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Certe volte però Scurpiddu era triste, mùtolo; appena appena badava a Paola che lo seguiva con larghe volate lungo la strada, mentre egli conduceva i tacchini alla pastura. La notte avea sognato sua madre e glien'era rimasto un vivo rimpianto nel cuore.
Si rammentava con dolcezza dei giorni in cui ella lo pettinava al sole su lo scalino della porta di casa, tenendogli la testa fra le ginocchia, dopo avergli lavato la faccia. Ora, se sua madre fosse in paese, egli andrebbe a trovarla ogni quindicina, come il Soldato che ogni quindici giorni tornava dai suoi di casa; e poi nelle feste di Natale e di Pasqua. Egli invece non andava in paese nemmeno per la festa della Patrona.
Quella sera restava quasi solo alla masseria, e su l'aia aspettava di assistere allo spettacolo dei razzi del fuoco d'artificio, che salivano per l'aria rapidi e luminosi e si spegnevano; si udiva, ora sì, ora no, lo scoppio delle bombe.
La domenica dell'ottavàrio però vedeva lassù, lassù, la luminaria della processione, e distingueva, dai molti lumi, la bara di santa Agrippina portata dai devoti per lo stradone fuori le mura, di sera. I lumi della processione serpeggiavano nel buio, e a poco a poco sparivano. Lo zi' Girolamo dall'agghiaccio gridava:
Ma lui non diceva niente; rammentava soltanto che sua madre, una volta lo aveva condotto per mano dietro la processione; e rivedeva i confrati, la banda impennacchiata che suonava, i preti con le torce, e la folla che recitava il rosario, tra il polverio sollevato lungo lo stradone dal calpestìo di tanta gente.
Rivedeva anche i venditori ambulanti di nocciole abbrustolite, di torrone, di fette di giuggiolena col miele, che portavano attorno tra la folla il loro banco con su la tenda di tela e i lumi, e si fermavano di tratto in tratto, gridando a squarciagola:
- Torrone di mandorle! Torrone!
Gli veniva, l'acquolina in bocca ricordando.
- La massaia mi regalerà un pezzo di torrone! - pensava.
Ma non sarebbe stato il torrone della sua mamma!
Al padre, che sapeva già morto, pensava di rado.
Se un uccellino fosse venuto a dirgli dov'era la sua mamma, egli sarebbe andato a trovarla, lasciando là tacchini, tàccola, masseria, ogni cosa; e poi sarebbe tornato. L'avrebbe condotta via con sé.
- Che faceva tanto lontano, senza il figliuolo! Come poteva vivere?
Raramente gli passava pel capo che potesse essere morta anche lei, di stenti, l'anno stesso della mal'annata, quand'era morta tanta gente! Glielo avrebbero detto:
E si sarebbe messo il cuore in pace.
Una mattina, per la strada dell'Arcura, si era incontrato con lo zi' Girolamo che conduceva i buoi e le vacche a pascolare su le alture. Non gl'incuteva più paura il bovaro con le sue Nonne. Era un brav'uomo; badava soltanto a quegli animali, povero vecchio!
I tacchini si erano mescolati coi buoi, che procedevano lentamente strappando boccate di erba ai lati della strada; e Scurpiddu disse allo zi' Girolamo:
- Tu da una parte, io da l'altra... Ehi, Montedoro - soggiunse lo zi' Girolamo, toccando il bue su la schiena con la punta del bastone.
Il bue si mosse a saltelloni, e la carne gli ballava sotto i fianchi.
- E tua madre? - domandò improvvisamente il bovaro a Scurpiddu.
- Chi ne sa niente?
- Vedrai che tornerà: tornerà!
- Come lo sapete?
- Solo i morti non tornano più. Io prendo da questa parte.
E il bovaro non aggiunse altro.
Scurpiddu lo vide allontanarsi per la viottola, a sinistra, e stette un pezzetto a guardarlo stupito. E rimuginò lungamente le parole di lui:
- Vedrai che tornerà; tornerà! - Chi gliel'avea detto? Le Nonne?
Socchiudeva gli occhi, immobile: e non si curava di aizzare Massaio e Don Pietro che si azzuffavano.
La tàccola saltava, con brevi volatine, da un tacchino all'altro, gracchiando, ricercando col becco i pollini tra le penne a questo e a quello, familiarizzata con essi. Poi si allontanava, aliava, andava a posarsi su un albero, scendeva a beccare tra l'erba insieme ai tacchini, e tornava a volare, girando attorno al padrone, quasi per farsi scorgere, un po' maravigliata che quel giorno egli non la invitasse a posarglisi su la spalla come al solito. All'ultimo, dopo un lungo giro, andò a posarglisi su la testa, beccandogli il berretto.
Scurpiddu allora la prese, e pòstala su l'indice di una mano, con l'altra la lisciava, le dava buffettini sul becco per irritarla.
- Hai sentito, Paola? Lo zi' Girolamo dice che la mia mamma tornerà.
Paola rispose con un gracchio, e a lui parve confermasse: - Tornerà.
Il canto di un merlo tra i mandorli di Rossignolo gli rammentò la nidiata di merli scoperta un anno addietro tra i rovi della fontana. Erano scappati via prima ch'egli si fosse rammentato di andare a prenderli. Fece una spallucciata.
Non glien'importava. Ora aveva Paola. I merli non avrebbe potuto addestrarli in libertà come la tàccola.
E tornava a ripensare il sogno della notte avanti.
Gli era parso di veder arrivare sua madre, avviluppata nella mantellina di panno nero. Così era uscita di casa quando era andata via pallida e scarna, con gli occhi rossi dal pianto.
Ritornando, ora non piangeva più; gli accennava con la testa di andarle incontro: e visto che egli non si era mosso: (perché non si era mosso? Non se ne rammentava!) Aveva voltato le spalle ed era sparita. E a un tratto gli parve di continuare a sognare, vedendo spuntare dalla viottola, che saliva dall'altra parte della collina dell'Arcura, prima la testa, poi il busto, poi tutta la persona di una donna con la mantellina addosso, che si avvicinava guardandolo con curiosità. Pareva sfinita dal cammino, malata, coi capelli grigi e gli occhi infossati, squallidi; ansava e si fermava a ogni due passi per riprendere fiato.
- Si scorcia di qua? Devo andare a Mineo.
Parlava a stento, con voce interrotta da colpi di tosse.
- Non lo so: domandatelo a quel cristiano.
Scurpiddu additava lo zi' Girolamo che, appoggiato al bastone con tutte e due le mani, ritto in mezzo ai buoi che pascolavano, pareva dormicchiasse in piedi.
Scurpiddu seguì con gli occhi la povera donna; e siccome colei non sapeva in che modo scendere dal ciglione per andare fino a quel cristiano, egli la richiamò.
- Scendete di qui: laggiù c'è il viottolo.
Lo zi' Girolamo dapprima aveva indicato con la mano la via da prendere, poi si era messo a interrogare la donna. Che dicevano? La poveretta doveva raccontare cose tristi, giacché lo zi' Girolamo crollava il capo, compassionandola, giungeva le mani, alzava gli occhi al cielo per dire:
- Sia fatta la volontà di Dio - e tornava a crollare il capo.
Improvvisamente la donna si rivolse verso il ragazzo e si diè a correre pel viottolo, lasciandosi cascare la mantellina su le spalle, gridando:
La voce della poveretta era così arrochita che neppure a quel grido Mommo la riconobbe. E quando si vide abbracciato e baciato, e le lagrime di lei gli bagnarono la faccia, egli la guardò stupito e le domandò:
- Chi siete voi?
- Non mi riconosce! - esclamò, desolata, la meschina. - Sono la tua mamma! Figliuolo mio! Mommo mio! Sono la tua mamma!
Scurpiddu era così sbalordito, che non sapeva dirle niente. Stentava a persuadersi che quel viso così macilento, che quei capelli grigi, che quegli occhi così smorti fossero quelli di sua madre.
Soltanto quando vide lo zi' Girolamo, che si era avvicinato e aveva anche lui gli occhi pieni di lagrime, si scosse per domandargli
- Chi ve l'aveva detto?
E buttò le braccia al collo della mamma.
Ma non rinveniva dallo stupore, e sembrava avesse su la faccia un'espressione di rancore pel lungo abbandono; per ciò la poveretta credè opportuno di giustificarsi:
- Ho pensato sempre a te! Ho fatto scrivere al sindaco: non mi ha mai risposto. Stavo lontano lontano, sotto le montagne delle Madonìe. Di là non veniva nessuno in queste parti. Sono poi stata sei mesi all'ospedale. Credevo di morire senza vederti!...Ora la Bella Madre Santissima mi ha fatto la grazia! Questo è miracolo di Gesù Cristo! Trovarti qui!...
- Mio padre è morto... - balbettò Scurpiddu.
- Lo so, lo so! Ed è stata la mia mala sorte. Ti racconterò poi. Come sei cresciuto! Ti trovi bene qui? Come sei cresciuto! Neppur io ti riconoscevo...Altrettanto Paradiso ai tuoi benefattori, quant'è la carità che ti hanno fatto!
- Andate alla masseria, - intervenne lo zi' Girolamo. - Avete bisogno di qualche ristoro.
- No, no, niente! Quando dovrà tornare coi tacchini...Prima il servizio; starò qui con lui.
- Sei contento ora Scurpiddu? Lo chiamiamo così, - riprese lo zi' Girolamo.
E Scurpiddu non seppe rispondere altrimenti che mettendo in grembo alla mamma la tàccola che era venuta a posarglisi su la spalla. Sorrideva, quasi non credesse ancora ai suoi occhi che intanto gli straluccicavano più del solito.
- Ora non ve n'andrete più, mamma!
- No, figliuolo mio! Non me n'andrò più.
Lo disse però con voce così piena di tristezza, che lo zi' Girolamo, capito quel che la poveretta voleva dire, la consolò esclamando:
- Gesù Cristo vi darà la salute!
Quella sera, all'arrivo, davanti al pollaio dove la massaia lo attendeva, secondo il solito, per fare la rassegna dei tacchini, Scurpiddu parve impazzito dalla gioia.
- La mia mamma! La mia mamma! - gridava.