Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Serena
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ATTO TERZO

SCENA I La signora Venanzia, Serena, Agnese.

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SCENA I

 

La signora Venanzia, Serena, Agnese.

 

Sig.a Venanzia. Hanno portato tutto?

Agnese. Parecchi pacchi.

Sig.a Venanzia. Quanti?

Agnese. Sei, mi pare.

Sig.a Venanzia. Sette dovevano essere.

Agnese. È vero; ce n'è un altro piccino. Li ho riposti in camera sua.

Sig.a Venanzia (a Serena). Dunque tu non vuoi accompagnarmi oggi?

Serena. Ho un po' di mal di capo, zia.

Sig.a Venanzia (a Agnese). Mio fratello è in casa?

Agnese. Sono venuti a prenderlo, di buon'ora, quei signori di ieri, in carrozza.

Sig.a Venanzia (a Serena). Quali signori?

Serena. Non so; non li ho veduti.

Sig a Venanzia. Tu non vedi più niente, o fingi di non vedere. Tuo padre è in via di fare qualche grosso imbroglio. Ha un'aria!... L'aria che prende quando le cose gli vanno a rovescio. Già, tutto va a rovescio in questa casa; è inutile che io mi arrabbi!

Serena. Perché dici così, zia?

Sig.a Venanzia. Perché è così. (A Agnese) Che aspetti?

Agnese. Credevo che avesse bisogno di me.

Sig.a Venanzia. Appena mio fratello rientra, avvertimi. (Agnese esce). Giacché qui non si sa più chi va, chi viene, che si pensa, che si vuole... Mi par di essere in un manicomio!

Serena. L'hai con me, zia?

Sig.a Venanzia. Soprattutto con te, s'intende. Sei così cambiata! Di bianco in nero. Ti credevo seria, ragionevole. Si vede che ti si è attaccata la malattia di tuo padre.

Serena. Non noia a nessuno.

Sig.a Venanzia. Perché stai zitta? Questo è peggio! Cioè, stai zitta con me, non con gli altri, quasi io non sia degna di ricevere le tue confidenze!

Serena. Mi ripeti sempre la stessa storia!

Sig.a Venanzia. Perché è sempre la stessa storia. Non ti si cava più una sillaba di bocca!

Serena. Non ho nulla da dire.

Sig.a Venanzia. E con la tua amica, con la tua Elena, com'è dunque che avevi tanto da discorrere lassù? L'hai voluta un mese in campagna, e sta bene. Io non potevo tenerti sempre compagnia, dovevo badare a tante cose. In villa non è come in città, dove tutti state con le mani in mano. Amiche, distrazioni però avrei potuto procurartene anche colà, se tu non ti fossi ostinata a non voler vedere nessuno... E poi sostieni ancora che io m'inganno sul conto tuo e di quel... disgraziato!

Serena. Non ne parliamo, zia; te ne prego!

Sig.a Venanzia. Sì è ammazzato? Dio gli perdoni! Che colpa ne hai tu? Dovevi volergli bene per forza? Era pazzo. Soltanto i pazzi si ammazzano. Anch'io una volta — avevo sedici anni — mi era montata la testa, e come! per un giovanetto che stava di rimpetto a casa nostra, e che mi guardava con insistenza dalla finestra... forse perché ero così brutta da farlo stupire. Gli scrissi io la prima, credendo ch'egli non osasse... E non si affacciò più! Fu un gran dolore, te l'assicuro... Non mi sono ammazzata. Ma se mi fossi ammazzata, che colpa ne avrebbe avuto quel poveretto? Doveva portare il lutto per me?

Serena. Io non porto il lutto di nessuno.

Sig.a Venanzia. Apparentemente. Se così non fosse...! Che t'abbia fatto dispiacere, lo capisco; ha fatto impressione anche a me, come prossimo. Ti sei forse accorta, dopo, che non ti era proprio indifferente? Accade qualche volta; il nostro cuore è un mistero. Che vuol dire? Ormai il morto è morto e seppellito; e bisogna pensare ai vivi, a tuo padre, a me, a te stessa,... a qualch'altro.

Serena. Zia, ti prego!...

Sig.a Venanzia. Ecco: a vent'anni sembri una vecchia... di sentimenti. La giovinezza, per fortuna, non te la puoi levare di addosso neppure col rasoio; e, probabilmente, essa ti guarirà... Ma io mi sconvolgo la bile senza costrutto... Giulia Valli non viene? Esco sola. Debbo fare altre provviste per la campagna. Penso al sodo io.

 

 


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