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SCENA I
La signora Venanzia e il signor Loreni.
Loreni. Dovresti capire che non sono discorsi che posso fare a mia figlia.
Sig.a Venanzia. Pretendi forse che te li faccia lei?
Loreni. Il giorno che Serena...
Sig.a Venanzia. Aspettalo questo giorno! Non verrà mai. Già tu non pensi ad altro che alle corbellerie. A me è bastata una occhiata; quell'avvocato...
Loreni. Non sarebbe, infine, un cattivo partito per Serena.
Sig.a Venanzia. Se lo dico che ti sei imbecillito!
Loreni. Non gliela butto mica tra le braccia!
Sig.a Venanzia. Che è? Un fagotto? Come parla di sua figlia!
Loreni. Giacché vuoi saperlo, si è condotto da gentiluomo.
Sig.a Venanzia. Vi conosco voialtri gentiluomini!
Loreni. Mi ha tastato, così, alla larga, se mai...
Sig.a Venanzia. E gli hai risposto?
Loreni. Che lascio su questo punto pienissima libertà a Serena.
Sig.a Venanzia. E che lui per ciò può farle l'asino attorno!
Loreni. Avrebbe potuto farglielo, — che frasi! — senza dirmene niente. Tu, rammentalo, non hai chiesto il permesso a nessuno; sei stata la disperazione del babbo e della mamma.
Sig.a Venanzia. Era un altro paio di maniche. Io ero... brutta diciamo la parola; e se avessi dovuto attendere che un disgraziato si fosse deciso da sé, non sarei ora vedova, ma ancora zitellona. Ero però impastata di malizia, di furberia. Sapevo tante cose — le avevo indovinate da me — e riusciva difficile imbrogliarmi. Non mi avevano lasciata in collegio fino ai diciotto anni; non leggevo romanzi né poesie. Sapevo ragionare e fare i miei calcoli. Infatti non l'ho sbagliata.
Loreni. Serena è più assennata che tu non immagini.
Sig.a Venanzia. Assennatissima; ma c'è una cosa che m'impensierisce e che ho notato in questi giorni: è troppo chiusa.
Loreni. Serena di nome e di fatto, com'ella si compiace di ripetere.
Sig.a Venanzia (Accennando prima alla faccia, poi al cuore.) Serena, qua; ma qua?
Sig.a Venanzia. Non ho atteso che tu me lo suggerissi.
Loreni. Ebbene?
Sig.a Venanzia. Niente. E siccome insistevo, sai tu che mi ha risposto? — Zia, parlami della mamma: il babbo non me ne parla mai! — Ti pare naturale?
Sig.a Venanzia. Hai mai ragionato tu? Mai!
Loreni. Se devi andare dalla Valli, sono le undici meno un quarto.
Sig.a Venanzia. Cambia discorso, sì!... Scommetto che quel giovane invece non è nelle tue grazie. È troppo serio; non ha avuto quattro o cinque donnacce, come il tuo avvocato; non butta i quattrini dalla finestra. Non sarebbe un genero più scapato del suocero!
Loreni. Quasi dovessi sposarlo io!
Sig.a Venanzia. Io intanto mi sono messa in testa che Serena...
Sig.a Venanzia. E che si farebbe tagliare a pezzi prima di farglielo capire col minimo indizio.
Loreni. Allora sta' sicura che quell'imbecille non indovinerà mai!
Sig.a Venanzia. Chi lo sa? È tutt'altro che imbecille, giacché veggo che imbecille, per te, significa soltanto non essere birbante.
Sig.a Venanzia. Si veste per accompagnarmi.
Loreni. Potevo accompagnarti io.
Sig.a Venanzia. Volevo lasciarti libero, credendo di farti piacere.
Loreni. Perché?
Sig.a Venanzia. Giulia non è di quelle che tu vai cercando. So che ci hai provato una volta, col pretesto dell'amore antico, del primo amore; ma, fiasco!
Sig.a Venanzia. La faccia tosta non ti manca.
Loreni. Ti attenderò dal notaio per la firma dell'atto; è sul passaggio. (Esce)