Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Serena
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ATTO PRIMO

SCENA VI Il signor Loreni e la signora Venanzia.

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SCENA VI

 

Il signor Loreni e la signora Venanzia.

 

Sig.a Venanzia. A noi due! È un gran pezzo che non mi mescolo più nei fatti tuoi. E se tu fossi solo, ti lascerei andare in rovina liberamente, a tuo piacere. Ma c'è quella buona creatura!... Vuoi farla morire di crepacuore, come sua madre?

Loreni. Zitta!

Sig.a Venanzia. Non lo dimostra, io la conosco bene, ma deve soffrire, oh! È vita questa che mena? Una ragazza a vent'anni!

Loreni. È la padrona qui.

Sig.a Venanzia. Bella padrona! Padrona di che? Anche sua madre era padrona... di rodersi l'anima per le tue cattiverie!

Loreni. Ho avuto dei torti verso mia moglie, non lo nego. Ma io adoro mia figlia.

Sig.a Venanzia. Si vede! L'hai lasciata in collegio fino a diciotto anni.

Loreni. Per la sua educazione.

Sig.a Venanzia. E per non avere impicci tra' piedi... Hai sciupato un patrimonio... per la educazione... Te lo dirò io che donnine ti sei occupato di educare! Tu t'immagini che Serena non sappia niente. Le ragazze, quando mostrano di non guardare, vedono; quando fingono di non ascoltare, odono; quando fanno le viste di non capire, capiscono... troppo!

Loreni. Ti ha detto qualcosa?

Sig.a Venanzia. È prudente, è piena di dignità... Ma non divaghiamo. Non sono qui per farti un'inutilissima predica; voglio risparmiarmi il fiato. Veniamo all'essenziale. Che devi farne di quelle trenta mila lire?

Loreni. Ho in vista una speculazione sicura.

Sig.a Venanzia. Non ne dubito, sicurissima! Da smaltirle in otto giorni. Ma se tu sei libero di rovinarti, io, che ho rossore in viso, che rispetto il nome della nostra famiglia, io non posso però permettere che Belsito caschi in mano di estranei.

Loreni. Si tratta di un imprestato, pagabile in cinquant'anni.

Sig.a Venanzia. Credi dunque di dover morire più che centenario!

Loreni. È per non inciampare nelle mani degli usurai. Speculazione solidissima; darà enormi benefici. Riscatterò Belsito in poco tempo.

Sig.a Venanzia. C'è chi ti i quattrini, con le stesse condizioni, per cinquant'anni!

Loreni. Chi?

Sig.a Venanzia. Io. E così Belsito resterà in famiglia. Andiamo dal notaio, difilato. Potrei dirti: — Tieni! — senz'altro. Ma non voglio avere rimorsi. Domani saremmo daccapo; e non mi illudo di poter essere sempre qui per impedirti un'infamia. Non sono come te, che credi di campare oltre i cento anni! Ci penso spesso alla morte io; ho fatto testamento. Vita e mortis in mano sdomini, come dice il curato. Andiamo dal notaio.

Loreni (commosso). Sorella mia!... Non avrei mai creduto!... Non so proprio come ringraziarti!...

Sig.a Venanzia. Niente. Non intendo di farti un favore. Faccio una speculazione anch'io. Sono sicura che non mi pagherai, come non pagheresti i tuoi Sfondiarii; così dovrebbero chiamarsi! Non ho voluto neppure togliermi il cappello. E — appena fatto, in piena regola, come tra estraneitorno in campagna. Sono contadina io. Su! Su!

Loreni. Lasciami cambiar d'abito almeno.

Sig.a Venanzia. Non occorre. Intanto Serena farà preparare la colazione. Ho già appetito.

 

 


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