Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO II

IL DECAMERONCINO

V GIORNATA QUINTA CREAZIONE

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V

 

GIORNATA QUINTA

 

CREAZIONE

 

- Eh, lo sappiamo! - esclamò un giovanotto, studente in legge, che si dava aria di scettico. - Il buon marito fa la buona moglie, e viceversa. Ma non è niente vero che tutti i proverbi siano provati.

- No, - rispose il dottor Maggioli - non intendo dir questo. Forse mi sono spiegato male. Ecco: secondo me, uomini e donne ci conosciamo cosí poco, da formarci un falso ideale degli uni e delle altre. I nostri pregi e i nostri difetti, questi specialmente, non dobbiamo stimarli un'accidentalità del nostro organismo; ma accettarli quali sono - insieme indissolubile - per non crearci da noi stessi illusioni, che poi producono spesso tragici disinganni. Se le donne però potessero crearsi da sé gli uomini e gli uomini le donne, non riuscirebbero a farli punto diversi da quel che sono. L'esperimento lo ha dimostrato, e la filosofia la ragione dell'esperimento fallito. I filosofi affermano essere le idee una realtà, anzi la sola realtà. Le idee uomo e donna non le abbiamo foggiate noi, ma Dio o la natura, o non sappiamo chi; e se noi avessimo la potenza di attuarle come la hanno Dio, o la natura, o non sappiamo chi, arriveremmo soltanto a fare quel che hanno già fatto questi onnipotenti maestri -.

Dopo una breve pausa, il dottore soggiunse:

- Ho conosciuto un uomo singolare a cui la ricchezza, l'ingegno, la forte volontà permisero di cavarsi il capriccio di crearsi una donna...

- Oh! Oh! - urlarono tutti.

- La vostra incredulità non mi stupisce - riprese il dottore, calmo e col solito bonario sorriso su le labbra. - Ma io non vi spaccio una teorica; voglio raccontarvi un fatto, avvalorato dalla mia testimonianza. Ho veduto, ho toccato con mano; e per quanto esso sia meraviglioso e quasi incredibile, non è meno vero. Nel maggio del 1881 incontrai a Londra un intimo amico che non rivedevo da parecchi anni; tornava allora allora dalle indie.

«Che sei andato a fare colà?» gli domandai. Rispose

«Un viaggio scientifico».

«Da naturalista

«Per iniziarmi nell'alta scienza, nella Ragi-Yog

Era la prima volta che ne sentivo parlare, e perciò chiesi spiegazioni.

Insomma, il mio amico, attratto dalle pubblicazioni occultiste della signora Blavatsky e del colonnello Olcott, era andato a Adyar, nella provincia di Madras; e, fatto il suo noviziato mistico, di sette anni, nelle solitudini del Himalaja, aveva ricevuto la comunicazione dei grandi poteri dell'antica occulta scienza indiana posseduta dai mahatma del Tibet, come dire dai grandi maghi, depositari gelosi di una scienza a petto della quale la nostra fisica e la nostra chimica, coi loro piú meravigliosi trovati, sembrano veri giuochi da fanciulli.

Da prima io credetti che il mio amico volesse divertirsi a mie spese; poi, di mano in mano che udivo le sue spiegazioni, cominciai a sospettare che fosse ammattito, sconvolto dalle astinenze, dai digiuni, dalle mistiche esaltazioni del suo noviziato di sette anni. Infatti aveva preso aspetto da asceta, magro, con barba e capelli già grigi, con lo sguardo vago e sbalordito di chi ha visto cose straordinarie, di un altro mondo, e non sa rendersi ancora conto se ha visto davvero o sognato.

«A che scopo tutto questo? - gli dissi all'ultimo. - Non era meglio che tu avessi continuato la tua vita di godimenti e di amori che la giovinezza e la ricchezza ti consentivano

«Appunto, un terribile disinganno di amore...»

«Volevo ben dire che non c'entrasse la donna!» lo interruppi.

«Ma ora sono sul punto di raggiungere la felicità suprema; potrò crearmi una donna a modo mio».

«Sarà una bella cosa! Ed hai cominciato

«Appena arriverò a Napoli. È il luogo prescelto».

«Parto per Napoli anch'io. Potrò assistere all'esperimento

Dovetti dir questo con cosí mal dissimulata incredulità, che il mio amico crollò il capo compassionandomi, e soggiunse soltanto:

«Vedrai

Durante la traversata da Marsiglia a Napoli, Enrico Strizzi m'iniziò con molta pazienza - ero ricalcitrante - nei misteri della scienza occulta, pel tanto che occorreva perché io capissi quel che egli voleva fare. Sopratutto mi spiegò che cosa sono gli elementali: granuli, atomi viventi, sparsi nell'aria, capaci di ricevere, da chi ne ha il potere, la virtú di esplicarsi in una forma determinata. Bisognava afferrare uno di questi atomi, assoggettarlo, incubarlo, trarne insomma la creatura nuova, la donna perfetta che egli intendeva creare per sé.

«Vedrai

Gli avevo ormai udito ripetere questa parola tante volte e con tale serietà, che cominciavo a sentirmi scosso ed a pensare:

«Ma sarà possibile? Vedrò proprio questo miracolo

E l'ho veduto! Vi giuro che l'ho veduto. Non è stata un'allucinazione. Ho veduto e toccato con mano!

Enrico Strizzi stava chiuso da un mese in quella bella casetta sul Vomero, scelta per operarvi l'esperimento, ed io avevo rare notizie di lui per mezzo di qualche laconico biglietto, che mi assicurava: «Tutto va bene

«Ma sarà possibile? Vedrò proprio questo miracolo

Me lo domandavo ogni giorno, ogni momento, e non senza un gran timore che alla fine io non dovessi assumermi il triste incarico di condurre il mio amico al manicomio. Questo timore diventò certezza per me la mattina in cui ricevei un biglietto di Enrico che mi diceva: «Vieni!» E, per precauzione, mi feci portare lassú da una carrozza chiusa, che, caso mai, avrebbe potuto servire a quello scopo.

Prima di introdurmi nel laboratorio, - non so come chiamare la stanza dov'egli faceva l'esperimento - Enrico volle spiegarmi la ragione per cui aveva scelto Napoli, e non un altro paese, pel suo tentativo. Anche gli elementali sentono l'influsso del clima, dell'ambiente; e lui, meridionale, voleva crearsi una donna meridionale, forse in omaggio al proverbio: moglie e buoi dei paesi tuoi.

Era divenuto piú scarno, piú pallido; e nel suono della voce e nel tremito di tutta la persona appariva una straordinaria concitazione nervosa.

«Tu soffri» gli dissi.

«Un po'! Parte della mia vitalità si è trasfusa nell'opera mia. Vieni; ma non fare bruschi movimenti, e parla a bassissima voce. Stupirai».

La stanza mi parve al buio. Poi cominciai a distinguere la luce dei vetri rosso cupi di parecchie lanterne, e, finalmente, in un angolo, aguzzando lo sguardo, potei discernere una forma biancastra, vaporosa, che oscillava lentamente per aria. «Eccola!» mi sussurrò all'orecchio.

Sembrava la proiezione di una bella statua rappresentante una dormente, fatta col mezzo della lanterna magica, sul nero del drappo che rivestiva le pareti e la volta. Se non che quel corpo aveva una trasparenza maggiore di quella dell'alabastro; ed era cosí lieve, che i nostri fiati bastavano a imprimergli un movimento di ondulazione. Si spostava a poco a poco, girando attorno; e quando passava davanti a uno di quei vetri rossi delle lanterne, si coloriva di un rosso tenero, inesprimibile. Ci fu un momento che esso mi passò cosí vicino e cosí lentamente, da permettermi di scorgere quella specie di involucro sottilissimo che lo teneva chiuso e lo proteggeva dalle impressioni esterne.

«Tutto questo deve solidificarsi. Occorreranno altri due mesi prima ch'ella si svegli alla vita e rompa l'involucro elementale

Credevo di sognare. Mai la mia ragione e il mio scetticismo erano stati messi a piú dura prova!

«Avrà tutte le perfezioni - mi disse Enrico uscendo di . - Ho voluto incarnare il piú alto ideale di donna che mente umana possa concepire. E sarà mia e m'amerà, come io amo me stesso; è parte di me, e la piú eletta

Due mesi dopo, il gran portento era compiuto. Quella creatura incredibile aveva rotto l'involucro elementale, e si era come destata da un lungo sonno. l suoi occhi non potevano tollerare la luce viva del giorno; tutti i suoi sensi erano incerti nelle loro funzioni, simili a quelli di un neonato. Ma pochi giorni bastarono perché io non potessi piú distinguere lei da qualunque altra donna che avesse raggiunto l'età di vent'anni. Che incanto però! Che freschezza di carnagione e di tinte! Anche Enrico sembrava ringiovanito. Oh, era felice!

Io mi sentivo cosí sconvolto da quella realtà che non potevo piú negare, da sembrarmi, in certi momenti, di essere sul punto di perdere la ragione. Fortunatamente cominciai a riflettere che quel portento, se era avvenuto - e come resistere alla testimonianza di tutti i miei sensi? - se era avvenuto, bisognava crederlo un fatto naturale simile a tanti altri che l'abitudine di ogni giorno, di ogni minuto, ci fa stimare meno miracolosi, meno stupefacenti!

E già invidiavo la felicità del mio amico...

Ahimè! Né lui né io avevamo preveduto che si possono spingere, , fino oltre certi limiti le forze della natura, ma non mai ridurle diverse da quel che sono. Egli aveva potuto creare, infatti, una donna ideale perfetta, ma in questa creatura si era incarnata l'idea superlativa della donna coi pregi e coi difetti che ne costituiscono l'essenza. Perciò in Eva, l'aveva chiamata cosí - tutto era riuscito estremo; e mai donna ordinaria aveva accumulato in sé tanto orgoglio, tanta vanità, tanta leggerezza, tanta tenerezza, tanta sensualità, tanta gelosia, tanta caparbietà, tanta elevatezza e tanta miseria, da renderla a dirittura insopportabile! Il povero mio amico ne fu spaventato. Dopo sei mesi egli odiava la sua creatura, e già pensava al modo di disfarsene.

«Commetteresti un delitto!» gli dissi.

«Ne ho già commesso uno assai maggiore - esclamò - violentando la natura

«Abbandona costei alla sua sorte

«No!»

Era geloso che altri potesse possederla.

E, un giorno, mi condusse a casa sua.

Non ho mai assistito a spettacolo piú spaventevole e piú triste.

La bella creatura era già ridotta di nuovo forma vaporosa, evanescente. Tutte le supreme angosce dell'agonia ne scomponevano il bellissimo viso; gli occhi smorti nuotavano già nell'ultimo sonno, sotto l'influsso di un potere omicida altrettanto forte quanto quello che l'aveva evocata alla vita.

Enrico Strizzi - entrato in un convento di frati trappisti - vi medita ancora, nel silenzio, la vanità della scienza e attende, espiando, la morte!

 

 

 



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