Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Rassegnazione
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RASSEGNAZIONE

VII.

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VII.

 

Non saprei dire se mia madre rispose qualche cosa a quella sfuriata, o se il ricordo delle sue parole mi è sparito dalla memoria. Rivedo il triste caro volto, anzi soltanto quegli occhi umidi di lagrime, pieni d'immensa pietà fissi su me per tentar di calmarmi; e non rammento altro.

Che cosa avvenne quella notte nelle profondità del mio spirito? Qual lavorìo si compì senza che la mia coscienza vi prendesse parte?

Mi svegliai quasi tranquillo, con un gran bisogno di aria libera, di luce diffusa.

Una delle finestre del mio studio dava sul giardino della casa vicina. Il sole già dorava la cima degli eucalypti che vi si elevavano rigogliosi, e i passeri facevano allegra gazzarra tra i rami. Un tumulto quasi simile mi si destava a poco a poco nel cuore, come se la giovinezza incominciasse quella mattina a pispigliare dentro di me le sue prime note gioconde.

Ed ecco la voce di mia madre, grido doloroso di appello:

- Dario! Dario!

Ed eccola apparire su la soglia, pallida, agitando le braccia, senza poter profferire parola, con gli occhi smagriti dal terrore....

- Tuo padre!... - balbettò finalmente, trascinandomi via con una mano.

Quel colosso che ieri avevo visto davanti a me, esuberante di vita e di salute, giaceva rovesciato per terra, come una quercia sradicata dall'uragano, con le dita attrappite sul cuore, con gli occhi stravolti e la bocca contorta dal colpo apoplettico che lo aveva fulminato nel punto di stender la mano alla tazza di caffè fumante ancora su la tavola da pranzo.

Parlava con mia madre, lieto che un suo affare già si fosse avviato bene, contrariamente di quel che egli temeva.... e tutto a un tratto, senza un grido, senza un gesto, era barcollato ed era cascato col capo indietro. Un rantolo, un rapido scomporsi della sua bella fisionomia....

Tutto era dunque finito?...

Mi sembrava impossibile che fosse proprio così!

La mamma e io lo sollevammo a stento, lo adagiammo sul divano credendo ancora che si trattasse di uno svenimento, di un malessere passeggero. Infatti il corpo aveva fremiti, sussulti che illudevano.

- Babbo! Babbo! - chiamavo quasi per destarlo, reggendogli il capo, intanto che la mamma dava gli ordini per un dottore.

Gli occhi si chiusero lentamente, i muscoli contorti della faccia si distesero, e il capo mi si appesantì su le braccia, chinandosi da un lato!

Mia madre, ritornata con due guanciali, volle insinuarli ella stessa sotto la testa del babbo, ignara dell'irrimediabile disastro; ingannata anche dall'apparente tranquillità - invece era istupidimento - che mi leggeva sul volto.

Non piangeva neppure lei, non poteva piangere; si torceva le dita guardando, di tratto in tratto, all'uscio da cui doveva entrare il dottore, smaniando pel ritardo; ed ora accarezzava la faccia del babbo con lievi passaggi delle mani tremanti, ora rivolgeva a me timide occhiate interrogatrici che facevano intravedere lo spavento di una possibile tremenda risposta.

Quel quarto d'ora di angosciosissima attesa mi parve un secolo.

Che mi attendevo dal dottore? Ero impietrito, convinto che la sua presenza oramai fosse inutile; eppure respiravo con ansia, celeremente, quasi il mio ansare potesse influire ad affrettarne l'arrivo. E in quel momento, con lo spettacolo sotto gli occhi di colui che ormai sapevo cadavere in cui nessuno avrebbe potuto infondere un nuovo respiro di vita, tendevo l'orecchio al cinguettìo dei passeri che entrava, clamoroso, dalla finestra, e riflettevo intorno alla grande indifferenza della Natura per le nostre gioie e pei nostri dolori, pur indignandomi di poter pensare a simili cose in quel tragico istante.

Finalmente il dottore arrivò. Tastò i polsi, introdusse una mano nello sparato della camicia, chinandosi per ascoltare i battiti del cuore, o meglio per fingere di ascoltarli, giacchè il primo sguardo gli era bastato per capire l'inutilità della sua opera. E rizzandosi su la persona, si volse verso mia madre, la prese delicatamente per un braccio e fece atto di volerla allontanare.

La povera mamma, copertosi il viso con le mani, balbettando: - Oh, Dio! Oh, Dio! - si lasciò trascinare fuori della stanza, opponendo debole resistenza.

Io caddi ginocchioni davanti al divano; baciavo e ribaciavo il cadavere ancora caldo, senza un lamento, senza un singhiozzo, soffocato dal groppo di pianto che non riusciva a versarsi per gli occhi; e dietro un velo di nebbia, quasi nella fluida trasparenza di un sogno, intravedevo le persone di casa, gli inquilini accorsi, e il corpo giacente che aveva tuttavia, nonostante quel nebbioso velo, le rigogliose apparenze della vita e della forza.... Poi improvvisamente, non vidi più nulla, come se un nero abisso mi avesse inghiottito.

Il povero babbo era stato previdente.

Fra le sue carte, e serbata in un posto dove avrebbe potuto essere subito ritrovata, io rinvenni una lettera diretta a me, scritta sei mesi prima del luttuoso avvenimento, quasi il cuore gli presagisse quel che doveva, tra non molto, accadere. Mi dava minutissimi schiarimenti intorno ai suoi affari, m'indicava la persona a cui avrei potuto, con piena fiducia, affidarne il disbrigo, e si diffondeva in lunghi consigli di pratica saggezza, ripetendo con diverse parole - e leggendo mi sembrava di riudirne la voce - quel che mi aveva detto la mattina del nostro ultimo colloquio.

Ancora, dopo parecchie settimane, io non sapevo rassegnarmi a credere ch'egli fosse sparito per sempre!

La mamma vestita a lutto, la tristezza che incombeva su tutta la casa, le insolite occupazioni alle quali dovevo concedere quel tempo fin allora riserbato esclusivamente ai miei studi, e che mi infastidivano per la loro volgare minuzia, non erano sufficienti a darmi un vivo senso della realtà, delle tristi circostanze intervenute a sconvolgere l'andamento ordinario della mia vita.

Il dolore di mia madre era intenso. Capivo che ella evitava, quanto più era possibile, di rammentare il povero nostro caro assente per non accrescere lo strazio del mio cuore; ma, in certi momenti, ripensando le rivelazioni di quel giorno, io non riuscivo a vincere il sospetto che ella si sforzasse di far apparire il suo dolore più grande e più intenso che veramente non fosse. La scusavo, la giustificavo; avrei voluto però che ella avesse già perdonato e dimenticato; che più non fosse perdurata, tra l'assente e lei, quella scissura che le aveva fatto portare chiuso in cuore tant'anni il suo bel sogno di donna non potuto attuare, com'ella si era espressa.

E a tavola, o quando veniva a sedersi nel mio studio per leggere qualcuno dei tanti volumi nuovi che il mio libraio continuava a inviarmi (ora che non aveva altri all'infuori di me, voleva sentirsi confortata - diceva - standomi silenziosamente vicino) a tavola, o mentre ella leggeva, io la fissavo, evitando di farmi scorgere, e tentavo di penetrarla per indovinare se, sospettando in quel modo, non la calunniassi indegnamente.

Un giorno, alla fine, per dissipare il tormentoso dubbio - soffrivo assai ogni volta che esso, scacciato via, tornava a riaffacciarmisi nell'animo - un giorno, vedendo che la mamma, deposto su le ginocchia il libro di lettura, chiusi gli occhi e abbandonata la testa indietro su la spalliera della poltrona, si era immersa nel dolce fantasticamento prodotto dalle sensazioni delle cose lette, la riscossi bruscamente:

- Mamma!...

E mi arrestai, già pentito di quel che intendevo di fare. Ella mi fissò con sguardo così affettuoso da incoraggiarmi a dirle subito:

- Che cosa pensavi, mamma?

- Pensavo, - rispose dopo un istante di esitanza, - che io non avrei mai creduto ch'egli occupasse, vivendo, tanto posto nel mio cuore. Si vede che l'amore è capace di assumere tali forme da rendersi quasi irriconoscibile. Sento oggi nel cuore lo stesso vuoto lasciato dalla sua sparizione in questa casa e nella nostra esistenza. Ora riconosco che ha avuto ragione lui, stimandomi uno strumento in mano sua, da dover adoprare secondo i suoi fini. Egli possedeva un senso sano ed integro della vita. Se ha avuto qualche torto.... parecchi anche.... più che a lui, essi debbono venir attribuiti - lo capisco ora - alle circostanze. Non è stato egoista, cattivo, crudele, oh, no! È stato uno con cui si dev'essere indulgente perchè ha lavorato molto; uno che aveva bisogno di cogliere qua e qualche fiore, lungo la strada, per distrarsi, per riposarsi.... Allora ne soffrivo. Da che non è più.... lo scuso, e spasso gli chiedo perdono del non avergli sempre nascosto che ne soffrivo, e di averglielo rimproverato con la freddezza e col silenzio, talora peggiori di ogni aperto rimprovero.

- Mamma cara! Che consolazione mi dài dicendomi questo!

- Che cosa credevi tu dunque?

- Credevo che tu serbassi qualche rancore alla sua memoria!

- Oh! figlio mio!

- C'è stato un momento in cui sono stato ingiusto anch'io verso il babbo!

Chiuse il libro, si rizzò in piedi e, presomi per le mani, soggiunse:

- Non mi hai più parlato del tuo avvenire, Dario. Io attendevo da te una parola, come tuo padre e forse assai diversa da quella che attendeva tuo padre. Non me l'hai detta. Perchè, Dario?

- Non so, mamma! C'è un gran buio nel mio spirito. L'orgoglio mi acceca tuttavia. Non so rassegnarmi a non essere niente nel mondo, pur avendo un altissimo concetto di quel che vi vorrei essere. Sarò un infelice, mamma; lo sento. Non mi consolerò mai della mia miseria rimpetto allo splendore di quel sogno! Se avessi, come te, la fortuna, di credere in Dio, andrei a chiudermi in una Certosa, a vivervi la lunga agonia della preghiera e del silenzio; ma la mia mente non può credere.... Mai, come in questo momento, io non ho compreso la terribile verità di quella sentenza biblica: La scienza è dolore! Vorrei dimenticare, diventare tutt'a un tratto un ignorante, un povero di spirito.... Ecco perchè non ho potuto dirti la parola da te attesa.... C'è un gran buio nel mio spirito!

- Io non oso suggerirti....

- Parla, mamma! Le tue parole dell'altra volta mi avevano aperto uno spiraglio di luce. La mattina della disgrazia, già avveniva un insolito risveglio di giovinezza, nel mio cuore.... Non mi ero mai sentito giovane come in quel momento. Ah! Il mio male consiste qui, nell'intelligenza; non sono stato mai giovane, quantunque io abbia appena vent'anni. Non potrò ridivenirlo, oramai ne sono convinto. Vi è una maturità dello spirito che talvolta precede quella del corpo; ed è stato di malattia forse incurabile. La sanità consiste nell'equilibrio.

- T'inganni, Dario! T'inganni! Io sono una povera donna che non può opporre profonde ragioni alle tue; ma nel mio cuore materno c'è qualcosa che vale, mi sembra, quanto codeste ragioni. Siedi qui; non sdegnare di ascoltarmi. Io ti riguardo come superiore a me, sebbene mio figlio. Sei uomo, sai tante cose che io non intenderei anche se mi applicassi a studiarle come te; non per questo mi sembra atto di vanità o di superbia il dirti quel che sento. Tuo padre ti parlava altrimenti. Era uomo di azione, a modo suo. Avrebbe voluto che suo figlio lo somigliasse, anche non facendo quel che faceva lui. Sai che fantasticava di te? - Un uomo politico, un deputato al Parlamento. - E poichè ci vogliono belle migliaia di lire per riuscire ad essere eletto, - diceva, stropicciandosi le mani, - io gliele preparo. Saranno bene spese; e vorrei che mio figlio non avesse scrupolo di spenderle. Quando si vuoi raggiungere uno scopo....

- Vorrei adoperarle meglio.... in ogni caso!... - la interruppi sorridendo tristamente.

- Lo dico anch'io. E, nota: egli che riponeva in te ogni sua speranza; che non aveva voluto altri figli per non disgregare la sua fortuna; che era orgoglioso di veder sopravvivere in te il suo nome onorato, non accennò mai, mai, alla speranza di vederti creare una famiglia. Una volta io gli dissi: - Mi dispiace che Dario viva a questo modo, tutto immerso negli studi. Andrà incontro a un pericolo il giorno in cui dovrà scegliere una sposa. - Alzò le spalle, e non rispose nemmeno. E un'altra volta mi rispose: - Troverà facilmente; è il meno di cui mi preoccupo. - Infatti.... egli mi aveva sposato unicamente per avere un figlio. Le dolcezze della famiglia non avevano significato o valore per lui. Ebbene, Dario, io desidererei che tu agissi altrimenti. Io desidererei che la tua vita si raccogliesse tutta in quelle gioie intime e sicure che egli non ha voluto conoscere, che non ha goduto. C'è dell'egoismo in quel che ti dico, ma forse assai meno che non sembri. L'arte, la scienza sono belle e grandi cose; ma la vita è così breve, così precaria, che la suprema saggezza a me sembra consistere nel goderla il più tranquillamente possibile, quando si hanno, come tu li hai, tutti i mezzi di goderla in tal modo. Crearsi una famiglia è azione bella e grande quanto l'arte e la scienza. Amare, essere amato, dar vita ad esseri che ci perpetuano e che possono contribuire alla felicità o almeno alla prosperità sociale non è spregevole cosa. Io ti parlo da donna, da madre. Prima d'ora ho taciuto per non impormi alla tua scelta, per non mettermi in contrasto con le intenzioni di tuo padre. Davanti a lui mi sentivo piccina piccina, non osavo aprir bocca; ma oggi mi sembra che sia mio dovere....

S'interruppe.

Dolcissime lagrime mi scorrevano silenziosamente per le gote e non pensavo di asciugarle.

Perchè piangevo?

Le parole di mia madre significavano l'estrema condanna del mio sogno di grandezza spirituale, ed io gli dicevo, con quelle lagrime, il mio addio?

Erano esse segno di fiacchezza nervosa?

- Non ti dispiaccia, che io ti abbia parlato così - riprese mia madre. - Tu sei libero, e puoi fare quel che vuoi. Va', figlio mio, verso la felicità che intravedi, per qualunque strada, con qualunque mezzo, secondo giudichi opportuno. Tuo padre aveva detto: - Ti do un mese di tempo! - Egli aveva fretta, era impaziente. Io no, Dario!

- Tu sei una santa! - esclamai.

 

 

 


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