi vinta a questo modo; mi perdo dietro al processo lento, intrigato della nostra passione, covata nella lontananza e scoppiata finalmente quasi incendio che divori ogni cosa; e non riesco a spiegarmi in che maniera sia potuto avvenire, né come mi sia sviluppata tutta questa energia di sentimento, di cui finora mi ero creduta incapace...

- Tu mi aduli - la interruppe Massimo.

Ed ella gli rispose con una mossettina di broncio, seguita da un bacio lungo, nervoso:

- Se qualcuno ci vedesse! -

C'erano soltanto gli alberi attorno, sorridenti al sole con la fronda novella; c'era soltanto l'erba alta del prato e quei fiori primaticci che mettevano fra lo smeraldo tante vivacissime puntine di bianco, di giallo, di rosso, brillanti sorrisi primaverili.

- Senti? - gli disse. - Questi uccellini inneggiano al nostro amore.

- Diventi anche romantica?

- Cattivo! -

Tornavano ad abbracciarsi in piena luce, lieti di far cosí sotto quel cielo raggiante del piú bel sole di maggio, in quella solitudine della collina, dirimpetto alle montagne seminate di paesetti che si riflettevano, capovolte, nello specchio di acciaio brunito del lago di Como. Le giornate passavano senza che se ne avvedessero. E quando arrivava la sera e il sole tramontava lentamente dietro le colline scure, e per la campagna silenziosa s'udiva soltanto il pigolio di un uccellino errante d'albero in albero in cerca della compagna smarrita; e quando gli alberi, assaliti da fremito improvviso, stormivano nell'oscurità sempre piú densa, sotto il cielo imperlato dei primi tremolii delle stelle, si sentivano tutti e due stranamente sopraffatti dalla loro felicità; e tacevano, presi per mano, distesi sull'erba soffice, o appoggiati sul davanzale della finestra, vagando con gli sguardi per l'immensità dell'orizzonte.

Una volta ella gli domandò:

- Nessun'altra donna ti ha posseduto come me interamente, nel gentile mistero di un rifugio campestre?

- Nessuna!

- N'ero certa; nessun'altra ti ha mai amato a questo modo -.

E ricadevano nel silenzio. E la intimità di quell'ora solenne pareva li ravvicinasse maggiormente, facendoli divenire piccini piccini.

 

Glielo domandava spesso, con l'insistenza di chi ha paura d'ingannarsi:

- Davvero, nessun'altra donna? - Nessuna.

-... Proprio?

- Nessuna! -

Massimo, a quella gelosietta retrospettiva, le stringeva fortemente la mano, per rassicurarla, sorridendo...

- Maliziosamente! - ella notava. E gli occhi nerissimi le lampeggiavano quasi minacciosi sotto le sopracciglia corrugate.

Ah, ella avrebbe voluto far tabula rasa del passato di quell'uomo! Quali impressioni di altre donne gli rimanevano tuttavia vivissime nel cuore? Bastava questo sospetto perché la felicità di lei non fosse completa. Appena lo vedeva un po' pensieroso, gli si allacciava subito al collo, riscuotendolo con baciucchio smanioso, scottandogli le guance e le labbra con labbra infuocate da gelosa passione:

- A che pensi? Qual fantasma del passato ti si è rizzato dinanzi?... M'ami dunque cosí poco da non aver dimenticato ancora tutto, come io ho già dimenticato talmente tutto, che mi sembra di esser veramente viva soltanto ora, in verginale resurrezione di sensi e di cuore? Massimo rispose serio serio:

- Cominci ad annoiarti?

- Perché mi dici questo?

- Perché io mi sento cosí invasato dal presente, che non posso distrarmi un istante per pensare ad altro, come tu fai -.

Rebecca rimase muta e un po' mortificata. Aveva egli ragione? Non osava prestar fede a se stessa, neppure quando se lo teneva stretto stretto fra le braccia. Temeva di non aver tanta forza da fargli provare quell'abbandono assoluto ch'ella provava, quel confondersi e svanire di tutta se stessa in lui; sentimento nuovo e ineffabile, sublime rivelazione d'amore.

- Te l'ho detto anch'io.

- , , hai ragione... Ecco intanto un gruppo di alberi all'ombra dei quali non ci siamo mai baciati -.

Il sole, che infiltravasi a stento tra il fogliame folto, pioveva miriadi di fiammelle d'oro su tutta la persona di Rebecca modellata dall'elegante abito grigio; e Massimo l'ammirava, socchiudendo gli occhi in quell'ora meridiana, quasi per riposarsi della lunga passeggiata. Si erano appoggiati con le spalle a un tronco di quercia, oppressi dal torpore delle cose dormicchianti, torno torno, sotto la vampa del sole, al sordo ronzio degli insetti, fra lo svolazzare irrequieto delle farfalle scappate dalle macchie all'urto dei loro piedi e del vestito di lei.

- Che sensazione! Fra questo deserto di verdura, par di essere a mille miglia da ogni centro di vita.

- Rimpiangi forse la vita cittadina?

- Io?... Vorrei vivere qui tutta l'eternità, come in un'oasi d'amore.

- A me invece - disse Massimo - basterebbe potere vivere in pace due sole settimane, il tempo fissato -.

Sentendolo parlare con quel tono scettico, Rebecca s'indispettí

- Pare che tu lo faccia apposta, per farmi capire che dubiti di me -.

Intanto cominciava lei a dubitare; e si crucciava tutti i giorni, per via di quel sospetto che le passava e ripassava insistentemente davanti agli occhi, velandole d'una leggiera nebbia gli ultimi sorrisi della primavera su la collina di Nesso:

- Come sono stupida con questa fissazione! Che deve importarmi del passato? -

 

Il giorno dopo però, quando nel rovistare alcune carte in fondo alla valigia di Massimo trovò un ritratto di donna, diventò pallida e ghiaccia.

- Non m'ero ingannata! -

Quella testina giovane e bella, ombrata dal cappellino a larghe falde, la guardava sorridente con grandi occhi profondi e immobili, staccata quasi in rilievo dal fondo sfumato che pareva la cingesse di una aureola, in lontananza di sogno...

E, barcollante, con quel cartoncino che le bruciava le dita, entrò nel salotto dove Massimo leggeva, sdraiato sulla sedia americana, dondolandosi:

- Chi è costei? - gli domandò con voce rauca dal turbamento che la sconvolgeva.

Massimo si era rizzato quasi per strapparle di mano il ritratto. Ella glielo porse, lasciandosi cadere sul canapè col volto fra le palme, la testa sui ginocchi.

- Che! Dici davvero? Rebecca! -

Soffocata dai singulti, ella non poteva piangere; e restava seduta, piegata sopra se stessa, premendo i pugni sugli occhi, mentre Massimo, cadutole ai piedi, brancicandole le braccia, l'andava ribaciando sulla fronte e su i capelli:

- Che sciocchezza! Per un vecchio ritratto di quattr'anni fa, dimenticato nella busta della valigia chi sa da quanto tempo!... Non rammenti? -

Appunto, perché rammentava, e Rebecca rispose: - È lei!... Colei che tu ami!... Io sono soltanto un tuo capriccio... Va'! Va'! Lasciami sola... Non ti voglio piú bene in questo punto... Va'! Va'! Lasciami sola -.

Da a poco però, il suo sdegno si scioglieva come neve al sole, fra le forti e calde braccia di Massimo che le susurrava all'orecchio:

- Hai torto. Sei una bambina! -

A quella voce, a quegli abbracci, no, ella non seppe resistere; e rialzò la testa quasi suo malgrado, ancora imbroncita, con gli occhi torvi, le labbra contratte, e il cuore che le tremava dalla soddisfazione di vedere Massimo cosí carezzevole, amorosamente fissato su lei.

- , ! Tu l'ami ancora! -

La protesta però le moriva su le labbra ridiventate rosse, e il vago sorriso delle pupille la smentiva.

- Non l'ami piú?

- No, te lo giuro!

- L'amavi piú di me? Quanto me?

- Perché fare confronti? Si può forse amar due volte allo stesso modo? E poi...

- E poi?...

- Fui certamente piú amato che non amassi; ne ho avuto fin rimorso.

- Non mentisci?

- Te lo giu...

- No, non giurare: la tua parola mi basta -.

E lasciò che Massimo le divorasse a furia di baci la mano ch'ella gli avea messo sulla bocca per impedirgli di giurare:

- Ah, quanto ho sofferto! Vedendo saltar fuori quel ritratto, mi sentii ferire da un pugnale... Però, però... se tu lo conservi gelosamente, vuol dire...

- Che mi è caro, non lo nego; ma come ricordo soltanto -.

Rebecca gli tese le labbra. E per parecchi giorni non ne riparlarono piú.

 

Una mattina, nella grotta della fontana, sul tappeto di musco, sotto i festoni di capelvenere che pendevano dalla volta e dalle pareti, a un tratto ella gli disse:

- Massimo, sono gelosa.

- Che assurdità! Di un'ombra?...

- Ah, non era un'ombra quando tu l'amavi e la baciavi e la stringevi fra le braccia!

- Povera creatura! Se ci vedesse e ci sentisse, come t'invidierebbe!

-... Piú bella del ritratto?

- Bellissima. In quel volto ovale e fresco la bocca sorrideva quasi sempre. Tu vedi che già posso ragionarne tranquillamente...

- E... dimmi: ti baciava meglio di me? Con questa foga?... Ti lasciava, come mi sembra che in questo punto te l'abbia lasciato io, qualcosa dell'anima sua dove toccava con le labbra?... Dimmi dimmi...

- No; era diverso.

- Già tu mi rispondi cosí per farmi gabbata e contenta, è vero?... E dimmi...

- Ancora?

- , , voglio saper ogni cosa! Capisci? -

 

Quel viso ovale e fresco, dalla bocca sorridente ella se lo vedeva balenare davanti agli occhi in ogni momento della giornata, e la notte lo sognava: persecuzione e tormento che non le davano pace. In ogni occasione si sentiva spinta a domandare a Massimo:

- E lei?... Anche lei? -

E, subito dopo, si ribellava con alterigia di innamorata -

- Bellissima?... Forse! Insignificante però, si vede... Ah, la vorrei qui in un cantuccio, per farle capire come s'ama quando s'ama con questo fuoco che mi divampa nel petto!... È vero che uno, uno solo dei miei baci val piú di tutti i baci e di tutti gli abbracci di costei... dalla bocca che sorrideva quasi sempre? Rispondi: è vero?

- Che vuoi che ti risponda? Oh le donne! Come sono felici di tormentarsi da se medesime, quando non c'è chi le tormenti!

- Dici bene. Non voglio pensarci piú -.

Ci pensava piú di prima invece, quantunque non osasse dirlo, dopo che le era parso di scorgere una lieve traccia di malumore nelle risposte di Massimo. Ci pensava piú di prima, specialmente in quelle ore d'intimità e d'abbandono nelle quali ella sentiva invadersi da un furore di baccante, da una ferocia d'animale che vuol sfogarsi sbranando; allorché colei... dalla bocca sorridente le appariva bella e fresca, col volto ovale, gli occhi grandi e immobili sotto le larghe tese del cappellino, - quale l'avea vista nel ritratto - e le sembrava venisse a contenderle Massimo e a irriderla; quasi le gioie, le ebbrezze d'amore da lei credute cosa nuova e ineffabile, eccezione, rivelazione, fossero il fondiglio della coppa alla quale colei e Massimo avevano bevuto insieme; fondiglio spregiato e buttato via!... Oh, no, no davvero!

- Dio!... Tu mi fai paura, - le disse Massimo una volta.

- Mi par di impazzire - ella rispose.

 

Ed ecco che cominciava a sentirsi anche lui assediato da quella figura venuta a intromettersi in modo cosí strano fra loro: e il rimorso di essere stato un po' ingrato verso quella povera creatura, che lo aveva tanto amato e aveva tanto sofferto, tornava a farsi vivo sotto lo stimolo dell'irragionevole gelosia di Rebecca, riprendendo a pungerlo prima sordamente, poi con calda sensazione di fatto recentissimo, di ieri!

- Come non se n'avvede Rebecca?

- In certi momenti gli veniva di gridarle:

- Ma tu, imprudente, tu risusciti la tua rivale! -

E quando ella accennava a colei con l'ironica superiorità del possesso presente, e scherniva la povera dimenticata e lontana, per confermare in quel modo a se medesima il proprio trionfo, Massimo provava un indefinibile sentimento di tenerezza e di pietà per l'assente conculcata, che non si meritava tal oltraggio e non poteva difendersi.

 

Non si sentivano piú soli in mezzo alla solitudine della campagna. Un'eco della vita passata, e dalla quale avean cercato fuggire, vibrava forte nell'afa delle giornate estive, nel blando crepuscolo delle sere, nella misteriosa oscurità delle notti, e diveniva angosciosa per tutti e due.

- La colpa è di Rebecca! - pensava Massimo.

- La colpa è di lui! - pensava Rebecca che non riusciva a perdonargli la religione di quel ricordo. - Finché Massimo serba cosí gelosamente il pezzettino di carta fotografica su cui sta impresso quel ritratto di donna, no, non è possibile che io viva tranquilla. Come non gli è già venuto il pensiero di farmene un olocausto, in espiazione di quanto ho sofferto e soffro ancora? -

Aspettava che Massimo capisse e spontaneamente le dicesse: - Eccolo qui, gelosa! Strappalo, brucialo, fanne quel che tu vuoi! -

E quando si persuase ch'egli non capiva o non voleva capire, una mattina gli si piantò dinanzi, col viso sconvolto, il seno ansante:

- Mi vuoi bene? -

Massimo tentò di prenderla per le mani e attirarla al petto

- Sei bella, straordinariamente bella nel disordine mattutino

- Mi vuoi bene? - ella replicò - ?... Allora, distruggi quel ritratto, sotto i miei occhi -.

E lo trascinò verso la valigia. Massimo era impallidito.

- Tu lo vuoi? - domandò, guardandola fisso.

- ... Te ne prego!... Sono pazza... Soffro.

- Bada! - egli disse mostrandole il ritratto che gli tremava in mano. - Ti voglio tanto bene, che esito ancora. Sarebbe una viltà; ce ne pentiremmo subito tutti e due.

- Massimo!... Non ti ho mai visto cosí profondamente commosso.

- È vero. Da parecchi giorni accade dentro di me qualcosa di strano. Una mano crudele mi ha rimescolato in fondo al cuore, e le ha fatto venire a galla, tante cose che giacevano da gran tempo e vi sarebbero rimaste per sempre. Non te lo volevo dire, ma questa gelosia senza ragione, ma questi continui richiami verso un passato che ricordavo appena e - se talvolta lo ricordavo - mi lasciava indifferente... , deve essere per questo, senza dubbio... -

Rebecca non lo lasciò finire e si lanciò verso il tavolino dov'egli aveva posato il ritratto. Dopo alcuni istanti, Massimo - che s'era voltato dall'altra parte, con gli occhi chiusi per non vedere il sacrilegio - la sentí avvicinare pian pianino, e sentí le delicate mani di lei volgergli dolcemente il capo verso il bel paesaggio del Gignous che pendeva dalla parete:

- Guarda! -

Dal cartoncino incastrato fra la tela e la cornice del quadro, nella luce calma della stanza, la bella testina della rivale sorrideva, con i grandi occhi immobili nel volto ovale, sotto le larghe tese del cappellino.

- Ed ora che ti so mio, tutto mio, non vorrai restare altri quindici giorni con questa povera matta che t'adora? -

 

Roma, 30 giugno 1883.

 

 

 



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