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VIII
Io non saprei determinare fin dove si estenda il diritto dell'osservazione scientifica; so però che certe volte esso rasenta il delitto.
- Rasenta soltanto? Siete troppo indulgente, dottore.
- Caro amico, - riprese il dottor Maggioli - se la colpa consiste principalmente nelle intenzioni... Ecco: mi spiegherò meglio con un caso particolare, che mi tiene ancora, dopo tant'anni, molto perplesso. L'autore, diciamo cosi, di questo delitto scientifico rimase tranquillo anche dopo il tragico scioglimento da lui provocato. Forse l'esperimento sorpassò, nelle conseguenze, la sua intenzione; ma egli, alla fine, non fu troppo dispiacente di quel che era accaduto. Se dovessi anzi giudicare dalla mia impressione di quella mattina, quando egli venne ad annunciarmi, con gioia di scienziato che ha ricevuto dai fatti la conferma di un'ipotesi: «Sai? Si è ammazzata!» dovrei confessare piuttosto che ne fu lietissimo. Ma in quel momento, per colui la morte di una creatura umana significava unicamente un problema fisiologico e psicologico risoluto; nient'altro. La scienza, o meglio gli scienziati, hanno un particolare egoismo; il loro interesse personale non c'entra punto, o c'entra per quel po' di vanità umana che vien solleticata dall'idea di poter scoprire una verità prima degli altri.
- Oh! Di molte verità scientifiche si può fare a meno. Non casca il mondo, se l'umanità rimane ignorante di un fatto, di una legge! È andata avanti per migliaia di secoli, ignorando tante e tante cose; va avanti ignorandone tante altre!
- Lei ha ragione, baronessa - rispose il dottore, sorridendo. - Ed io mi spingo anche piú in là; penso che essa perdura e perdurerà a lungo appunto perché sarà sempre una grande ignorante. Non è meno vero però che il suo istinto di penetrare nei misteri della vita può scusare talvolta anche gli eccessi di soddisfarlo. Sono curioso di sentire come lei giudicherà l'esperimento in anima vili fatto dal mio amico, che è stato tra i primi a introdurre nella psicologia il metodo puramente sperimentale. Egli aveva scritto una lunga e particolareggiata memoria intorno al caso che voglio narrare. Doveva essere presentata, dopo la sua morte, alla famosa «Società per le ricerche fisiche», di Londra; vivente, egli temeva di vedere mal giudicato il suo esperimento e non voleva aver che fare col codice penale... Temeva poi, e piú d'ogni altro, la gelosia di sua moglie, che forse non avrebbe creduto schiettamente scientifico l'esperimento fatto da suo marito. Non so che cosa sia avvenuto di quella relazione. Il mio amico è morto da un pezzo, e i suoi manoscritti forse sono andati a finire presso qualche salumaio; gli scienziati, ordinariamente, hanno grandi asini per eredi. Ma veniamo al fatto. Il mio amico studiava da qualche anno questo problema: la rassomiglianza fisica di alcuni individui implica pure una rassomiglianza morale? Certe linee della faccia, certe proporzioni di membra, certi gesti, il suono della voce sono in cosí stretta relazione con la psiche d'un individuo, da dover riprodurre gli stessi fenomeni inferiori, se si ripetono quasi identicamente in un altro individuo?
Aveva esaminato parecchi gemelli; ma i risultati della sua inchiesta non erano stati soddisfacenti. E poi egli stimava i gemelli un unico individuo. Bisognava studiare piuttosto la straordinaria rassomiglianza fra estranei, e non era facile riuscirvi. Un giorno egli venne a parlarmi di un caso proprio incredibile. Si trovava a passeggiare, con la moglie sotto braccio, per una via remota della città, quando ecco davanti a loro due persone, un uomo e una donna, prese anch'esse a braccetto; padre e figlia; si capiva dall'aspetto e dal loro contegno. Ma la giovane rassomigliava, in tutto, talmente a sua moglie, che il mio amico, su le prime, credette a un'allucinazione. La rassomiglianza era stata notata anche dalla signora. Per ciò affrettarono il passo e sorpassarono quei due per osservare se mai non si fosse trattato di una illusione ottica prodotta dalla distanza. No; quella giovane era, per dir cosí, una riproduzione cosí esatta, cosí perfetta di sua moglie (la sola differenza consisteva nella qualità della stoffa e nel colore del vestito) che tutti e due furono spinti a seguirli, meravigliatissimi della stranezza del caso. Sua moglie, ridendo, gli disse: «Se io morissi, dovresti sposare costei. Cosí ti parrebbe di non avermi perduta. Abitano qui non dimenticarlo. Potrai chiedere informazioni al portiere». Il mio amico rispose con una spallucciata. Ma aveva già notato il nome della via e il numero della casa. Dell'idea che gli era spuntata improvvisamente nel cervello però non fece motto alla signora. Ne parlò con me, esponendomi il suo disegno; non voleva lasciarsi sfuggir di mano cosí bella occasione. Avrebbe cercato di avvicinare la ragazza, entrare nella sua intimità e tentare di metterla nelle stesse circostanza in cui si era trovata la sua signora sette od otto anni addietro. Prima ch'egli la conoscesse, ella si era avvelenata per una delusione di amore, ed era stata salvata a stento; risentiva tuttavia gli effetti di tale pazza risoluzione. Avrebbe tentato di suicidarsi anche quella giovane per delusione di amore? Ecco il problema.
«E come farai?»
«M'ingegnerò d'innamorarla».
«E poi?»
«La tradirò, l'abbandonerò, meglio, le confesserò che sono ammogliato».
«Ma tu commetti un'azione disonesta!»
«La scienza giustifica qualunque atto».
«E se invece... - può benissimo accadere; noi non siamo padroni del nostro cuore - se comincerai col fingere, e finirai con far sul serio?»
«Voglio troppo bene a mia moglie».
Le circostanze lo avevano aiutato. Il mio amico era un bell'uomo, gioviale, pieno di spirito, quantunque fisiologo e psicologo. Allora aveva appena trentadue anni, e gli fu facile insinuarsi nel cuore della ragazza.
«Passo - mi diceva - di meraviglia in meraviglia. Vi sono dei momenti in cui mi sembra proprio di stare a conversazione con mia moglie. Ho dovuto fare la mia dichiarazione al padre; mi sono fidanzato».
«Ho dato un nome falso. La ragazza mi adora».
«È un buon uomo; non gli par vero di maritare la figlia; è vedovo e impiegato alla dogana».
«E tu lo inganni...»
«Per amor della scienza. Sono su la via di provare, assolutamente, che o è il corpo che foggia quel che chiamiamo psiche, o è questa che foggia il corpo in una data maniera. Non è un fatto accidentale avere il naso a un modo, i capelli di un certo colore, gli occhi cosí e cosí. Ogni linea, ogni proporzione del nostro corpo, ogni facoltà dell'animo sono determinate da una legge d'intima corrispondenza. Il Gall e il Lavater hanno sbagliato strada; erano, disgraziatamente, anche metafisici. L'esperienza soltanto potrà dare risultati positivi. Quando avremo messi insieme qualche migliaio di fatti di questo genere, saremo sicuri...»
«Intanto tu ti prendi i baci della ragazza!»
«Quasi fossero quelli di mia moglie».
«Se tutte le esperienze scientifiche rassomigliassero a questa!...»
«Per me, stare con Lidia (si chiama Lidia) è come stare in laboratorio. Quel che scopro ogni giorno è strabiliante».
«Qualche piccola differenza però tra tua moglie e lei ci dev'essere».
«Sí, qualcuna; e, guarda, l'ho notata; ma le identità fisiche e morali sono a dirittura incredibili. Senti, senti».
E mi leggeva gli appunti delle osservazioni fatte, i dialoghi che si riscontravano parola per parola, i gesti, i gusti... «Stessa foga di affetto, stessa tenerezza, stessa abnegazione, stesso disinteresse... stesso modo di baciare, di accarezzare... stessi capricci, stessi impeti di gelosia, di collera...»
«Bada: non spingere tropp'oltre l'interesse dell'osservazione...»
«Oh, no! Sono un gentiluomo».
Infatti io mi meravigliavo di vedere la sua tranquillità: era proprio un esperimento in anima vili quel ch'egli faceva. «Ora ho cominciato a mostrarmi un po' freddo, un po' indifferente. Non me n'ha parlato - è troppo orgogliosa, come mia moglie - ma mi sono accorto che ha pianto».
«Smetti; tu tormenti una povera creatura!»
«Voglio andare fino in fondo. Tra due giorni le farò sapere che sono ammogliato».
«E se si avvelenerà?»
«La salverò; giungerò in tempo; la sorveglio».
Non giunse in tempo! E mentr'egli si attendeva che la giovine dovesse avvelenarsi, per compire le rassomiglianze con l'altra, colei aveva agito piú spicciamente; si era tirato un colpo al cuore con una rivoltella di piccolo calibro. Il povero padre l'avea trovata morta, stesa sul lettino e cosí composta che sembrava addormentata.
Quando il mio amico venne ad annunciarmi: «Sai? Si è ammazzata!» quasi quella morte lo interessasse perché dava una ultima conferma al suo esperimento, io lo guardai atterrito degli snaturamenti che può produrre la scienza. Quel mostro umano, bisogna però confessarlo, era sublime in quel momento.
Dopo, ripensandoci meglio, mi son sentito imbarazzato. Il diritto dell'osservazione scientifica può estendersi fino alla morte di un'innocente creatura, perché un fatto, una serie di fatti siano positivamente verificati e sia accertata una legge? Egli intanto è vissuto e morto tranquillo, da uomo convinto di avere adempito a un dovere -.