Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Serena
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ATTO PRIMO

SCENA IV Serena, la signora Venanzia. Poi Agnese.

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SCENA IV

 

Serena, la signora Venanzia. Poi Agnese.

 

Serena (quasi non credendo ai suoi occhi). Oh! Oh! Zia!

Sig.a Venanzia (fermandosi subito). Come: Oh! Oh!?... Non hai ricevuto il mio telegramma?... L'ho sempre detto che il telegrafo è un altro bel modo di scroccare quattrini alla gente! Un telegramma di venti parole! Una lira e venticinque centesimi, anticipati!... E intanto non ti abbraccio! (Si abbracciano ripetutamente). Stai bene, benone! Magrolina, pallidina... ma fresca come una rosa. Io... lo porto scritto addosso. Ho i miei malanni, però, nascosti, figliuola mia! L'aspetto inganna... E quello scioperato dov'è?...

Serena. Chi?

Sig.a Venanzia. Tuo padre, mio fratello. Abbiamo forse altri scioperati in famiglia?

Serena. Tu non sai niente; non ho voluto scriverti per non farti angustiare.

Sig.a Venanzia. So tutto! Per questo ho detto: Scioperato!

Serena. Disgrazia; può capitare a chiunque.

Sig.a Venanzia. Oh, non tentare di stendergli addosso il tuo manto di misericordia, Madonnina mia! (Entra Agnese, recando un telegramma e la ricevuta).

Agnese. Un telegramma (lo consegna a Serena).

Sig.a Venanzia. Benissimo! Quando non serve più! Dov'è il fattorino? Vo' fargli una lavata di capo...

Serena (dando ad Agnese la ricevuta firmata). Il fattorino non c'entra.

Sig.a Venanzia. Perché non c'entra? Chi sa dov'è andato prima di venire qui! In qualche bettola. (Agnese esce).

Serena (sorridendo). Tu hai continuamente bisogno di sgridare qualcuno.

Sig.a Venanzia. E tu di difendere, di scusare tutti!

Serena. Lèvati piuttosto il cappello e la mantella; dammi a riporre quella borsa.

Sig.a Venanzia. No, grazie! Aspetto che tuo padre ritorni. Dobbiamo uscire insieme sùbito. Non voglio perdere un minuto di tempo. E tu, quando egli arriva, lasciami sfogare... Sono piena fino a qui! Mi sentirà! Debbo dirgliene di cotte e di crude; di crude soprattutto.

Serena. Cara zia, se tu andassi in bicicletta...

Sig.a Venanzia. In bicicletta io? Non ci mancherebbe altro! Che c'entra poi la bicicletta?

Serena. Il babbo si è slogato un braccio e due dita di una mano appunto per una caduta dalla bicicletta. Che ti hanno detto dunque?

Sig.a Venanzia. A me? Niente. Casco dalle nuvole... Slogati un braccio e due dita?... Ci ho piacere!... Chi sa quanto ha sofferto! E tu pure!... Quale braccio? Il destro? L'altro? E le dita? ... Della mano destra? Benissimo! Quelle, quelle avrebbe dovuto spezzarsi da un pezzo!

Serena. Zia!

Sig.a Venanzia. Così non avrebbe mai firmato... certi pezzacci di carta!... Ora è guarito, è vero? Non è rimasto storpio?

Serena. No, zia; non si tratta di cosa grave, altrimenti...

Sig.a Venanzia. Ecco i bei regali che ti fa il tuo babbo! Pensa forse a darti marito? Pensa a sciupare, a fare il galante, l'uomo di mondo... il babbeo, a sessant'anni!

Serena. Cinquantasei, zia...

Sig.a Venanzia. Settanta, se mi fai stizzire!

Serena (ridendo). Allora!

Sig.a Venanzia. Io avevo giurato di non rimettere più piede qui; tanto, perché dovrei venirci? Per prendere venti arrabbiature al giorno?

Serena. Per amor mio, zia. Ti voglio bene come a una mamma.

Sig.a Venanzia. E c'è voluto soltanto santa... Serena!... Perché tu sei una santa davvero. Troppo santa!... I santi però si trovano male in questo mondaccio. Quaggiù bisogna essere metà santi e metà demonii... o demonii scatenati a dirittura, che è meglio, come sono io. (Siede).

Serena. Se i demonii ti somigliassero! (Siede accanto a lei).

Sig.a Venanzia. Ti guardo stupita! Non mi dici niente?

Serena. Che dovrei dirti?

Sig.a Venanzia. Insomma... non sai tu che cosa vuol fare tuo padre?

Serena. No, zia; io non m'impiccio...

Sig.a Venanzia. Ma questa volta intervengo io! C'è mancato poco non mi prendesse un accidente quando ho visto...! Senza neppure avvisarmi!

Serena. Che hai visto, zia? Mi spaventi!...

Sig.a Venanzia. L'altra mattina ero appena saltata dal letto, spettinata, mezza vestita... Viene il mezzadro: — Ci sono gl'ingegneri laggiù; prendono misure... — Credi tu che io abbia più badato a finire di vestirmi? E sono piombata in mezzo a loro. Mi guardavano con tanto di occhi: dovevo sembrare una strega... — Che sono venuti a fare loro signori? — Per ordine del credito fondiario. — Un pignoramento? Che! Che!... Finora aveva avuto un po' di pudore il mio bravo signor fratello; non aveva mai osato di toccare la sua parte di Belsito, come dire il titolo di nobiltà di famiglia... nobiltà di lavoro e di onestà di più generazioni di Loreni: ed ecco, ora...

Serena. Vuol venderlo?

Sig.a Venanzia. Quasi; peggio che venderlo anzi! Con queste Banche, con questi Crediti fondiari!... Tutte trappole per chiappare i grulli... come il mio signor fratello!... Vuole darlo in ipoteca! E glielo faranno sparire tra le mani, con un gioco di bussolotti... La sacrificata intanto sei tu, figliuola mia! Come quell'altra santa di tua madre... Una martire!... Non già che egli le abbia mancato mai di rispetto... Per questo, oh! è un gentiluomo, come dice lui. Ma l'ha... l'ha... E, in certi casi, i gentiluomini valgono meno dei facchini, te lo assicuro. Mio marito non era un gentiluomo — non era neppure un facchino, veh! — Ma in quanto a fedeltà!... Io però ero di tutt'altra pasta che tua madre; sono stata un demonio anche da piccina; e così ti vorrei, figliuola mia!... Ma chi sa dov'è andato Arturo? Chi sa quando ritornerà? Fa spesso colazione fuori?

Serena. Raramente.

Sig.a Venanzia. Intanto parliamo di te. Ancora... niente? Hai già vent'anni, sai? A vent'anni, io...! Dovresti pensarci... Non abbassare gli occhi; c'è dunque qualcosa?

Serena. Oh, zia!

Sig.a Venanzia. Come se la rimproverassi! Debbo dirtelo? Io credevo che il figlio di Giulia Valli... come si chiama?... Paolo... Con me puoi confidarti.

Serena. Non ho nulla da confidarti, zia.

Sig.a Venanzia. Proprio? Non avrai, spero, le idee di tuo padre... Perché cura i suoi affari di campagna?... Perché non veste mese per mese secondo l'ultimo figurino... e non porta la caramella e i colletti alti un palmo?

Serena. Non bado a queste sciocchezze.

Sig." Venanzia. Io sposai un tanghero. Dovevo fargli il nodo della cravatta con le mie mani... E, a poco a poco, dopo un anno, era guardabile. Non ridere. — Tu non puoi immaginare che pietà mi fai!

Serena. Perché, zia?

Siga Venanzia. Perché... perché... (Sentendo suonare il campanello) È lui?

Serena. Può darsi.

Siga Venanzia. Ah! Tu vàttene di .

Serena. Ti faccio preparare la camera.

Sig.a Venanzia. Vado all'albergo... Riparto questa sera. Sono qui venuta da nemica.

Serena. Ma ti pare, zia! All'albergo? Ripartire?

Sig.a Venanzia. Sarò ospite tua, non di lui. Credi tu che sentirà ragione? Che mi darà retta? Sono due anni che non ci vediamo. Ti ha mandato da me per la villeggiatura... per sbarazzarsi di te, sì, sì, per sbarazzarsi di te un paio di mesi; ma lui non si è più degnato...! Non mi può soffrire, perché non ho peli su la lingua, perché... Vuoi scommettere che è andato via, se Agnese gli ha detto che ci sono io? È capace di tutto!

Serena. Parla di te con tanto affetto!

Sig.a Venanzia. Parole! Parole!

 

 


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