Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
Lettura del testo

TOMO III

COSCIENZE

XVI UN SUICIDA

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

XVI

 

UN SUICIDA

 

- Se dicessi recisamente che la comitiva era un po' brilla, direi un'esagerazione e calunnierei quell'anemico vinetto che pareva acqua appena tinta con un po' di zafferano, ma che frizzava discretamente nel palato e aveva gusto delizioso... Neppure intorno a questo punto voglio esprimere un'opinione recisa, perché non sono proprio sicuro se il gusto delizioso provenisse dal vinetto o dalla gran sete che avevamo tutti e quattro, dopo sei o sette miglia di passeggiata campestre. Cosí la qualificava Bonardi, ed era stato invece un faticoso arrampicarsi per sentierucoli, per viottole anche per terreni dove non c'era vestigio di qualcosa che potesse lontanamente somigliare a una viottola, a un sentiero, a un segno di orma umana qualunque.

Il piú seccato ero io che amo la campagna fino a un certo limite e non ho nessun entusiasmo per la natura vergine, come la predilige Bonardi. Io - e forse sbaglio - sto per la natura artificiale, cioè per la natura disposta in modo che corrisponda a un mio ideale di tranquillità, di armonia, di riposo. Bonardi, al contrario, e un po' anche Rossi e Pratella la pensano diversamente: e quanto piú un albero è brutto e un luogo aspro e incolto tanto piú si effondono in entusiasmi che mi fanno compassione.

Ma oramai si era stabilito che tutte le domeniche di quella primavera - incantevole, voglio proclamarlo ad alta voce, rara primavera, come da anni non capitava, perché tutto è sottosopra in questo mondaccio birbone, e fin le stagioni fanno sciopero quasi fossero divenute socialiste anch'esse - ma ormai si era stabilito che tutte le domeniche dovevamo riunirci per una passeggiata campestre, ed io non intendevo di venir meno alla parola data di far parte della comitiva.

«Chi manca al convegno è un vile!» aveva sentenzionato Bonardi. Mi dispiaceva che la sera del lunedí appresso al caffè Mola, davanti a tutti i numerosi avventori, egli dovesse dichiarare solennemente: «Lavigna è un vile

Non è la prima volta che un pover'uomo si senta obbligato a fare quel che meno gli piace, anzi, che piú gli dispiace. La società è organata cosí, e va avanti appunto a furia di queste misere transazioni in cui ognuno sacrifica parte della sua felicità alla felicità degli altri; se pure è vero che gli altri poi godano di tale involontario sacrificio! Ma lasciamo andare le considerazioni filosofiche; veniamo al fatto.

Il fatto dunque è il seguente. Non eravamo brilli; piuttosto, come io credo, sovraeccitati dalla stanchezza e forse dall'interno dispetto, che nessuno voleva confessare, di non essersi punto divertito. Cosí mi spiego la discussione che s'ingaggiò lungo il ritorno, verso sera; discussione talmente accanita - perché infine? Non me lo so spiegare neppure ora! - da far temere che non degenerasse in rissa, e da dover far sospettare giustamente dello stato mentale di tutti e quattro per colpa di quel disgraziato vinetto che non c'entrava per nulla. , se n'era bevuti parecchi litri, senza accompagnarli con qualcosa di solido che avrebbero potuto attenuarne gli effetti; ma io giuro, per quel che ho di più sacro, che esso era innocuo, e che la discussione si sarebbe invelenita ugualmente con qualche scioppe di quella cattiva birra somministrataci ogni sera dal pingue padrone del caffè Mola.

Bisogna premettere che, quantunque amicissimi e da un pezzo, sin da quando fingevamo di studiare al ginnasio, al liceo e poi all'università, noi quattro non ci trovavamo d'accordo su niente; uno andava a destra, l'altro a sinistra; il terzo a levante, il quarto a ponente; e, senza dubbio, questa assoluta discordanza di opinioni, di principii, di caratteri anche, era l'unica potente ragione della nostra sincera intimità. Se fossimo andati di accordo come la gente s'immagina che debba accadere tra amici, ci saremmo mortalmente annoiati di riunirci ogni sera allo stesso caffè, attorno allo stesso tavolino diventato cosí nostra intangibile proprietà che gli avventori ordinari del caffè Mola non osavano occupare neppure per un momento quel posticino in fondo, accanto alla seconda vetrata, e i camerieri avevano l'amabilità di avvertire qualche ignorante avventizio che, dalle otto di sera in poi, esso era «riservato». Non si può dire che, poveretti, lo facessero pel vile intento delle generose mance da buscarsi da noi. Intorno alle mance Bonardi aveva una splendida teorica, avversa s'intende, ed era riuscito a farla adottare anche a noi. Questa condotta dei camerieri del caffè Mola a nostro riguardo rimarrà una delle tante inesplicabili cose dell'universo. Io ho rinunciato a ogni tentativo di spiegazione possibile, anche perché il mistero (qui sono d'accordo con Pratella, che si picca di idealismo) mi sembra il sale della vita.

Ecco! Quest'ultima parola mi richiama alla memoria, che venne appunto da lui l'appiglio alla discussione, ritornando dalla benedetta passeggiata campestre, terza o quarta della felicissima primavera di quell'anno.

«La vita - si era lasciato scappare di bocca Pratella - ha soltanto valore per quel che non è».

«Spiegati» aveva risposto Bonardi.

«Se c'è qualcuno che non capisce peggio per lui!» lo rimbeccò Pratella.

«Siamo due a non capire» soggiunse Rossi.

«Siamo tre - feci io. - Se intendi di affermare che la vita ha soltanto valore per via della morte, dici una gran bestialità».

«Precisamente; ma la bestialità è tutta tua, che ignori che cosa sia la morte. Comincia dal capire la morte e ti scioglierai l'enimma della vita».

«La morte è semplicemente la negazione della vita» esclamò Bonardi.

«È la logica di essa - rispose serio serio Pratella. - Senza la morte, la vita sarebbe un assurdo».

«Bumhurlò Rossi.

«In verità - insinuai timidamente - io farei a meno di cotesta logica, se fosse possibile. Soppressa la morte, la vita mi parrebbe la cosa piú perfetta di questo mondo».

«Ed è precisamente l'opposto».

«La vita! - rispose Rossi. - Io le sputo in viso; e alla morte pure. Due infamie, una peggio dell'altra!»

«Su, via, spiegati, se ci riescidisse Bonardi rivolto a Pratella...

«È inutile; sarebbe fiato sprecato... Credete voialtri alla immortalità dell'anima? No. Avete questa irreparabile disgrazia...».

«Fammi il piacere - lo interruppe Bonardi - con cotesto tuo rancidume dell'immortalità! Non c'è bisogno di essa per valutare la vita e la morte. Secondo me, vita e morte si equivalgono in quanto sono due cose fuori del potere dell'individuo. Si entra nella vita senza la nostra volontà, se n'esce allo stesso modo».

«E il suicidio, grullissimo Bonardi, non lo conti per niente?» protestò Rossi.

«Tutto quel che è contro la ragione non conta un fico secco

«Bestia! La vita è sopportabile unicamente perché possiamo buttarla via quando ci fa comodo di sbarazzarcene».

«Quasi fosse tua proprietà

«Di chi dunque?»

«Della natura, della specie. È un imprestito, per cosí dire, con obbligo di restituzione immediata appena ci sia richiesto».

«La natura! La specie! Parole! La vita è dell'Assoluto

«Dio mio, a che siamo giunti! - esclamai. - Ogni volta che sento pronunciare la parola Assoluto mi vien la pelle d'oca! Caro Pratella, con questa fissazione dell'Assoluto, tu risichi di andare diritto diritto al manicomio

«Già degni del manicomio siete voialtri, materialisti, atei, nullisti! Si scorge dal modo con cui ragionate. Ecco: quello si crede talmente padrone della sua vita, da disfarsene quando meglio gli piaccia... Ragionamento da bestie. No; non voglio offendere le bestie; esse ignorano il suicidio».

«L'ignorante sei tu - gridò Rossi - tu che non sai tanti fatti, ormai accertati dai naturalisti, di bestie che si sono suicidate con lo stesso nobile stoicismo degli uomini... Il suicidio è la rivincita dell'individuo contro la tirannia della specie, giacché voi parlate della specie come di una realtà. Stupidaggine! L'astratto non esiste».

«È la sola realtà, bimbo mio! La sola realtà esistente, perennemente esistente. Quella che tu credi realtà è, invece, fenomeno transeunte

«Dopo il transeunte, io scappo

E scappai davvero per una ventina di passi. Quando mi voltai, vidi Rossi che si contorceva o faceva le viste di contorcersi dalle risa (la sua eccessiva ilarità mi sembrava forzata), Pratella che gesticolava e urlava come un ossesso, rosso in viso, con gli occhi fuori della testa, e Bonardi che, coi pugni stretti levati in alto, sbraitava rivolto al Rossi: «Ripeti quella parola! Ripetila, se hai coraggio

Quale fosse stata quella parola non potrei saperlo. Accorsi, mi misi in mezzo, diedi qualche spintone a Bonardi, apostrofai Rossi perché smettesse, afferrai Pratella pei petti del vestito, urlandogli: «Eh! Via! Eh, Via!» e gli accennai di andare avanti conducendo Bonardi con lui.

Rimasti un po' in distanza da loro, presi a braccetto Rossi facendogli segno di star zitto perché vedevo che Bonardi, di tratto in tratto, si rivolgeva a guardare e si fermava per ascoltare se mai questi avesse insistito su quella parola che per poco non li aveva spinti a prendersi a pugni.

La via era lunga e non agevole; il sole stava per tramontare dietro i colli a destra; un suadente silenzio, una gran pace ci circondava. Cosí io ricevei da Rossi la confidenza che allora mi parve una delle sue solite bizzarrie e che, pur troppo, da a un mese, doveva essere la piú terribile impressione che io abbia mai sofferto in vita mia.

Egli aveva cominciato a ripetere brontolando:

«Quasi fosse tua proprietà!... Di chi dunque? Io me n'infischio della natura e della specie, quando non ne posso piú della vita! Chi ha chiesto alla natura, alla specie: 'Fammi vivere?" Almeno riconoscetemi il diritto di buttar via con un calcio il triste regalo che mi è stato fatto

«No, no, abbi pazienza, il diritto no... In ogni caso... Si fanno tante e tante cose senza averne punto il diritto

«Perché poi possiate dire: "Era matto!..." Il suicidio dovrebbe essere ammesso dal codice, come uno dei piú alti diritti umani».

«Pretendi un po' troppo!»

«Ci dovrebbe essere un'opera pia, un istituto governativo dove ognuno potesse trovare pronti a sua disposizione i mezzi piú rapidi per ammazzarsi. Sarebbe l'unica benefica istituzione sociale».

«Io credo che tu esageri un po'!» risposi sorridendo.

«Nell'avvenire, quando la scienza avrà completamente trionfato contro i pregiudizi religiosi e civili, la carità pubblica dovrà provvedere a questo. Oggi siamo in piena barbarie. Ci si vuole annegare in un fiume?.. Ed ecco le barche di salvataggio! Ci si butta da un quarto piano? E si sopravvive storpiati! Si prende un veleno? E i medici si affrettano a lavarci lo stomaco, se la sventura vuole che parenti od amici o guardie di pubblica sicurezza ci portino a un ospedale! Ci si un colpo di pistola? E la palla devia, ci fa stare qualche mese tra la vita e la morte infliggendoci tormenti ineffabili, per poi lasciarci in vita e toglierci il coraggio di ritentare!... È un'infamia! E parliamo di civiltà

Non sorridevo piú, ma ridevo, tanto mi sembrava buffo quel che Rossi diceva con indignazione e disprezzo, serissimo.

«Ho letto che in America e in Inghilterra abbiano messo su qualcosa di simile

«Tentativi di speculazione privata, a pagamento! - rispose Rossi. - E chi ha bisogno di ammazzarsi spesso non possiede un soldo! Siamo sempre ! Privilegi! Ingiustizie

«Ma perché ti scalmani tanto? Non hai intenzione di ammazzarti spero» soggiunsi io.

«, e l'idea di non riuscire il colpo mi fa esitare, mi tormenta... quantunque...»

«Quantunque...»

«Quantunque l'occupazione di scegliere il miglior modo di ammazzarsi sia l'ultima, anzi l'unica ineffabile gioia del suicida; l'assaporo da due mesi. E voialtri asini, che credete nel famoso istinto della conservazione, vi figurate intanto che chi si ammazza operi in un istante di sconvolgimento mentale! Da due mesi, giorno e notte, io non mi occupo d'altro che di trovare il miglior mezzo, cioè il piú rapido, il piú sicuro - questo è l'importante - di farla finita...»

«E sei come quel condannato a cui era stato concesso di sceglier lui l'albero dove dovevano impiccarlo, e non ne trovava uno di suo gusto

«Non era un suicida costui!» rispose Rossi trionfalmente.

«Hai ragione! Voglio augurarti però che ti accada come a costui».

«Non ti sembra una mostruosità questa di non avere la certezza di potersi ammazzare in santa pace

«Che ragione hai tu di volerti ammazzare! Sei giovane, sei ricco, sei colto, con la lieta prospettiva di un bel avvenire...»

«Ah! tu non sai, tu non puoi sapere!» egli esclamò dolorosamente.

«Confidati con me; forse posso aiutarti a superare facilmente ostacoli e difficoltà che ti figuri insormontabili. Che diamine! Io credo che tutti i suicidi, se potessero rivivere, riconoscerebbero il loro torto di aver diffidato della vita

Rossi ammutolí. Scrollava la testa, sorrideva ironicamente, e camminava assorto in quella sua trista fissazione. Io, al suo fianco, mi perdevo in mille congetture per indovinare che cosa potesse afflíggerlo tanto da spingerlo a pensare al suicidio. Ero ormai convinto che egli parlava seriamente, e ne sentivo gran pena. Lo conoscevo molto bene da poter applicare a lui il proverbio: «Chi la dice non la fa!» Né mi passava pel capo che un odiatore delle donne, come Rossi soleva orgogliosamente proclamarsi, potesse essere caduto nella pania di un amore, di una passione tale... Eppure egli si è ucciso per un amore infelice!...

Lo avevo incontrato una mattina, elegantissimo, allegro, sto per dire, piú giovane - aveva trenta anni! - Mi era venuto incontro, stendendomi la mano, quasi avesse sentito gran piacere nel vedermi per caso:

«Sai? - mi disse. - Ho trovato, finalmente!»

«Che cosa?»

«Niente. Vieni a casa mia, domani, alle 10. Non mancare; t'attendo».

E mi lasciò con una lunga stretta di mano. I suoi occhi brillavano di contentezza. Egli era cosí tranquillo, che io non badai a riflettere intorno a quelle oscure parole: «Ho trovato, finalmente!» E poi ero soprappensiero per un mio affare.

Povero Rossi! Non dimenticherò mai l'orrendo spettacolo del suo corpo carbonizzato dalla corrente elettrica. Dalla sua finestra, egli aveva steso due capi di fil di ferro al filo di trazione del tranvai!... Oh!... Era irriconoscibile! Carbonizzato a dirittura!

Fortunatamente il suo testamento poté essere annullato. Egli lasciava tutta la sua sostanza, parecchia, allo stato, per l'istituzione dell'Opera Pia dei suicidi! Ma forse, riflettendo bene - poiché nessuno potrà mai impedire che piú avvengano suicidii - l'istituzione di quell'Opera pia... Non vorrei dire una sciocchezza... Sto zitto! -

Pietro Lavigna fece anche meglio. Accese un sigaro e andò via.

 

 

 



«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License