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Povero ragazzo! Era vittima della cattiveria della sorella minore. Tutti lo credevano maligno, sornione, bugiardo, tutti, mamma, babbo, zie, amici di casa; ed era precisamente il contrario. Come non se n'avvedevano? Come non leggevano su quel viso pallido e triste ch'egli soffriva in silenzio, e che soltanto una immensa bontà, una tenerezza squisita, una sottomissione affettuosa gli facevano assumere la responsabilità delle continue cattiverie di Adelina?
Era proprio pessima quella fanciulla, e aveva appena dieci anni!
Da prima lo aveva vinto con le preghiere; con le carezze, col pianto. Tutte le volte che per sbadataggine e per sciatteria rompeva o guastava un oggetto, correva dal fratello:
— Oh Dio, oh Dio! Ho rotto uno dei vasetti giapponesi!
— Dove?
— In salotto; quello regalato dalla nonna alla mamma! —
E si disperava, piangeva soffocata dai, singhiozzi:
— Non è niente; non lo hai fatto a posta! Chiederai scusa.
— No, no! E poi, ho buttato i cocci dalla finestra!
— Non dovevi buttarli; forse il vasetto si poteva riaccomodare. —
Ma Adelina continuava a disperarsi, a piangere e a strapparsi i capelli.
— Dirai che l'ho rotto io! — suggerì Guglielmino, quasi pregando.
— Davvero? Non mi tradirai? Oh, caro fratellino buono! —
E la prima volta si era contentata di stare zitta, di attendere che la sua sbadataggine e la sua sciatteria fossero scoperte, impassibile e fredda al cospetto del fratellino messo in gastigo in scambio di lei.
Ora invece, rassicurata, intorno alla discrezione del fratello, faceva peggio; correva dalla mamma, denunciava sfrontatamente il brutto caso, soggiungendo sùbito:
— Non sono stata io!
— È stato Guglielmino; non occorre sospettar d'altri! —
E la cattiva non si commoveva dell'accento doloroso con cui la sua mamma faceva quella esclamazione. E assisteva imperterrita all'interrogatorio del fratellino, che a testa bassa, più pallido del solito, doveva sentirsi strapazzare e gastigare, qualche volta anche manescamente, perchè il babbo, vedendo tanta insistenza nella cattiverìa s'indispettiva in modo che non sapeva frenarsi.
Un giorno Adelina ne fece una proprio grossa. L' istinto del mal operare la spingeva a passare continuamente da una cattiveria all'altra, quasi con gusto, quasi con raffinatezza.
La modista aveva mandato un cappellino nuovo per la mamma. La signora non era in casa e la scatola era stata posata sopra una consolle in anticamera, perchè fosse veduta sùbito dalla signora al ritorno.
Scoprire quella scatola e portarla di nascosto in camera sua, per Adelina fu tutt'uno. Si chiuse dentro, cavò fuori il cappellino, se lo provò e riprovò, e ammirando i fiori, i nastri, si sentiva già prudere le mani per strappare quegli ornamenti e servirsene.... A che scopo? Non lo sapeva neppur lei; servirsene per mostrarli, in iscuola, alle compagne, e farle morire d'invidia.
Esitava però: la cosa sarebbe stata scoperta sùbito; ma pure pensando che era meglio non far niente, le mani brancicavano quei fiori, tentavano di strapparli. Com'erano attaccati saldamente! E com'erano belli! Un po'più di forza, se voleva, e li avrebbe strappati.... — Vuoi scommettere? — Lo diceva a sè stessa, per incitarsi.
E fece forza, e il ciuffo dei papaveri le fiammeggiò tra le mani, tremolando sul lungo stelo. Era fatta!
Rimase atterrita dalla sua audacia, e nello stesso tempo si compiacque di aver osato e d'esser riuscita. Andò a nascondere in una scatolina di giocattoli i bei papaveri, rimise in fretta il cappellino così guastato dentro la custodia di cartone, e aperse l'uscio per osservare se poteva esser vista. Per il corridoietto non c'era nessuno. Sgusciò lungo il muro, spinse l'uscio della cameretta di Guglielmino e lanciò la scatola sotto il letto di lui come un oggettaccio.
Respirò: non era stata vista! Ma bisognava avvertire il fratellino.
Ed egli intanto non arrivava! Ormai avrebbe dovuto esser di ritorno dalla lezione di francese, che andava a prendere tutti i giorni dalla signorina Alberta a pochi passi di casa loro.
Invece era la mamma. Adelina cominciò a riflettere:
— E se la cosa non va questa volta come tant'altre? Negherò ferma — risolse. — Non sospetteranno di me. —
Per tutta la giornata non si parlò del cappellino. La cameriera, troppo affaccendata, non avendolo più visto su la consolle, non aveva badato ad avvertire la signora. La signora, che pure aveva fatto tante sollecitazioni alla modista il giorno avanti, sapendo che le modiste spesso promettono e non mantengono, non aveva pensato di domandare se il cappellino fosse arrivato.
Tardi tornò in casa Guglielmino. La signorina Alberta lo aveva trattenuto a desinare insieme coi suoi nipotini; la signora era stata avvertita in tempo, ma Adelina lo ignorava.
E poi ella aveva deciso
— È inutile avvertirlo; capirà. La scatola sarà trovata sotto il lettino di lui. Ormai è abituato. —
Non sentiva nessun rimorso, nessuna compassione di quel poverino, martire della sua cattiveria. Per poco non le pareva naturale che dovesse essere così. Ideò anzi uno stratagemma.
Chiamò Guglielmino in disparte e gli disse:
— Chi te l'ha dati?
— Una compagna di scuola. Ma non farli vedere alla mamma; mettili in tasca. —
Guglielmino sgranò gli occhi dall'ammirazione.
— Mettili in tasca! — ella ripetè quasi stizzita.
E il ragazzo se li mise in tasca, obiettando:
— Ma si sciupano.
— Non vuol dire! — replicò Adelina.
Guglielmino la guardava negli occhi, già sospettando di qualche malestro della sorella. Ma Adelina lo fissò imperterrita, per dominarlo, per imporglisi.
Di là la mamma sgridava la cameriera.— Insomma dove aveva messo questo cappello mandato ieri dalla modista che voleva sapere se era piaciuto?
Adelina accorse. La scatola? Lei l'aveva veduta su la consolle in anticamera.
La signora cominciava a sospettare di un furto.
— Chi è venuto ieri, nella mia assenza?
— Nessuno, signora. —
Entrò in salotto Guglielmino. La mamma si rivolse a guardarlo, e i suoi occhi furono sùbito attratti da qualcosa di rosso che gli si affacciava dalla taschina dei pantaloni. Non le passò per la mente che quel rosso potesse avere qualche relazione col cappellino che non si trovava, ma però le parve strano che il ragazzo avesse in tasca un ritaglio di stoffa rossa; aveva creduto che non si trattasse di altro. Gli si avvicinò, e con le dita, senza dirgli una parola, cavò fuori uno dei papaveri.
— Che è questo? Chi te l'ha dato? Dove l'hai preso? —
E siccome il ragazzo non sapeva che rispondere a quelle vivaci interrogazioni, la signora ebbe tempo di riflettere un istante.... e le vennero sùbito alla mente i papaveri ordinati pel suo cappellino.
— Il cappellino? Dove l'hai nascosto? L'hai già guastato! Oh! oh! —
La signora si torceva le mani dalla disperazione per le perversità di quel ragazzo.
— Dove l'hai nascosto? Parla! parla! —
Lo scoteva per le braccia, quasi fuori di sè.
— Me l'ha dato Biggi — balbettò Guglielmino senza osar di guardare la sorella che stava aggrappata alla veste della mamma.
Ma la mamma ficcava le mani in tasca e ne cavava fuori l'altro papavero.
— E questo, quest'altro te l'ha dato anche Biggi? Hai guastato il cappellino! Cattivo! Malvagio! Bugiardo! —
Guglielmino aveva le lagrime agli occhi, tremava come una foglia. Aveva finalmente guardato la sorella, e l'espressione del viso di lei gli aveva dato nuova forza per resistere, per non parlare.
— Me l'ha dato Biggi! — balbettò di nuovo.
— Dove hai riposto la scatola?
Che, poteva rispondere il poverino? Non lo sapeva.
E quando, fruga qua, fruga là, la scatola fu trovata sotto il lettino di lui, per la mamma non ci fu più dubbio. E il dolore di lei non era tanto pel cappellino sciupato, quanto per la convinzione che quel ragazzo fosse proprio incorreggibile e le avrebbe dato, crescendo con gli anni, ben più gravi dolori!
Ma la cameriera la fece riflettere: Quando poteva aver egli commesso quella cattiveria, se era venuto a casa tardi, dopo il ritorno della signora? La scatola sarebbe dovuta essere sempre su la consolle, e la signora avrebbe dovuto vederla sùbito, appena entrata. —
— Hai ragione. Ma dunque? E perchè non nega? Perchè si lascia accusare? —
Intrigata, la mamma riprese l' interrogatorio del ragazzo, interrotto per la ricerca della scatola.
— L'hai guastato tu il cappellino?
— Quando? Dove hai trovato la scatola?
— L'avevano riposta in camera mia.
— Non è vero! — protestava la cameriera.
Vedendo che non avrebbe saputo dire una bugia plausibile per salvare la sorella — oramai aveva capito che il guasto era opera di lei! — Guglielmino si chiuse in un silenzio invincibile.
La brava cameriera, che, da qualche tempo in qua, aveva cominciato a dubitare della cattiveria di quel bambino, lo prese in disparte, pregandolo, scongiurandolo di parlare, di dire la verità. Perchè voleva farsi credere peggiore di quel che non era?
Ma Guglielmino resistè. La mamma lo scacciò dalla sua presenza.
— Quando verrà il babbo! — lo minacciò.
E non aggiunse altro. E quasi per consolarsi si voltò ad abbracciare e baciare Adelina che le ara stata sempre attaccata alla gonnella durante quella trista scena, muta, impassibile, accigliata. Impassibile in apparenza, giacchè quella volta l'eroismo del fratellino le dava un turbamento grande, ch'ella, dominava a stento. Quell'abbraccio e quel bacio della mamma desolata le produssero l'effetto d'un vuoto al cuore. Le pareva che qualcosa le si fosse rotto dentro quella tal cosa che la rendeva cattiva, dura, insensibile; e non potè più frenarsi.
— Sono stata io! — balbettò e scoppiò in pianto dirotto.
— Ma perchè ti addossavi sempre le cattiverie di lei? — domandò al ragazzo il babbo che non rinveniva dallo stupore.
— Le volevo bene! — rispose semplicemente Guglielmino.
— Sei un eroe! — esclamò il babbo.
E dopo che Guglielmino non fu più creduto maligno, sornione, bugiardo, anzi lodato e ammirato, Adelina diventò buona anche lei; e ai signori Morteni parve d'aver visto rinascere i loro figliuoli, tanto li vedevano trasformati.