Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO III

LA VOLUTTÀ DI CREARE

VII LA CONQUISTA DELL'ARIA

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VII

 

LA CONQUISTA DELL'ARIA

 

- Ah! Scarrozzarsi tra le nuvole! Che delizia suprema! - esclamò la baronessa Lanari.

- «Spallonarsi» dovrebbe dirsi in tal caso, col buon permesso della Crusca - corresse il dottor Maggioli, ridendo. - Ma temo che questo vocabolo non giungerà mai a farsi registrare nel futuro dizionario degli accademici.

- Come? Lei non crede che la scienza stia per risolvere il problema della direzione degli aerostati? - lo interruppe l'avvocato Rosaglia.

- E quand'anche lo avrà risolto? - rispose il dottore. - Avrà vinto una bella scommessa contro le forze della natura; avrà inventato un magnifico giocattolo da far rivolgere in su tutti i nasi della gente; avrà trovato il mezzo di ottenere osservazioni meteorologiche di grande interesse per certi scienziati; avrà dato ai militari modo di spiare, da due o tre mila metri di altezza, le mosse del nemico; ma da questo allo scarrozzarsi o «spallonarsi» che dovrebbe dirsi, ci corre assai. Creerà probabilmente anche un nuovo sport pei miliardari che vorranno avere un aerostato, come oggi hanno un yacht o un'automobile della forza di quaranta cavalli; ma il resto dell'umanità dovrà contentarsi di star a guardare a bocca aperta e a naso all'aria, e a inorridire quando un accidente qualunque farà piombare giú dalle nuvole i disgraziati che avranno avuto troppa fiducia nell'ossigeno, nella navicella appesa al pallone e nel paracadute. Con ciò - proseguí il dottor Maggioli - non intendo dire che gli scienziati facciano male ad occuparsi della conquista dell'aria. Sono convinto però, col mio amico Piero Baruzzi, che abbiano sbagliato strada, e che non caveranno un ragno da un buco, chiedendo alla meccanica e alla fisica la soluzione del gran problema. Esso era già risoluto, anni fa, da quest'ignoto cultore di fisiologia. Per nostra disgrazia, se n'è mescolato l'accidente, il grande stupido guastamestieri, e il segreto della maravigliosa scoperta è stato, forse irrimediabilmente, perduto. Bisognerà mettersi a studiarlo daccapo, se sorgerà un altro uomo di genio come Pietro Baruzzi, che vi spese trent'anni della sua modestissima vita, e tormentò dieci anni il suo corpo per forzar la natura a restituirci quel che ci ha tolto, o, per parlare piú preciso, quel che essa ha reso inservibile per noi.

- Le ali? - domandò ironicamente l'avvocato Rosaglia. - Non ho mai sentito dire che gli uomini primitivi abbiano avuto ali neppure in embrione.

- In embrione, , caro avvocato, l'uomo le ha tuttora: le nostre braccia non sono altro. Ma si tratta di cosa piú seria. Chiamando Piero Baruzzi uomo di genio, non ho esagerato. La sua incredibile scoperta avrebbe concesso a tutti quel che potrà essere soltanto privilegio di pochi, se pure la dirigibilità degli aerostati diverrà un fatto compiuto, come si dice in politica.

- Ci siamo! - esclamò l'abate Venini. - Ecco una delle solite storielle del nostro dottore!

- Chiamatele pure storielle - rispose tranquillamente il dottor Maggioli - purché mi concediate di affermare che la storia è un seguito di storielle come le mie e, spesso, meno interessanti delle mie, perché è difficile distinguere se siano vere o alterate, o almeno dove finisca in esse il vero e cominci il falso. Quelle che racconto io sono autentiche, verissime, quantunque in questo caso il superlativo sia superfluo. Quando una cosa è vera mi sembra sciocco di qualificarla verissima. Io racconto fatti di cui sono stato testimone oculare. Non si vive, bene o male, ottant'anni come me, senza aver avuto occasione di vedere uomini e cose straordinari, specialmente quando le circostanze ci sbalestrano di qua e di , in mezzo a gente sempre nuova, e quando i casi della vita hanno sviluppato in noi quel che chiamo il fiuto delle cose strane, singolari, e la curiosità di osservarle e di studiarle. Disgraziatamente o fortunatamente (non so giudicarlo) sono stato uno di questi. Se campassi fino a cento anni, avrei ancora occasione di raccontare nuove storielle, rimaste dormenti rincantucciate in angoli oscuri della memoria, e che si ridestano e vengono avanti in certe occasioni, come mi accade spesso in questo salotto. Cosí oggi, a proposito di aerostati, mi torna in mente il nome d'un ignoto che dovrebbe essere famoso e che, forse, sarà famoso un giorno, se la scienza riprenderà in mano il problema da lui posto, per tentar nuovamente di risolverlo, perocché la ignoranza e l'avidità di un contadino ha impedito la rivelazione della mirabile scoperta di Piero Baruzzi.

- Era un congegno per volare? - domandò la baronessa.

- Niente congegno, niente macchina; ma la cosa piú semplice di questo mondo. L'uomo avrebbe potuto elevarsi nell'aria e nuotarvi, per cosí dire, come i pesci nell'acqua.

- Per opera di magia dunque? - fece l'abate Venini.

- Naturalmente, anzi per solo impulso della sua volontà, senza sforzofatica, e senza nessun pericolo di fiaccarsi il collo, come è accaduto a parecchi aeronauti.

- Siamo in pieno miracolo!

- E fuori di ogni miracolo, caro abate, se per miracolo lei intende la sovversione delle leggi della natura. Grandissimo miracolo certamente, maggiore di tutti quelli operati dalla scienza finora, se può e dee chiamarsi tale il costringere il nostro organismo a una funzione che la natura, non sappiamo perché (forse perché glien'ha regalate altre piú nobili e piú eccelse) ha conservato e riserbato per organismi inferiori nella scala degli esseri.

- Ma, insomma... Non ci tenga piú su la corda! - disse la baronessa.

- Avevamo studiato medicina insieme nell'università di Bologna; io per campar la vita; egli, ricchissimo, pel solo gusto di studiare. E studiava seriamente, assai piú di noi che chiedevamo alla professione il nostro futuro sostentamento. Dopo la laurea, io ero stato nominato medico condotto in un paesetto dell'Umbria; egli aveva continuato ad approfondirsi nella fisiologia con intensa passione. Da vent'anni non sapevo piú notizie del mio collega, quando, al mio ritorno dall'America, c'incontrammo in ferrovia. Mi riconobbe lui. Io non avrei indovinato l'antico condiscepolo, bel giovane biondo, in quell'uomo maturo, precocemente incanutito e invecchiato, che mi sedeva in faccia in uno scompartimento di seconda classe. Fu una festa per tutti e due. E allora, tra tante altre cose, egli mi disse:

«Vent'anni addietro ho fatto un sogno che non ho potuto piú levarmi di mente. Mi è sembrato che c'era da cavarne qualche cosa di grande, se fossi stato un Newton, un Galileo, un Volta. Ma sono un povero dilettante di fisiologia. Pure, ho avuto l'orgoglio di tentare... Non si sa mai!»

Aveva sognato di star a sedere nel suo studio. Tutt'a un tratto gli era venuto l'impulso di alzar le gambe, di accostarle, orizzontali... e si era sentito portar via per la stanza in quella posizione, con le gambe ben tese, e aveva potuto fare il giro della stanza, sollevarsi fino al soffitto, ridiscendere, risalire, leggero come una piuma, sbalordito del fatto che non gli pareva sogno ma realtà. E nel sogno aveva pensato: «Ecco una maravigliosa scoperta che non è passata per la mente a nessun scienziato!» Giacché aveva pure capito in che modo lo stupefacente fatto fosse avvenuto. «Ho avuto l'orgoglio di tentare, e sono quasi riuscito» concluse.

Lo guardai negli occhi, dubitando, ve lo confesso, dello stato normale della sua intelligenza. Egli capí, sorrise, e m'invitò ad andare a trovarlo nella sua villa, presso Cento. «Vivo solo colà, da anni, come un eremita. Questa è la prima volta che comunico a qualcuno il gran problema che mi occupa e che credo già vicino ad essere risoluto vittoriosamente. Mi prometti di venire?»

«Se credi - risposi - posso venire anche ora».

La sua serietà mi aveva scosso, e la mia vivissima curiosità e il mio dubbio non volevano frapporre tempo in mezzo per convincersi se quella che nel mio interno qualificavo fissazione di allucinato, fosse o no proprio tale.

Il tentativo di Piero Baruzzi, ripensandoci, non mi sembrava assurdo. Egli partiva dal fatto notissimo che il feto umano, nei primi stadi di formazione, somiglia a quello del pesce, poi del cane... Dunque ha organi che, nella compiuta trasformazione in feto umano, si arrestano nel loro sviluppo, si atrofizzano, o si mutano in organi con funzione diversa. Che cosa diviene nel nostro corpo la vescica natatoria del pesce? Polmoni, organi di respirazione, dicono i fisiologi. Ma la trasformazione cancella ogni vestigio della primitiva funzione? Piero Baruzzi ha concluso di no; e il fatto ha confermato, riguardo alla vescica natatoria, la divinazione di lui. I polmoni sono poi davvero la trasformazione di quella vescica, o essa sussiste ancora, atrofizzata, resa inutile dal mezzo in cui l'uomo è destinato a vivere?

Piero Baruzzi ha speso, coraggiosamente, ostinatamente, i migliori anni della sua vita in questa ricerca. Non posso entrare a discorrere, con particolari minuti, dei suoi difficilissimi studi. Io passavo di stupore in stupore, nel suo laboratorio, in quella villa solitaria posta in cima alla collina e circondata da macchinosi alberi di ulivi e di querce, stando ad ascoltare la chiara ed efficace esposizione dei suoi lunghi studi, dei suoi scoraggiamenti, delle sue gioie di scopritore fortunato. Ma il quasi sovrumano non furono in lui la pazienza, la precisione delle ricerche, il silenzio di tanti anni. Occorreva provare e per ciò trovare un soggetto su cui tentare il miracolo - la parola mi viene spontaneamente alle labbra - di sviluppare nel corpo umano quell'organo atrofizzato e in guisa da permettergli di manovrare nell'aria, come i pesci nel mare; di ridurre l'aria veicolo da eguagliare l'acque marine. Provò sopra di sé, in che modo non saprei dire, ma certamente martirizzando il suo povero corpo con operazioni dolorosissime, con tagli chirurgici, con mezzi che misero piú volte a repentaglio la sua nobile vita.

Ed io lo vidi, con questi occhi, sollevarsi per aria, con le gambe riunite orizzontalmente, quasi servissero da timone; non ancora capace di attingere grandi altezze, capacissimo però di muoversi agevolmente in tutte le direzioni, quasi il suo corpo avesse perduto il peso ordinario... E la prima volta credevo di essere in preda a un'allucinazione, suggestionato dalla sua eloquente parola, dalla strana evidenza del suo paradosso. Volle che giurassi di mantenergli il segreto, e di attendere che quella scoperta avesse raggiunto la perfezione. Ormai era sicuro del fatto suo. Quando lasciai la villa, Piero Baruzzi non mi sembrava piú un uomo, ma un Dio!

Passarono altri cinque anni. Un giorno, finalmente, ricevei un suo laconico biglietto: «Vieni; faremo una gran prova all'aria aperta. Ti attendo per giovedí prossimo».

Disgraziatamente quel giorno non potei andare e non fui in tempo di avvisarlo che sarei arrivato da lui il giorno dopo. Egli non attese. E la mattina di quel giovedí, alcuni contadini che lavoravano un campo vicino videro librato in aria, a grande altezza, un animale mostruoso che andava, veniva, facendo ghirigori nello spazio, scotendo certe strane ali... Egli, per ripararsi dal freddo, aveva indossato un mantello, e il vento e l'aria smossa ne agitavano le ampie falde... Uno di quei contadini, spinto dall'idea di guadagnarsi un bel premio, vendendo lo sconosciuto uccello a un museo, spianò il fucile da militare che aveva a portata di mano... E il povero Baruzzi, colpito al ventre, precipitò giú, sfracellandosi il capo sur un masso. La sua mirabile scoperta era morta con lui! -

 

 

 



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