Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Scurpiddu
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Come erano passati presto quei mesi d'inverno con la bacchiatura delle ulive e coi lavori per l'estrazione dell'olio! Poi la seminagione, poi la sarchiatura dei grani: poi l'estate! Ora le biche dei covoni aspettavano su l'aia le mule per la trebbia: e Scurpiddu intanto conduceva i tacchini fra le stoppie piene di grilli e dove c'era sempre da beccare anche qualche chicco di frumento o di orzo cascato dalle spighe mature; oggi a piè del Monte, domani al Benefizio, un altro giorno ai Saraceni o a Bardella.

Nelle ore meridiane, li radunava all'ombra di un annoso ulivo, o di un gelso bianco che pareva un capannone con quei rami fino a terra presso il canneto di Casa di Mezzo; e lui, seduto per terra, con le spalle appoggiate al tronco, faceva il verso alle cicale che frinivano per la vallata degli ulivi, dai mandorli, dai pioppi, senza mai stancarsi fino a sera. Si sarebbe addormentato se non avesse avuto lo svago del balocco che si era costrutto giorni prima con un tubettino di canna, un pezzetto di cartapècora, due crini della coda d'una mula e un legnetto. Alla cartapècora arrotondata aveva fatto, con un ago, due fori nel centro per infilare i due crini annodati, uno da un foro e l'altro dall'altro; poi, sovrappòstala a un'estremità del tubetto di grossa canna, attorno a cui aveva già fatto un intacco e legatala bene con lo spago, annodati i due crini dal capo opposto e attaccatili con càppio al legnetto, si era messo a far frinire, con giri più o meno rapidi, il suo balocco.

E all'ombra del gelso bianco, mentre i tacchini riposavano raccolti attorno a lui, mentre Paola si faceva una scorpacciata di more di gelso mature saltando da un ramo all'altro, egli si divertiva con quel balocco, e le cicale, per risposta, frinivano più forte.

Spesso arrivavano fin le grida degli uomini che incitavano su l'aia le mule a correre torno torno per trebbiare i covoni; e vedeva passare il sagrestano della parrocchia o il barbiere mastro Ciccio il Vecchio, che andavano da un'aia all'altra a chiedere le mancie di grano nuovo, come era uso, ai parrocchiani e clienti. Così avevano fatto al tempo della raccolta degli ulivi, per l'olio. E al ritorno alla masseria, egli li incontrava con le bisacche ricolme, su la mula o su l'asino, e li salutava.

- Dovresti darci un bel tacchino, Scurpiddu.

- Se fossero miei!

Non diceva che nel branco c'erano già i suoi otto pollastroni grassi e tondi, che si distinguevano appena dai vecchi tacchini. Fra qualche mese le femmine avrebbero cominciato a far le uova; a Natale, due dei maschi gli avrebbero fruttato dieci lire. E poi!... .E poi!...

Quella sera gli uomini erano seduti al fresco, stanchi della giornata di lavoro; e il Soldato vedendolo arrivare, lo aveva subito chiamato:

- Ehi, Scurpiddu! Vuoi farti cavare un dente? C'è qui lo zanni.

Lo zanni e la donna che l'accompagnava erano seduti su lo scalino del portone del frantoio, e avevano davanti, per terra, due cassette di legno scuro, con cigne di cuoio, e due bisaccette di tela cruda ripiene di oggetti diversi.

Scurpiddu, fatti entrare i tacchini nel pollaio, si era avvicinato lentamente, con le mani dietro la schiena; sospettava qualche burla del Soldato e stava in guardia,

- Vuoi farti cavare un dente? Ecco qui la tanaglia.

E mostrava lo strumento.

Lo zanni non si era neppure voltato, né aveva alzato il capo. Che armeggiava con tutto quel fil di rame messo a tracolla, e quella tanaglietta a punta? Ah! Una coroncina da rosario. Le maglie coi grani di cocco si seguivano rapidamente, e la coroncina si allungava, si allungava: la medaglietta straluccicava quasi fosse d'oro, a ogni scossa.

- Sì o no? - insisteva il Soldato tra le risa degli uomini sdraiati per terra.

- Fatevene cavare uno voi! - rispose Scurpiddu, che si era messo a osservare più da vicino l'armeggìo delle mani dello zanni.

- Vuoi rubarmi il mestiere? - gli disse lo zanni, sorridendo.

Scurpiddu ebbe quasi paura vedendo le pupille nerissime tra il bianco degli occhi, e le due file di denti bianchissimi tra le labbra rosse e sottili di quell'uomo nero come il pepe, magro, con gambe lunghe e stecchite, con mani secche e pelose, il quale parlava con un accento strano, vibrante, che Scurpiddu non aveva udito mai.

Ma egli ebbe davvero paura più tardi, quando nel frantoio gli uomini fecero cerchio attorno allo zanni che, posata per terra una delle cassette, spiegava:

- Si nasce ceraulo; e allora non c'è animale velenoso che possa farci male. Io mi rido delle vipere, degli scorpioni, delle tarantole... Le serpi poi sono al mio comando... Tutta grazia di San Paolo, perché son nato la notte del ventinove di giugno. Chi nasce quella notte, o nell'altra dal 24 al 25 gennaio, è ceraulo.

E postesi due dita in bocca, fece un acuto e lungo fischio che gli morì tra i denti assottigliandosi, Poi alzò il coperchio della cassetta.

Scurpiddu, che era salito su la base della màcina per veder meglio, alla vista delle serpi che si rizzavano snodandosi e si versavano fuori della cassetta, diè un gran strillo.

Lo zanni le afferrava, se le avvolgeva attorno al collo e alle braccia, zufolando sommessamente, monotonamente, intanto che con l'indice e il pollice della mano destra prendeva una serpe per la testa facendola divincolare penzoloni, mentre con la sinistra ne impugnava un'altra pel collo a guisa di spada... .

- Questa è la spada di San Paolo!

Gli uomini, il Soldato, massaio Turi, guardavano sbarrando gli occhi, allargando il cerchio e poi sbandàndosi allorché lo zanni, toltesi le serpi d'attorno al collo e alle braccia, le lasciava libere per terra. Strisciando rapidamente, e passando tra le gambe degli uomini che si scansavano, esse andavano a nascondersi negli angoli bui, fra i tronchi di ulivi ammonticchiati in un canto, o dietro gli aratri appoggiati al muro con le punte dei vomeri in giù, o tra i toppi dello strettoio accosto.

Scurpiddu era contento di essersi messo al sicuro; volgeva però ansiosamente gli occhi da tutte le parti, e non perdeva di vista lo zanni che rimasto fermo, in piedi, con le mani in tasca e gli occhi socchiusi, pareva non si curasse di altro che di masticare, con grandissima soddisfazione, un pezzetto di tabacco in corda, né la donna che lo accompagnava e che stava seduta per terra accanto all'altra cassetta, sul cui coperchio era incollata una rozza stampa raffigurante San Paolo con due serpi ritte dappiè ai due lati.

Scurpiddu si domandava:

- E ora? Le serpi rimarranno qui?

Non osava rivolgere la parola a nessuno, per paura che il Soldato non si rammentasse di fargli il brutto scherzo di prenderne una e avvòlgergliela attorno al collo, come lo aveva minacciato. In quel momento ognuno badava a sé; pareva che il Soldato avesse paura quanto gli altri. Si era messo accavalcioni del becco d'una vite del torchio, e dimenava le gambe, quasi volesse sfidare le serpi a raggiungerlo lassù.

Al nuovo acuto e lungo fischio dello zanni, il povero Scurpiddu allibì.

Di qua e di , strisciando, ondeggiando, le serpi accorrevano, e al monotono zufolìo del loro padrone, gli si attorcigliavano al collo dei piedi, ed egli le prendeva ad una ad una e le riponeva nella cassetta, premendone leggermente il coperchio con la mano, perché le irrequiete non sguisciassero fuori nuovamente,

- E San Paolo protegga il massaio e tutti gli uomini di questa masseria! - disse lo zanni, chiudendo a chiave la cassetta,

La donna allora cavava fuori un mazzo di stampe dall'altra cassetta e gliela porgeva, perché le distribuisse agli astanti,

Tutti prendevano la figurina e davano un soldo,

Scurpiddu esitava a prenderla, non avendo in tasca un soldo da dare,

- A te gratis, - gli disse lo zanni, - perché sei più magro di me,

- Infatti si chiama Scurpiddu, - soggiunse il Soldato, – Soldi però ne ha più di tutti, È proprietario Scurpiddu,

- Vi adatterete a dormire con gli uomini, nel fienile; non abbiamo altro posto, - si scusava il massaio,

Il posto non mancava, ma il massaio sapeva che di quella gente vagabonda era prudente non fidarsi troppo, Avevano le mani lunghe, Cavavano denti, lavoravano corone, ma erano più abili nel far sparire un oggetto, E bisognava trattarli bene; se no, c'era il pericolo di veder le biche dei covoni prender fuoco su l'aia senza che nessuno potesse mai scoprire in che modo, Già quelle facce nere, quelle figure strane e cenciose non dicevano niente di bono,

La massaia si era chiusa a chiave nelle sue stanze insieme con la serva, perché aveva paura di loro, Le avevano regalato una bella corona di cocco, sì, ma sarebbe costata troppo cara col pane, il vino e il grano che il massaio doveva dar loro domani, per levarseli di torno,

Scurpiddu aveva seguìto lo zanni fino alla porta del fienile,

- Volete insegnarmi a far le coroncine? - gli disse sotto voce, fermandolo per la giacca prima che entrasse, – Dovreste vendermi la tanaglia a punta e il fil di rame e il cocco, e le medagliette,

- E i quattrini chi te li ? - rispose lo zanni

- Vi uno dei miei tacchini, A Mineo lo vendereste cinque lire,

- Ne riparleremo domani, - conchiuse lo zanni,

Ma il lampo delle pupille piccole e vivide tra il bianco degli occhi, e i denti bianchissimi che luccicavano tra le labbra sorridenti su quella faccia nera come il pepe, non parvero a Scurpiddu un buon augurio pel suo affare,

 


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